venerdì 13 novembre 2015

Pit Salute: meno professionisti, più proteste dei cittadini

3/11/2015 - XVIII Rapporto di Cittadinanzattiva: aumento di denunce di disagi da parte dei cittadini. La colpa è anche del blocco del turn over che ha ridotto il personale sanitario e reso difficile l’erogazione di prestazioni e servizi. Mangiacavalli: "Si moltiplicano le esperienze di collaborazione e compartecipazione e di modelli di rete tra professionisti"
Il territorio si sta trasformando nel punto dolente del Servizio sanitario e i cittadini sempre di più puntano il dito contro i suoi disservizi. Così, secondo il XVIII Rapporto Pit Salute di Cittadinanzattiva – Tribunale dei diritti del malato,  i cittadini che accedono alle cure e ai servizi sanitari all’interno delle strutture quali Rsa e lungodegenze (assistenza residenziale) lamentano la scarsa assistenza medico/infermieristica, con un dato in aumento dal 36,4% al 39,3% del 2014, assieme ai costi ritenuti eccessivi per la degenza, in percentuale pari al 22,2% per il 2014 (il dato era pari a 21,5% nel 2013).
Tra i punti più criticati c’è poi, nell’ambito dell’assistenza ospedaliera, la rete emergenza-urgenza (servizi del Pronto soccorso e del 118), quella che presenta maggiori problematiche, con il 50,7% del totale dei contatti del 2014. A seguire ci sono le difficoltà riscontrate durante un ricovero con il 31,8% dei casi. In particolare le difficoltà maggiormente segnalate sono determinate dalla carenza dei posti letto, dalla difficoltà a essere trasferiti in strutture più specializzate e dalla riduzione del personale infermieristico.
Un ulteriore elemento è quello delle dimissioni dalle strutture ospedaliere, momento che rappresenta la conclusione della fase del ricovero e presa in carico diretta da parte della struttura ospedaliera ma, è anche il primo passo verso l’assistenza offerta da strutture territoriali ( Rsa, Adi, lungodegenze) e i problemi segnalati riguardano principalmente le dimissioni percepite dal cittadino come premature rispetto al quadro clinico (67,4%) e dimissione di pazienti difficili da trattare (malati terminali) il tutto determinato sia dalla carenza di comunicazione tra paziente e personale medico-infermieristico, che dalla mancanza di coordinamento tra la struttura che dimette e il servizio o la struttura da attivare.
Peggiorano anche le segnalazioni di malpractice. La voce più alta è rappresentata dai presunti errori diagnostici e terapeutici, con una percentuale pari al 64,1%, in leggera diminuzione rispetto al 2013 (quando il dato si attestava sul 66%). A questa tipologia di segnalazioni segue la percentuale relativa ai presunti errori legati alle condizioni delle strutture con il 17% (16% nel 2013).
Le segnalazioni di malpractice non riguardano quindi esclusivamente la parte relativa alla diagnosi e terapia - anche se la percentuale relativa resta  la più alta - ma possono fare riferimento ad altri ambiti in cui si manifesta la presa in carico dei pazienti: questi ulteriori contesti prevedono la presenza di personale, medici di reparto e personale infermieristico, con precise funzioni e responsabilità in termini di garanzia della presa in carico, ma alle volte sono proprio gli ambienti di erogazione dei servizi a essere centro di disagio per chi fruisce delle prestazioni sanitarie. 
Si verificano così anche episodi di cattiva presa in carico per le condizioni delle strutture: le problematiche in questo caso sono legate in particolare alla presenza di macchinari rotti, o alla presenza di ambienti fatiscenti o, ancora, a condizioni igieniche scarse; condizioni queste, che non permettono agli utenti, pazienti, malati, di fruire di servizi sanitari di qualità, tanto da risultare alle volte inadatti o pericolosi per i degenti.
Le segnalazioni sulle disattenzioni del personale sanitario, ovvero tutti quei comportamenti che, pur non avendo causato un danno, rappresentano procedure incongrue potenzialmente rischiose, subiscono un piccolo aumento percentuale, passando dal 10,4% del 2013 al 12,7% nel 2014.
La colpa, secondo il Rapporto, è anche del blocco del turn over, che ha costituito uno dei principali interventi di revisione della spesa in sanità e che può aver comportato una minore aderenza ai reali bisogni dei pazienti da parte del personale sanitario, date le riduzioni intervenute che non permettono un’agevole erogazione di prestazioni e servizi. L’impossibilità di assumere personale, infatti, non permette di continuare a garantire una adeguata copertura dell’assistenza sanitaria, specie nelle regioni del sud in piano di rientro, determinando costi indiretti sui cittadini sia per i tempi più lunghi per ottenere le prestazioni, sia per la mobilità sanitaria. 
“Una situazione che denunciamo quasi quotidianamente ormai da tempo – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Ipasvi – e che ora ha la sua evidenza non solo nel disagio del personale, ma anche in quello più profondo e grave dei pazienti. Pochi giorni fa abbiamo puntato il dito contro il tentativo di proroga della condizione ormai fuori legge dei mancati riposi dopo turni massacranti perché non solo mette a rischio la salute dei pazienti per primi e degli operatori, ma impedisce un corretto riequilibrio degli organici: il Rapporto Pit Salute dà così un ulteriore riscontro al nostro allarme, che questa volta viene direttamente dai cittadini”.   
Così ad aumentare le segnalazioni di malpractice ci sono le carenze dove è necessaria la presenza di personale, medici di reparto e personale infermieristico, con precise funzioni e responsabilità in termini di garanzia della presa in carico. Le segnalazioni dei cittadini si riferiscono per il 13,7% alla scarsa assistenza medica e infermieristica prestata durante il ricovero. Anche in questo caso le lamentele si concentrano su aspetti che hanno molto a che vedere con un senso di abbandono, di scarsa considerazione, di precarietà, vissuto all’interno dell’ospedale. “Ci sono pochi infermieri”, lamentano i cittadini, “le visite durano 5 minuti”, “se vuoi parlare con un medico per avere un chiarimento, devi chiederlo cento volte oppure appostarti in corridoio sperando che non ti tratti male”. 
“Voci unanimi – commenta Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato Cittadinanzattiva - riportate non certo per denunciare l’indisponibilità di medici e infermieri, bensì per svelare una situazione non più sostenibile anche per tutti gli operatori sanitari che, con il blocco del turn over, sono costretti a turni massacranti”.
Anche nell’assistenza residenziale la prima voce da prendere in considerazione è quella relativa alle segnalazioni di scarsa assistenza medico/infermieristica, con un valore in percentuale che è pari al 39,3% per il 2014, mentre il dato 2013 era leggermente inferiore: 36,4%. Si tratta di valori in aumento, comunque, a dimostrazione della stagnazione - se non aggravamento - di un problema che è cronico per queste tipologie di strutture. 
I cittadini lamentano attese notevoli, prima di essere presi in considerazione dall’infermiere di turno, ad esempio: è questa la “classica” situazione di quando sono presenti solo uno o due operatori per piano, e questi si ritrovano ad essere responsabili di 20/30 assistiti per turno di lavoro. Si tratta, spiega il Rapporto, di situazioni che purtroppo sono non infrequenti, e che aumentano il rischio derivante da una presa in carico non adeguata, proprio in strutture che esistono e dovrebbero lavorare per problemi specifici.
C’è poi il capitolo dell’umanizzazione. I cittadini segnalano che i principali protagonisti degli episodi di mancata umanizzazione delle cure per più della metà delle segnalazioni, i medici ospedalieri, con un dato che passa dal 48,8% del 2013 al 50,5% del 2014. A seguire i comportamenti degli Infermieri ospedalieri:  24% delle segnalazioni nel 2014, rispetto al 21,3% del 2013. 
“Ogni categoria di soggetti fa emergere situazioni di mancata umanizzazione, ma la riflessione – nota il Rapporto - porta ad attribuire le responsabilità dei disagi anche a una mancata collaborazione di entrambi, pur con la fondamentale consapevolezza che uno dei due soggetti – il cittadino - versa in una condizione psicologica più fragile e che quindi ha diritto a un servizio attento e trasparente”.
“E’ un dato che si sta assottigliando sempre di più ed è presente nei casi in cui la comunicazione tra professionisti è scarsa e forzata da situazioni contingenti – commenta Mangiacavalli –. Si tratta ormai di casi isolati e quasi tutti legati a singoli individui ancorati a immagini  professionali vecchie e obsolete. In realtà la compliance dei cittadini aumenta e la percezione di malpractice scende ogni giorno di più, nonostante il super lavoro a cui sono sottoposti i professionisti della salute. Si moltiplicano le esperienze di collaborazione e compartecipazione e di modelli di rete tra professionisti. Si ampliano e si rivedono i ruoli  e si riconoscono le competenze maturate nei vari settori assistenziali. Si elaborano linee guida che assegnano nuove funzioni senza che vi sia più una dominanza professionale, ma in funzione dell’efficacia della risposta assistenziale.  E questo accade soprattutto proprio dove aumenta la collaborazione professionale, che rappresenta il primo tassello del nuovo modello di assistenza ormai ineludibile per un Servizio sanitario davvero pubblico e davvero efficiente”. 

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