Il Burnout è una sindrome di esaurimento fisico, emotivo e mentale
causato dal coinvolgimento a lunga scadenza in situazioni
emotivamente esigenti. E’ una sindrome che può presentarsi in chi per
professione si occupa di persone che sperimentano situazioni
problematiche, dove il contatto con la malattia e la morte è continuo,
in questi operatori il coinvolgimento emotivo può essere tanto forte da
rilevarsi a un certo punto insostenibile.
Gli infermieri, per la peculiarità della loro attività professionale svolta
a stretto e continuo contatto con i pazienti, sono tra le categorie
maggiormente interessate dal burnout.
Il termine burnout è stato utilizzato per la prima volta in riferimento
all’ambito sanitario nel 1977 da Christina Maslach, per definire una
situazione che l’autrice aveva avuto modo di osservare con frequenza
sempre maggiore negli operatori dei servizi sociosanitari, i quali dopo
mesi o anni di impegno generoso si “bruciavano”, manifestando un
atteggiamento o di nervosismo ed irrequietezza oppure di apatia,
indifferenza e, qualche volta, anche di cinismo nei confronti del loro
lavoro.
Secondo l’autrice, il burnout si riferisce ad un tipo di risposta allo
stress da lavoro, che consiste nella tendenza a trattare i pazienti in
modo distaccato e meccanico.
La sindrome non insorge repentinamente, ma essa è il risultato di un
susseguirsi di 4 fasi che dalla Maslach vengono così suddivise:
1. Entusiasmo idealistico: caratterizzato dalle motivazioni che
hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo
assistenziale, ovvero:
- motivazioni consapevoli: migliorare il mondo e se stessi,
sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e
di maggior prestigio;
- motivazioni inconsce: desiderio di approfondire la
conoscenza di sé e di esercitare una forma di potere o di
controllo sugli altri;
2. Stagnazione: l’operatore continua a lavorare ma si accorge che
il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. I risultati del forte
impegno iniziale sono via via sempre più inconsistenti. Si passa
così da un superinvestimento iniziale ad un graduale
disimpegno dove il sentimento di profonda delusione avanza,
determinando nell’operatore una chiusura verso l’ambiente di
lavoro ed i colleghi;
3. Frustrazione: viene considerata la fase più critica, nella quale
il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in
grado di aiutare nessuno, con profonda sensazione di inutilità. Il
vissuto dell’operatore è un vissuto di perdita, di svuotamento, di
emozioni creative e di valori considerati fondamentali fino a
quel momento. Come fattori di frustrazione aggiuntivi,
intervengono lo scarso apprezzamento sia da parte dei superiori,
sia da parte degli utenti, nonché la convinzione di un’inadeguata
formazione per il tipo di lavoro svolto. Il soggetto frustrato
spesso mette in atto comportamenti di fuga (quali
allontanamenti ingiustificati dal reparto, pause prolungate,
frequenti assenze per malattia).
4. Morte professionale: il graduale disimpegno emozionale
conseguente alla frustrazione comporta un passaggio
dall’empatia all’apatia.
Il burnout non è solo un problema personale, gli effetti del burnout
tendono a propagarsi in maniera altalenante da un membro dell’èquipe
all’altro e dall’èquipe ai pazienti, coinvolgendo quindi l’intera
organizzazione dei servizi oltre che il singolo individuo.
Le conseguenze di tutto ciò sono molto gravi e si possono
schematizzare in tre livelli:
1. Livello degli operatori che “pagano” il burnout, anche
attraverso somatizzazioni, ma soprattutto attraverso dispersione
di risorse, frustrazioni e sottoutilizzazioni di potenziali;
2. Livello dei pazienti, per i quali un contatto con gli operatori in
burnout risulta frustrante, inefficace e dannoso;
3. Livello della comunità in generale che vede svanire forti
investimenti nei servizi.
Fattori di rischio e cause del burnout
Secondo la Maslach tra gli operatori sanitari più a rischio, vi sono
quelle persone che nel lavoro si buttano con più entusiasmo, che
rimangono per troppo tempo esposte a situazioni nelle quali vi è un
forte squilibrio tra richieste e risorse, tra ideale e realtà, tra ciò che è
richiesto dalla professione e il modo in cui il lavoro è realmente
organizzato. Rossati e Magro (1999) definiscono questo aspetto come
la “sindrome del buon samaritano deluso”.
Tra gli aspetti epidemiologici della sindrome del Burnout descritti
nella letteratura, non sembra esistere un accordo unanime tra i
differenti autori, sebbene si riscontra un determinato livello di
coincidenza per alcune variabili:
Età: Pare esista un periodo di sensibilizzazione in quanto,
durante i primi anni di carriera professionale, il soggetto
sarebbe maggiormente vulnerabile.
Sesso: Le donne, rispetto agli uomini, risultano più vulnerabili.
Ciò è dovuto a vari motivi, come il doppio carico di lavoro
(professionale e familiare) a cui sono sottoposte, e
l'espletamento di determinate specialità professionali che
prolungherebbero il ruolo di donna.
Stato Civile: Gioca un ruolo importante in quanto la Sindrome
sembra maggiormente presente nelle persone che non hanno un
compagno stabile. L'esistenza di figli fa sì che queste persone
siano più resistenti alla sindrome.
Turnazione Lavorativa: La turnazione e l'orario lavorativo
possono favorire l’insorgenza della sindrome; questo avviene più frequentemente nel personale infermieristico, essendo
questo più soggetto ad un dispendio di energie psicofisiche,
rispetto al personale medico.
Anzianità Professionale: alcuni autori hanno trovato una
relazione positiva tra la sindrome e l’anzianità professionale,
altri hanno evidenziato una relazione inversa, individuando nei
soggetti con più anni lavorativi un minor livello di associazione
con la sindrome.
Sovraccarico Lavorativo: sicura invece è la relazione tra
Burnout e sovraccarico lavorativo nei professionisti
assistenziali, in quanto questo fattore produrrebbe una
diminuzione, sia qualitativa che quantitativa delle prestazioni
offerte da questi lavoratori. Tuttavia non sembra esistere una
chiara relazione tra il numero di ore di contatto con i pazienti e
l'apparizione del Burnout.
Anche il salario è stato invocato come un altro fattore che
determinerebbe lo sviluppo del Burnout in questi professionisti.
Segni e sintomi del burnout
I sintomi del burnout possono essere classificati in:
sintomi psichici (cognitivo-emozionali):sono i sintomi principali
perché investono sia la sfera emotiva che quella cognitiva.
Christina Maslach descrive tre gruppi di sintomi :
1. esaurimento emotivo: stanchezza, sensazione di
esaurimento, di essere svuotati di ogni energia sia psichica
che fisica, apatia, demoralizzazione, difficoltà di
concentrazione, disagio, irritabilità; preoccupazioni o paure
eccessive, senso di frustrazione o di fallimento;
2. depersonalizzazione: perdita di ogni atteggiamento positivo
verso se stessi, il mondo e gli altri (familiari, colleghi,
utenti), con conseguente approccio clinico e distaccato
compromettente ogni relazione efficace d’aiuto;
3. mancanza di realizzazione: l’operatore non si sente
realizzato sul lavoro e comincia a svalutarsi sia sul piano
professionale, sia su quello personale. Nonostante gli sforzi,
non riesce a frenare questo crollo della fiducia nelle proprie
capacità e risorse; i nuovi impegni gli sembrano
insostenibili, ha la sensazione di non essere all'altezza dei
problemi nel lavoro e nel privato.
Ai sintomi inclusi in queste tre categorie, F. Folgheraiter aggiunge
quelli descrivibili come:
- perdita di controllo: l’operatore non riesce più a controllare lo
spazio o l’importanza del lavoro nella propria vita. Ha la
sensazione che il lavoro lo “invada”; non riesce a “staccare” mentalmente; il pensiero degli utenti o i problemi con i colleghi
gli creano sempre più malessere, anche oltre l’orario di lavoro.
sintomi comportamentali: I sintomi del burn-out comprendono
alcuni o molti tra i seguenti comportamenti :
- assenteismo;
- “fuga dalla relazione”: trascorrere più tempo del necessario al
telefono, cercare scuse per uscire o svolgere attività che non
richiedano interazioni con utenti e colleghi;
- Progressivo ritiro dalla realtà lavorativa: presenziare alle
riunioni senza intervenire, senza alcuna partecipazione emotiva,
e solo per lo stretto necessario;
- Difficoltà a scherzare sul lavoro, talvolta anche solo a sorridere;
- Ricorso a misure di controllo o allontanamento nei confronti
degli utenti: sedazione, contenzione fisica, espulsione;
- Perdita dell’autocontrollo: reazioni emotive violente, impulsive,
verso utenti e/o colleghi;
- Tabagismo e assunzione di sostanze psicoattive: alcool,
psicofarmaci, stupefacenti.
Sintomi fisici: la sindrome del burnout provoca o aggrava alcuni o
molti tra i seguenti disturbi psicosomatici:
- disfunzioni gastrointestinali: gastrite, ulcera, colite,
stitichezza,diarrea;
- disfunzioni a carico del SNC: astenia, cefalea, emicrania;
- disfunzioni sessuali: impotenza, frigidità, calo del desiderio;
- malattie della pelle: dermatite, acne, afte, orzaiolo;
- allergie e asma;
- insonnia o altri disturbi del sonno;
- disturbi dell’appetito;
- componenti psicosomatiche di artrite, cardiopatia, diabete.
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