lunedì 30 novembre 2015
La responsabilità penale degli infermieri di triage
Cass. pen., Sez. IV, 19 marzo 2015, n. 11601
Il Tribunale dichiarava due infermieri, R. ed N., addetti al triage presso il Pronto Soccorso di una clinica, responsabili del reato di omicidio colposo in danno di un paziente, deceduto per sindrome coronarica acuta. Il Tribunale disponeva, altresì, il risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, alle quali attribuiva una somma a titolo di provvisionale.
Alla R. era addebitato di aver assegnato al paziente un codice verde nonostante lamentasse dolore toracico atipico, di aver omesso di monitorare le variazioni delle condizioni del paziente ogni 30-60 minuti e di non avere segnalato all’infermiere che la sostituiva, al momento del passaggio di consegne, la presenza di un paziente con dolore toracico in sala di attesa. Al secondo imputato era addebitato di non aver ripetuto il monitoraggio del paziente in sala di attesa ogni 30-60 minuti.
In fatto era accaduto che un uomo, senza precedenti clinici di rilievo, era stato accettato presso il Pronto Soccorso alle ore 18.43 con algia sternale. Sottoposto al triage (iniziale valutazione) da parte del personale infermieristico, gli veniva assegnato il codice verde ed era inviato in sala d’attesa, dove, seduto sulla sedia da circa sei ore, alle ore 00.30 si era accasciato improvvisamente per arresto cardiaco. Sottoposto ad angioplastica coronarica, era deceduto a seguito di progressive complicanze.
Sulla scorta dei sintomi manifestati dal paziente e delle risultanze istocrinologiche, indicative di inizio d’infarto almeno 6-8 ore prima del suo decesso, il Tribunale riteneva che all’arrivo al Pronto Soccorso l’infarto miocardico acuto fosse già iniziato e che una diagnosi tempestiva avrebbe consentito di eseguire lo stesso intervento con esito differente. Riconosceva, pertanto, la sussistenza del nesso di causalità tra l’omissione e l’evento.
Rilevava il Tribunale che un primo profilo di colpa era ravvisabile nell’erronea assegnazione del codice verde. Osservava che, ancorché il protocollo presso il Pronto Soccorso della clinica non prevedesse l’esecuzione di un ECG, il paziente aveva in ogni caso manifestato una sintomatologia degna di considerazione che, anche in ragione dell’età del soggetto, meritava l’attribuzione del codice giallo.
Evidenziava, altresì, altro profilo di colpa, consistente nel non aver proceduto, dopo la prima attribuzione, al monitoraggio della situazione, come previsto nel protocollo di Pronto Soccorso della clinica. Osservava il Tribunale che non era credibile che il paziente fosse rimasto stazionario durante tutta l’attesa, perché in quel lasso di tempo, oltre a un peggioramento dei sintomi, doveva essere intervenuta anche una variazione dei parametri registrati inizialmente, così da condurre alla modifica del codice. Rilevava, altresì, che la situazione non era stata presa in considerazione al momento del passaggio di consegne del personale infermieristico, posto che neanche i medici erano a conoscenza della presenza di un paziente ancora da valutare.
A seguito di appello interposto dagli imputati, la Corte d’Appello li assolveva dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto.
La Corte escludeva l’erronea assegnazione del codice d’ingresso in forza della documentazione sanitaria resasi disponibile. Quanto all’omissione del monitoraggio, pur ritenendola sussistente, evidenziava che dalle risultanze processuali era dato di evincere che il giorno dell’evento nel Pronto Soccorso si erano verificate numerose urgenze che avevano impedito di procedere alla rivalutazione delle persone presenti. Rilevava, inoltre, che anche una rivalutazione del caso non avrebbe modificato l’assegnazione del codice, criticando in proposito il rilievo del giudice di primo grado secondo cui, nel lasso di tempo intercorso, vi sarebbe stato un cambiamento sintomatologico e dei parametri vitali. Osservava, quanto all’imputato N., che la presenza di un paziente cui era assegnato un codice verde, unitamente all’eccezionale afflusso di pazienti al Pronto Soccorso in quel giorno, rendeva non riferibile a lui la mancata rivalutazione. Escludeva, inoltre, il nesso causale sul rilievo che, essendo stato accertato in sede autoptica che il processo infartuale era iniziato tra le 12 e le 15 ore prima dell’evento, il tempestivo intervento avrebbe lasciato comunque sussistere non trascurabili percentuali di non sopravvivenza.
Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello e la parte civile.
Ad avviso della Corte di Cassazione, venivano in considerazione, in primo luogo, le censure attinenti ai vizi motivazionali prospettati con riferimento alla ritenuta corretta assegnazione del codice di triage e all’apparente mancanza di aggravamento del paziente durante la permanenza al Pronto Soccorso.
In proposito si osservava, quanto al primo profilo, che, a fronte dei rilievi contenuti nella sentenza di primo grado riguardo alla sussistenza di un quadro sintomatologico tale da meritare l’attribuzione di un codice giallo, la Corte d’Appello giungeva a differenti conclusioni limitandosi a fare riferimento alle risultanze del “bollettone” di Pronto Soccorso, dal quale si evinceva che l’uomo si era presentato “non pallido, eupnoico, non sudato” e con parametri vitali normali. Riteneva la Cassazione che la motivazione sul punto fosse insufficiente, posto che delle indicazioni contenute nel predetto documento aveva tenuto conto anche la sentenza di primo grado nel giungere ad opposto convincimento, rapportando, inoltre, le condizioni della vittima a quelle di altra situazione analoga giunta in Pronto Soccorso quello stesso giorno e valutata con assegnazione di un codice rosso.
Quanto al secondo profilo, la Cassazione evidenziava l’illogicità manifesta del ragionamento della Corte d’Appello che traeva dalla soggettiva manifestazione del paziente (“si doleva per gli intollerabili tempi di attesa … e non lamentava aggravamenti sintomatici”) l’irragionevolezza dell’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, riguardo al ritenuto peggioramento sia sintomatologico che dei parametri, tale da indurre a un pronto intervento medico, affermazione tratta, in realtà, in forza di un ragionamento deduttivo, “dall’esito verificatosi” secondo una massima di comune esperienza.
La sentenza impugnata era, altresì, censurabile, secondo la Cassazione, quanto alle conclusioni cui era giunta con riferimento all’inesigibilità della condotta degli infermieri. La Corte territoriale, infatti, desumeva l’impossibilità di rivalutazione della situazione del paziente, pur prevista dal protocollo ospedaliero, dalla esiguità del personale in servizio quel giorno, a fronte della situazione eccezionale, per il numero di persone giunte in Pronto Soccorso.
Ma, sosteneva la Suprema Corte, l’affermazione dell’esonero da responsabilità, per omessa attuazione di una condotta doverosa ai fini della salvaguardia della vita umana, avrebbe richiesto una compiuta analisi riguardo alla presenza di medici e infermieri in rapporto all’affluenza delle presenze in Pronto Soccorso, considerando non solo il personale ivi addetto, ma anche le disponibilità delle forze presenti nell’intero ospedale. Ed invero deve ritenersi che spetti al personale di Pronto Soccorso allertare il personale dei reparti, ove si verifichino situazioni di emergenza tali da determinare la compromissione grave della salute dei cittadini bisognosi di cure di primo intervento, circostanza che non risulta emergere nella specie.
Passando alla questione relativa alla negazione della sussistenza del nesso causale, la Cassazione sottolineava del pari la manifesta illogicità del percorso motivazionale. La Corte territoriale, infatti, pur richiamando espressamente i criteri enunciati in tema di causalità omissiva dalla sentenza Franzese, si fondava su un ragionamento probabilistico che, in contrasto con il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale da quest’ultima sentenza enunciato, riconduceva l’incidenza del più tempestivo intervento in termini percentuali, per vero neppure esigui, di sopravvivenza del paziente.
Va, in proposito, ricordato che le Sezioni Unite nella sentenza citata così si esprimono: “il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”.
Peraltro, le censure non investivano la posizione del N.
Ed invero, veniva posta in luce l’omessa segnalazione, al momento della presa in carico del servizio da parte di costui, di situazioni particolari da parte dell’infermiera che lo aveva preceduto, oltre alla presenza di situazioni di emergenza verificatesi proprio durante il suo turno. Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello evidenziava, a fondamento del giudizio di esonero di responsabilità dell’imputato, che “la presenza del paziente con assegnato codice verde, unitamente all’eccezionale afflusso di richiedenti nel Pronto Soccorso, aveva indotto ad unaffidamento sull’attività di triage effettuata dalla collega che l’aveva preceduto”.
In definitiva, la Cassazione annullava la sentenza impugnata nei confronti di R. e del responsabile civile e rinviava per nuovo esame alla Corte d’Appello. Rigettava, invece, i ricorsi nei confronti di N.
(Fonte: Quotidiano Infermieri)
Ritmi defibrillabili e Non defibrillabili
La morte Improvvisa è una morte prevalentemente cardiaca ovvero nella quale l’arresto cardiaco caratterizza l’attimo in cui la cessazione del flusso cerebrale causa la perdita di coscienza.
A tutti gli effetti l’organismo nei primi minuti successivi all’evento è spesso ancora in grado di recuperare totalmente la sua funzionalità a patto che l’arresto di circolo sia interrotto prontamente ripristinando un regolare ritmo cardiaco.
Il normale ritmo cardiaco viene definito RITMO SINUSALE in quanto origina nel Nodo Senoatriale o NODO DEL SENO, naturale pace-maker del nostro cuore.Per aritmia si intende ogni forma di alterazione del normale ritmo sinusale. La maggior parte delle aritmie non comporta una grossa alterazione emodinamica e viene sopportata più o meno bene dal paziente.
Alcune aritmie, invece, definite appunto MALIGNE, sono in grado di alterare così profondamente la circolazione da definire un quadro di Arresto Cardiaco e pertanto necessitano di una terapia immediata volta a rianimare il soggetto.
I ritmi cardiaci in corso di arresto circolatorio si possono dividere in 2 classi dipendentemente dalla terapia indicata: Ritmi Defibrillabili e Ritmi Non Defibrillabili.
I
RITMI DEFIBRILLABILI sono caratterizzati da alterazioni del ritmo che
si traducono nella assenza della attività di pompa del cuore, per i
quali l’unico trattamento efficace è la defibrillazione elettrica.
Alcune caratteristiche salienti di questi ritmi meritano di essere menzionate:
1. Sono i ritmi iniziali più frequenti nell’arresto cardiaco extraospedaliero (70-90%).
2. Il loro unico trattamento efficace è la defibrillazione.
3. La probabilità della defibrillazione decresce col trascorrere del tempo (7-10% ogni minuto) in quanto questi ritmi degenerano rapidamente in ritmi non defibrillabili.
4. La prognosi in caso di ritmo defibrillabile è nettamente più favorevole rispetto a ritmi non suscettibili di defibrillazione.
5. La rianimazione cardiopolmonare di base rallenta il danno anossico cerebrale e può prolungare la durata di questi ritmi in attesa di un defibrillatore, ma non è in grado di convertire un ritmo defibrillabile in un ritmo valido.
Alcune caratteristiche salienti di questi ritmi meritano di essere menzionate:
1. Sono i ritmi iniziali più frequenti nell’arresto cardiaco extraospedaliero (70-90%).
2. Il loro unico trattamento efficace è la defibrillazione.
3. La probabilità della defibrillazione decresce col trascorrere del tempo (7-10% ogni minuto) in quanto questi ritmi degenerano rapidamente in ritmi non defibrillabili.
4. La prognosi in caso di ritmo defibrillabile è nettamente più favorevole rispetto a ritmi non suscettibili di defibrillazione.
5. La rianimazione cardiopolmonare di base rallenta il danno anossico cerebrale e può prolungare la durata di questi ritmi in attesa di un defibrillatore, ma non è in grado di convertire un ritmo defibrillabile in un ritmo valido.
Il miocardio si presenta tremolante; non si realizza gittata cardiaca. La FV è il meccanismo più frequente di arresto cardiaco.
La Tachicardia Ventricolare (TV) è caratterizzata da battiti di origine ventricolare in successione ad una frequenza superiore a 100/minuto. Non sono presenti normali complessi QRS, ma onde a morfologia bizzarra con incisure.
Le conseguenze emodinamiche della TV dipendono dalle condizioni del miocardio (ischemia, infarto…) e dalla frequenza della TV (fino ad oltre 200 b/min).
Quando la TV diventa emodinamicamente instabile (ischemia, alta frequenza) si può arrivare facilmente ad un quadro di arresto cardiaco (Tachicardia Ventricolare Senza Polso) ed il trattamento deve essere la defibrillazione elettrica come nella FV.
I RITMI NON DEFIBRILLABILI sono l’Asistolia e la Attività elettrica senza polso.
La Asistolia ventricolare (Cardiac Standstill) rappresenta la totale assenza di attività elettrica ventricolare a cui corrisponde assenza di contrazione dei ventricoli. L’asistolia può verificarsi come primo evento in un arresto cardiaco, può seguire una FV o TV e rappresentarne il deterioramento o seguire una DEM (vedi oltre).
Il trattamento prevede BLS e trattamento avanzato delle funzioni vitali (ACLS) il prima possibile. La sopravvivenza è nettamente inferiore rispetto ai casi defibrillabili.
L’Attività Elettrica Senza Polso (Pulseless Electrical Activity-PEA) definisce un insieme eterogeneo di ritmi che include la Dissociazione Elettro-meccanica (DEM), i ritmi idioventricolari, i ritmi di scappamento ventricolari, i ritmi idioventricolari post-defibrillazione ed i ritmi bradiasistolici.
Sono tutte aritmie caratterizzate dall’assenza di polso palpabile e dalla presenza di una qualche attività elettrica. I cardiologi hanno classicamente applicato il termine DEM quando in assenza di polso sia presente una attività elettrica a complessi stretti: in questa situazione si ha una depolarizzazione coordinata dal miocardio, ma non è presente alcuna contrazione miocardica.
La defibrillazione non è indicata.
Nei ritmi non defibrillabili la Defibrillazione Elettrica non solo non è indicata, ma è attualmente ritenuta dannosa. Le percentuali di ripristino del ritmo Sinusale sono in questi casi relativamente scarse come mostrato nella figura sotto.
sabato 28 novembre 2015
Oltre il comma 566 si può
Quando si parla di Infermieri raramente si scende nella quotidianità delle attività, ci si interroga sul lavoro che eseguono, del loro apporto alle “cure” del paziente, della co-partecipazione o collaborazione agli “esiti” della medicina rispetto alle malattie ed alla tutela della salute.
Rimane un gap informativo che non riesce a colmare la distanza, reale o fittizia, tra assistenza e cura, come se le due azioni avessero percorsi diversi e non invece integrati. E’ forse un falso problema? Se è un falso problema in cosa è fallace questa affermazione?
Potremmo cominciare con il dire che sarebbe giunto il momento di provare realmente ad integrare i due percorsi, perché inscindibili non per le professioni ma per il paziente. Nella cultura sanitaria moderna la centralità del paziente è l’obiettivo da raggiungere, una centralità fin troppo annunciata ma quasi mai praticata perché ancora troppe sono le difese di categoria che impediscono di fatto quanto si vorrebbe affermare.
Ma se per un attimo concentrassimo il focus, togliendo dallo spazio di analisi colui che riceve la “cura”, sugli attori del gesto ci accorgeremo delle differenze? Cosa caratterizza gli uni (gli infermieri) e cosa caratterizza gli altri (i medici)?
In un tempo non molto lontano era ovviamente tutto molto chiaro, imperava una organizzazione piramidale dove il medico aveva senza alcun dubbio il primato delle decisioni, un primato assoluto e le altre figure fungevano da supporto affinché la sua azione avesse l’esito sperato.
Ad un certo punto, almeno in Italia piuttosto che in altri Paese, gli Infermieri hanno cominciato a chiedere un diverso riconoscimento della loro opera all’interno dei percorsi di cura, provando a staccarsi dalla clinica intesa come diagnosi ed provando a far emergere la clinica intesa come assistenza.
Un percorso arduo che pareva raggiunto quando, all’alba del nuovo millennio, quel riconoscimento veniva di fatto ottenuto attraverso l’approvazione delle legge 42/99 che riconosceva agli operatori “paramedici” ed “ausiliari“ la patente di “professionista sanitario”.
Quello che doveva essere un nuovo punto di partenza si è rivelato, nel corso degli anni a seguire, un traguardo impedendo di fatto alla Professione Infermieristica di evolvere nel campo della autonomia professionale, rimasta per lo più sulla carta e quasi mai entrata nelle Unità Operative.
Tralasciando gli aspetti normativi, sul quale sarebbe meritoria un’analisi giuridica approfondita, sarebbe significativo poter dare un “peso” al lavoro svolto dagli Infermieri ma questo non è possibile farlo nonostante gli aspetti di cura ed assistenza vivano sulla valutazione degli esiti rispetto agli interventi proposti.
E’ possibile sostenere che ci sia stata un’evoluzione nel lavoro quotidiano degli Infermieri? In che modo è possibile sostenere questa tesi paragonando le attività svolte oggi rispetto a quelle ante 1999?
Il problema è che, nonostante la formazione di base si sia appropriata delle istituzioni accademiche, questa differenza è difficile da poter riscontrare nella pratica di tutti i giorni.
Nelle corsie ospedaliere raramente vengono messe in pratica tutte quelle nozioni che si apprendono durante il triennio del corso di laurea, non a caso i laureati in Scienza Infermieristiche nel momento in cui varcano la porta del mondo del lavoro trovano davanti a loro uno scenario ben diverso da quello che veniva descritto sui libri o durante le lezioni. Nulla conta il tirocinio per poter dar loro la percezione reale della realtà.
Questa dicotomia tra aspirazione e realtà è resa ancora più pesante dall’insufficiente apporto degli stessi Infermieri che nel corso di questi 15 anni non sono riusciti a portare avanti un percorso di valorizzazione accademica che puntasse nel breve – medio termine alla formazione di una classe di Professori Universitari propri della professione che potesse guidare l’evoluzione anche formativa, evoluzione anche questa ferma sulla carta e mai espressa nella quotidianità.
Anche lo scontro professionale che da sempre accompagna Infermieri e Medici appare mitigato come se non esistesse o facente parte solamente di diatribe meritevoli solo di comparire per riempire pagine di giornali e favorire le analisi degli esperti.
Durante i turni non è apprezzabile la tensione legata alle competenze professionali, ogni professionista conosce perfettamente il proprio posto e tutto appare svolgersi con regolarità ma bisognerebbe dire professionalità.
Dunque tutte le polemiche che si sono susseguite dopo l’emanazione del famoso comma 566 sono state il frutto di una mistificazione della realtà? La classe medica non è quella corporazione conservatrice che gli Infermieri vorrebbero scardinare?
In parte, lo dico da Infermiere, si.
In quel comma, dove si parla in maniera generica di competenze avanzate, non c’è nulla che sappia spiegare agli Infermieri perché sia giusto perseguire quanto, tra l’altro, già prevedeva la legge 42/99 all’atto della sua emanazione.
Il valore accademico del corso di Laurea non aveva come obiettivo quello di licenziare nuovi “Dottori” ma le sue mire erano molto più specifiche, ovvero di formare Infermieri capaci di assumersi quelle responsabilità che la legge 42/99 non identificava nello specifico ma che erano declamate in altre disposizioni legislative oltre che nel codice deontologico.
Se il passaggio dal corso regionale triennale al quello accademico non ha prodotto l’autonomia tanto auspicata non è soltanto un problema legislativo ma interviene anche un problema culturale.
In quel delicato passaggio, nel tentativo nobile di non lasciare nessuno indietro, si è deciso di equiparare i titoli commettendo probabilmente l’errore che ha impantanato gli Infermieri.
La cultura che permeava gli Infermieri del fine secolo scorso non aveva nell’autonomia decisionale alcuna rivendicazione reale. Gli Infermieri, con professionalità e diligenza, svolgevano il loro compito di assistenza al paziente eseguendo tutte le mansioni previste dal loro profilo.
Quegli Infermieri, di cui vanto con orgoglio l’appartenenza, si sono ritrovati d’un tratto apparentemente “autonomi” fatto salvo che nessuno aveva spiegato loro “quale autonomia praticare”.
In questo deserto formativo hanno continuato a lavorare con la stessa professionalità ed a poco a poco si sono viste le loro equipe integrate di giovani Infermieri che giustamente reclamavano il riconoscimento del loro titolo accademico non nelle diciture della divisa ma nell’attività professionale.
Piccolo inciso personale per specificare quanto affermo: nel 1999 ero inserito nell’equipe di Dialisi ed Emodialisi dell’Ospedale di Ivrea (TO), allora inserita nella ASL 9. All’epoca nessun collega colse la grande opportunità della legge 42/99 e come Infermieri di Dialisi avevamo indubbiamente un prestigio particolare ovvero quello di avere conoscenze tecniche molto specialistiche nonché un’autonomia prevista da protocolli interni per la gestione del paziente durante la seduta dialitica. Quando nel 2007 sono tornato a lavorare in un Centro Dialisi, questa volta in Toscana a Firenze, non ho percepito alcuna differenza. La mia autonomia era inserita dentro una collaborazione di equipe che non prevedeva nulla di diverso rispetto al mia prima esperienza piemontese, eppure erano passati 8 anni!
Non era possibile guidare meglio quella che doveva essere una rivoluzione culturale? Ma soprattutto non doveva essere prioritario farlo coinvolgendo tutti gli attori di cura del paziente, il medico in primis?
In questo passaggio forse c’è stato una presunzione, comprensibile ma non giustificabile, ovvero che essendoci la “norma” allora tutti ci sarebbero dovuti adeguare.
In un contesto di azione dove viene rimarcata a gran voce la collaborazione in equipe, sarebbe stato più opportuno concordare sin da subito, proprio perché intervenuta la norma, quali fossero le competenze da sviluppare e successivamente formare, in visione del Corso di Laurea.
In questo contesto, pur riconoscendo nella classe medica una certa rigidità in termini di tutela professionale, forse le cose sarebbero andate diversamente ed oggi non saremo qui a trattare argomenti triti e ritriti che sono diventati con il tempo stucchevoli e noiosi.
In una fase di crisi delle professioni in genere, a causa anche di un sistema che predilige la prestazione alla progettazione, appare alquanto antistorico parlare di evoluzione delle competenze non fosse altro che corriamo il rischio davvero di far perdere ulteriore campo nella capacità del cittadino di riconoscere al professionista il suo valore.
Mente gli Infermieri continuano a eseguire “prestazioni” del tutto identiche rispetto al 1992 (anno della mia abilitazione professionale) il sistema si dichiara “non sostenibile” e di conseguenza prova a “sostenersi” attraverso l’attribuzione di competenze che non mirano affatto ad una migliore assistenza al paziente ma ad un economicismo che mette a rischio il paziente stesso. La famosa proposta del Presidente Rossi di sostituire gli Infermieri con gli OSS non è stata una svista politica ma nel concetto generale di economicità, la perdita del valore del “capitale umano” come risorsa del sistema ha una sua precisa strategia ovvero garantire lo stesso prodotto a minor costo possibile e se il prodotto (ovvero la prestazione sanitaria) non viene riconosciuto come atto professionale si perde l’univocità del professionista, sia esso Infermiere o Medico.
Il “rischio”, onde evitare polemiche con i colleghi, non sta nella esecuzione “tecnica” di una prestazione ma nella capacità di non perdere la visione d’insieme della mission ultima di una professione sanitaria ovvero la tutela della salute come esplicitato nel dettato costituzionale all’articolo 32.
Ma dato il periodo storico, de-finanziamento dei fondi per il Servizio Sanitario, riduzione sistematica dei servizi con l’accentramento e l’accorpamento degli stessi a cui potremmo aggiungere i blocchi contrattuali, i blocchi del turnover con la perdita di professionisti che non vengono sostituiti, quello che ci si sarebbe dovuti aspettare non è una battaglia sulle competenze ma soprattutto una nuova “primavera” per rivendicare il ruolo centrale delle professioni rispetto al Sistema.
Questo non avviene, il sospetto è che in ogni caso la destrutturazione del Servizio Pubblico aprirà altre porte, gli Infermieri corrono il rischio di voler a tutti i costi profittare della situazione per vedere riconosciuta la loro professionalità. In questo quadro, dove la battaglia non è in funzione della tutela del cittadino ma della conservazione corporativa, quello che intravedo è una rischiosa operazione che metterà gli Infermieri a dover scegliere se evolvere in un contesto di gioco contrattuale al ribasso, più competenze, più responsabilità a costo zero.
Forse questo è quanto aspira chi vuole a tutti i costi un posto nella storia, sarebbe opportuno chiedere agli Infermieri cosa pensano prima di scaraventarli in un mondo che potrebbe essere peggiore.
I Dirigenti hanno la responsabilità di guidare questa professione al suo miglioramento e la proposta è presto fatta: se davvero vogliamo poter contare sui PDTA occorre che mettiamo in gioco il nostro lavoro permettendo di essere misurati.
Ad oggi questa è l’unica proposta che ancora non è uscita nel pallottoliere della professione.
LE POSIZIONI ORGANIZZATIVE NEL CCNL COMPARTO SANITA’
- 20 NOVEMBRE 2015
- DIRITTO SANITARIO
Nel sistema delineato dal CCNL del Comparto Sanità la valorizzazione delle professionalità, unitamente alle esigenze di flessibilità, sono all’origine dell’istituzione delle posizioni organizzative.
Le posizioni organizzative costituiscono, infatti, uno strumento che concorre a realizzare un modello organizzativo flessibile che assume quale principio base quello meritocratico, come tale finalizzato a premiare i dipendenti dell’area apicale del comparto (categoria D),appositamente scelti per la particolare competenza e preparazione professionale.
La dottrina ha osservato che le posizioni organizzative costituiscono uno strumento incentivante e fidelizzante per i collaboratori diretti dei dirigenti e che il mancato rispetto del principio della meritocrazia mina il grado motivazionale dei singoli individui e dell’intera organizzazione, sviluppando una cultura non aziendale[1].
Il CCNL configura l’istituto, non già quale progressione giuridica della carriera, ma come incarico temporaneo, rinnovabile (condizionatamente al raggiungimento dei risultati preventivamente programmati), avente a oggetto lo svolgimento di funzioni direttive di particolare complessità, caratterizzate da elevata autonomia ed esperienza.
In particolare, le seguenti disposizioni contrattuali regolano, da un lato, il potere di istituire, graduare e valutare le singole posizioni organizzative (art. 20), dall’altro, indicano i due criteri generali cui le aziende sanitarie devono uniformarsi per il conferimento degli incarichi (art. 21), e ciò, al fine di assicurare la correttezza e trasparenza dell’esercizio del potere datoriale.
La selezione del dipendente cui attribuire la posizione organizzativa deve, infatti, avvenire in base ai requisiti culturali posseduti, alle attitudini, alla capacità professionale e all’esperienza acquisita (presupposti di natura soggettiva) e tenendo conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare (criterio tipicamente oggettivo).
E così, l’art. 20 del CCNL del Comparto Sanità del 07.04.1999 (doc. 1) prevede che: 1. Le aziende ed enti […] istituiranno posizioni organizzative che richiedono lo svolgimento di funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilità.
- Le posizioni organizzative […] possono riguardare settori che richiedono lo svolgimento di funzioni di direzione di servizi, dipartimenti, uffici o unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da un elevato grado di esperienza e autonomia gestionale e organizzativa o lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione […].
- La graduazione delle funzioni è definita da ciascuna azienda o ente in base a criteri adottati per valutare le posizioni organizzative individuate. Nella graduazione delle funzioni le aziende ed enti tengono conto, a titolo esemplificativo, dei seguenti elementi, anche integrandoli con riferimento alla loro specifica situazione organizzativa:
- a) livello di autonomia e responsabilità della posizione, anche in relazione alla effettiva presenza di posizioni dirigenziali sovraordinate;
b) grado di specializzazione richiesta dai compiti affidati;
c) complessità delle competenze attribuite;
d) entità delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e strumentali direttamente gestite;
e) valenza strategica della posizione rispetto agli obiettivi aziendali.
Quanto, poi, specificamente, alle modalità di affidamento degli incarichi per le posizioni organizzative, l’art. 21 (doc. 1) stabilisce quanto segue.
1. Le aziende o enti formulano in via preventiva i criteri generali per conferire al personale indicato nel comma 2 gli incarichi relativi alle posizioni organizzative istituite.
2. Per il conferimento degli incarichi le aziende o enti tengono conto – rispetto alle funzioni ed attività prevalenti da svolgere – della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisite dal personale, prendendo in considerazione tutti i dipendenti collocati nella categoria D nonché – limitatamente al personale del ruolo sanitario e di assistenza sociale – nella categoria C per tipologie di particolare rilievo professionale coerenti con l’assetto organizzativo dell’azienda o ente.
3. Gli incarichi sono conferiti con provvedimento scritto e motivato e, in relazione ad essi, è corrisposta l’indennità di funzione prevista dall’art. 36, da attribuire per la durata dell’incarico. Al finanziamento dell’indennità si provvede con il fondo previsto dall’art. 39.
4. Il risultato delle attività svolte dai dipendenti cui siano stati attribuiti incarichi di funzione è soggetto a specifica e periodica valutazione di cadenza non inferiore all’anno. La valutazione positiva dà anche titolo alla corresponsione della retribuzione di risultato.
1. Le aziende o enti formulano in via preventiva i criteri generali per conferire al personale indicato nel comma 2 gli incarichi relativi alle posizioni organizzative istituite.
2. Per il conferimento degli incarichi le aziende o enti tengono conto – rispetto alle funzioni ed attività prevalenti da svolgere – della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisite dal personale, prendendo in considerazione tutti i dipendenti collocati nella categoria D nonché – limitatamente al personale del ruolo sanitario e di assistenza sociale – nella categoria C per tipologie di particolare rilievo professionale coerenti con l’assetto organizzativo dell’azienda o ente.
3. Gli incarichi sono conferiti con provvedimento scritto e motivato e, in relazione ad essi, è corrisposta l’indennità di funzione prevista dall’art. 36, da attribuire per la durata dell’incarico. Al finanziamento dell’indennità si provvede con il fondo previsto dall’art. 39.
4. Il risultato delle attività svolte dai dipendenti cui siano stati attribuiti incarichi di funzione è soggetto a specifica e periodica valutazione di cadenza non inferiore all’anno. La valutazione positiva dà anche titolo alla corresponsione della retribuzione di risultato.
Poiché l’istituto in esame non risulta essere pienamente regolamentato dal CCNL 07.04.1999, è stata affidata alle singole aziende sanitarie, nell’ambito del proprio potere di autogoverno, la definizione di una compiuta disciplina in ordine alle modalità di individuazione e attribuzione delle posizioni organizzative.
In analogia a quanto già disciplinato per gli incarichi dirigenziali, dunque, le aziende sanitarie devono dotarsi di un apposito regolamento per definire le modalità di affidamento, valutazione, conferma e revoca delle posizioni organizzative, oltre che per precisare i poteri e le responsabilità concretamente conferiti ai dipendenti prescelti.
La procedura attraverso cui nel comparto sanità si sceglie il dipendente al quale attribuire l’incarico di posizione organizzativa non può ritenersi un vero e proprio concorso interno, in quanto non prevede alcuna progressione verticale; ciò che viene attribuita è, infatti, unafunzione di direzione/coordinamento, avente durata temporanea, prestabilita e rinnovabile, all’interno della categoria (D) nella quale l’interessato resta contrattualmente inquadrato.
In sede di valutazione, il datore di lavoro deve verificare i requisiti di idoneità dei candidati, predisponendo un elenco degli idonei in possesso dei requisiti di professionalità e delle capacità manageriali richieste in relazione all’incarico da conferire, da cui poi il Direttore generale attinge il prescelto.
Tali regole sono state codificate nel D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 che, con l’obiettivo di valorizzare il merito e le capacità individuali, ancora tutti i criteri di scelta del personale destinatario dei trattamenti accessori o progressioni di carriera a criteri di natura oggettiva, assolutamente vincolanti per il datore di lavoro pubblico (cfr. artt. 1, comma 2: “Le disposizioni del presente decreto assicurano una migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità”; art. 18, comma 1: “Le amministrazioni pubbliche promuovono il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi, secondo logiche meritocratiche, nonché valorizzano i dipendenti che conseguono le migliori performance attraverso l’attribuzione selettiva di incentivi sia economici sia di carriera”; art. 24, comma 2: “L’attribuzione dei posti riservati al personale interno e’ finalizzata a riconoscere e valorizzare le competenze professionali sviluppate dai dipendenti, in relazione alle specifiche esigenze delle amministrazioni”; art. 25: 1. Le amministrazioni pubbliche favoriscono la crescita professionale e la responsabilizzazione dei dipendenti pubblici ai fini del continuo miglioramento dei processi e dei servizi offerti. 2. La professionalità sviluppata e attestata dal sistema di misurazione e valutazione costituisce criterio per l’assegnazione di incarichi e responsabilità secondo criteri oggettivi e pubblici”).
La giurisprudenza considera la scelta del datore di lavoro sindacabile giudizialmente oltre che per i vizi di legittimità causati dalla violazione delle norme contrattuali (in particolare, di quelle che codificano i criteri di valutazione), anche nell’ipotesi di violazione degli obblighi di correttezza e di buona fede, con conseguente possibilità per il Giudice di dichiarare l’illegittimità dei provvedimenti e di condannare l’amministrazione alla ripetizione della selezione e/o della scelta medesima nel rispetto del CCNL e della normativa vigente ovvero (cfr. Cass. Sez. un. sentenza n. 15764 del 19.07.2011) al risarcimento dei danni causati al candidato dall’inadempimento contrattuale.
Secondo il più recente e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, riferito alle qualifiche dirigenziali, ma certamente applicabile anche al personale di comparto di posizione apicale che aspira all’incarico di posizione organizzativa[2], posto che gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l’amministrazione al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.) applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.. Tali norme obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte (Cass. 14 aprile 2008, n. 9814; nello stesso senso cfr. Cass. Civ. 05 marzo 2012, n. 3415; Cass. Civ. 17 aprile 2012, n. 5999; Cass. Civ. 04 aprile 2012, n. 5369).
La violazione del diritto soggettivo del lavoratore all’adempimento da parte dell’azienda sanitaria dell’obbligo di procedere al corretto svolgimento dell’attività selettiva e della legittima aspettativa a vedere correttamente valutata la propria capacità ed esperienza professionale, può evidentemente motivare la pretesa risarcitoria per perdita di chance oltre che per eventuali danni all’immagine professionale.
[1] cfr. Dionisio Serra. L’incarico relativo alle posizioni organizzative nel pubblico impiego con particolare riferimento alle autonomie locali e alla sanità in http://impiegopubblico.com
[2] Come si evince, infatti, dal contenuto dell’art. 19, comma 1 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacita’ professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell’amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell’incarico), il conferimento degli incarichi di posizione organizzativa soggiace sostanzialmente agli stessi criteri di valutazione di natura oggettiva e soggettiva di cui all’art. 21 del CCNL cit.
Avv. Giacomo Doglio
Orario di lavoro infermieri. Cosa cambia.
Non è tutto oro quello che luccica ed è proprio il caso di dirlo riguardo al D.Lgs 66/2003 che rappresenta il recepimento dell’Italia della direttiva Europea nata per tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori ma che per certi aspetti potrebbe rivoltarsi contro.
Dal 25 novembre, è entrata in vigore la normativa UE sul giusto orario di lavoro in sanità pubblica, che prevede il rispetto delle undici ore di riposo consecutive, ogni 24, e il non superamento delle 48 ore lavorative settimanali.
Gli aspetti pratici e le regole a cui i coordinatori dovranno rigorosamente attenersi nella gestione dei turni di servizio sono i seguenti:
- Personale infermieristico turnista sulle 24 ore nelle strutture demenziali:
Il turno notturno inizierà alle ore 21,00 e terminerà alle ore 7,00. I turni diurni saranno di 7 ore ciascuno. Possono essere mantenuti turni brevi (mattina corto e pomeriggio corto) nelle strutture che già lo prevedono. Sarà vietato autorizzare ai dipendenti cambi turno che non consentano il riposo di 11 ore (es. pomeriggio uscita 21.00 seguito da mattino entrata 7.00, mattino/notte e notte/pomeriggio nel medesimo giorno).
- Personale di supporto turnista sulle 24 ore nelle strutture degenziali:
Il turno notturno inizierà alle ore 21,00 e terminerà alle ore 7,00. I turni diurni saranno di 7 ore ciascuno. Sarà vietato autorizzare ai dipendenti cambi turno che non consentano il riposo di 11 ore (es. pomeriggio uscita 21.00 seguito da mattino entrata 7.00, mattino/notte e notte/pomeriggio nel medesimo giorno).
- Personale infermieristico e di supporto, turnista sulle 12 ore nelle strutture degenziali:
I turni diurni saranno di 7 ore ciascuno. I turni che attualmente prevedono mattini e pomeriggi di 6 ore rimarranno invariati. Sarà vietato autorizzare ai dipendenti cambi turno che non consentano il riposo di 11 ore (es. pomeriggio uscita 21,00 seguito da mattino entrata 7,00).
- Personale dedicato all’assistenza in strutture con orario notturno superiore alle 10 ore:
Turni invariati.
- Personale infermieristico operante nelle sale operatorie con pronta disponibilità:
Mattino: 7,15/14,27; Pomeriggio 13,00/20,12; Pronta Disponibilità 19,30/ 7,30.
- Personale di supporto operante nelle sale operatorie:
Manterranno gli orari esistenti. I turni dovranno essere organizzati evitando pomeriggio/mattino.
- Gestione delle pronte disponibilità per i profili sanitari del Comparto:
Le Pronte Disponibilità dovranno essere organizzate con le seguenti modalità: Nelle pronte disponibilità infrasettimanali si dovrà prevedere la sequenza mattino/pronta disponibilità notturna/pomeriggio (eccezionalmente la sequenza mattino/pronta disponibilità notturna/mattino e la sequenza pomeriggio/pronta disponibilità notturna/pomeriggio potrà essere autorizzata, in tal caso si dovranno porre in essere eventuali slittamenti orari di entrata in servizio del dipendente nell’ultimo turno se le chiamate in pronta disponibilità non consentono le 11 ore, anche frazionate, di riposo). Sarà assolutamente vietato autorizzare la sequenza pomeriggio/pronta disponibilità notturna/mattino.
Nelle pronte disponibilità nei giorni festivi e prefestivi si dovrà garantire il riposo di 24 ore come da normativa, riducendo le pronte disponibilità ad un massimo di 24 ore.
giovedì 26 novembre 2015
Il sanitario che agisce contro la volontà del paziente commette il delitto di violenza privata ed eventualmente anche quello di lesioni personali
La Corte d’Appello di Trieste con sentenza del 21/01/14 ha confermato la decisione del GIP del Tribunale di Udine che aveva condannato un infermiere a quattro mesi di reclusione per i delitti previsti e puniti dagli artt. 610 e 582 del codice penale per avere costretto un paziente, che si era opposto, a subire il posizionamento di un catetere vescicale, dopo averlo immobilizzato e schiaffeggiato, così cagionando anche lesioni personali consistite in varie ecchimosi sulle mani dell’interessato.
La difesa dell’imputato ha impugnato la decisione d’appello e la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la recente sentenza n. 38914/2015, depositata il 24/09/15, ha respinto il relativo ricorso dell'infermiere escludendo l’esistenza delle cause di giustificazione invocate dal sanitario.
La Suprema Corte, in particolare, ha ritenuto insussistente nella fattispecie in esame la scriminante dell’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.) perché l’infermiere, in presenza di un consapevole rifiuto del paziente al trattamento terapeutico, doveva astenersi dall’inserimento del catetere non potendo violare impunemente la libertà personale del malato.
La Cassazione, inoltre, ha ritenuto che non ricorrevano nella fattispecie i presupposti normativi previsti dall’art. 54 c.p. ai fini della sussistenza dello stato di necessità invocato.
La Corte ha sottolineato che l’esimente in questione presuppone un pericolo imminente di danno grave alla persona, ben individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio, di intensità tale da non potere essere evitato se non ricorrendo ad un illecito penale, mentre nel caso di specie plurimi elementi avevano portato ad escludere l’esistenza dell’ipotizzato “globo vescicale”.
La Cassazione, inoltre, ha ritenuto che non ricorrevano nella fattispecie i presupposti normativi previsti dall’art. 54 c.p. ai fini della sussistenza dello stato di necessità invocato.
La Corte ha sottolineato che l’esimente in questione presuppone un pericolo imminente di danno grave alla persona, ben individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio, di intensità tale da non potere essere evitato se non ricorrendo ad un illecito penale, mentre nel caso di specie plurimi elementi avevano portato ad escludere l’esistenza dell’ipotizzato “globo vescicale”.
Dalla motivazione della sentenza emerge che i supremi giudici sembrano comunque ritenere che non vi siano spazi di operatività della scriminante in questione in presenza di un esplicito rifiuto del paziente all’intervento da effettuare.
lunedì 23 novembre 2015
ECG
Il ritmo cardiaco, in condizioni di normalità, nasce dal nodo del seno (o senoatriale), il pace-maker naturale del cuore, localizzato in prossimità dello sbocco della vena cava nell'atrio destro.
L'impulso nato dal nodo del seno viene trasmesso alle strutture vicine attraverso il sistema di conduzione:
- Fascio interatriale: l'impulso viene trasmesso all'atrio sinistro consentendo una contrazione sincrona dei due atri
- Fascio atriale anteriore, medio e posteriore: l'impulso viene trasmesso dal nodo senoatriale al nodo atrioventricolare (AV) localizzato tra atri e ventricoli
- Nodo atrioventricolare: raccoglie l'impulso nervoso proveniente dagli atri e lo trasmette al fascio di His localizzato nel setto interventricolare
- Branca dx e sn: conducono l'impulso, rispettivamente, a livello del ventricolo destro e sinistro permettendone la contrazione
- Fibre del Purkinje: rappresentano il sistema di conduzione più distale ed è caratterizzato da fasci molto sottili e profondi localizzate a livello ventricolare
L'attività
elettrica miocardica viene rilevata dagli elettrodi dell'ECG posti sul
torace e alle estremità del paziente. Ad ogni deflessione presente sulla
striscia dell'ECG corrisponde un'attività miocardica sottostante.
L'onda P
rappresenta la diffusione dell'attività elettrica nel miocardio
atriale. E' una deflessione arrotondata di piccola ampiezza che precede
il QRS.
L'intervallo PQ (o PR) rappresenta il tempo che intercorre tra la contrazione atriale e la contrazione ventricolare.
Il complesso QRS rappresenta la diffusione dello stimolo elettrico nel miocardio ventricolare ed ha una forma "a punta". Entrando nello specifico di questa sigla R rappresenta la prima deflessione positiva (verso l'alto). Le deflessioni negative prendono il nome di Q se precedono l'onda R ed S se seguono l'onda R.
Il segmento ST è la linea di congiunzione tra il complesso QRS e l'onda T. Normalmente deve essere sullo stesso livello della linea isoelettrica nei confronti della quale non deve essere più alta (sopraslivellamento) o più bassa (sottoslivellamento). La linea isoelettrica è rappresentata dal livello orizzontale di registrazione nel momento in cui non vi è attività cardiaca e cioè durante l'intervallo tra l'onda T e l'onda P.
L'onda T rappresenta la ripolarizzazione ventricolare.
L'intervallo PQ (o PR) rappresenta il tempo che intercorre tra la contrazione atriale e la contrazione ventricolare.
Il complesso QRS rappresenta la diffusione dello stimolo elettrico nel miocardio ventricolare ed ha una forma "a punta". Entrando nello specifico di questa sigla R rappresenta la prima deflessione positiva (verso l'alto). Le deflessioni negative prendono il nome di Q se precedono l'onda R ed S se seguono l'onda R.
Il segmento ST è la linea di congiunzione tra il complesso QRS e l'onda T. Normalmente deve essere sullo stesso livello della linea isoelettrica nei confronti della quale non deve essere più alta (sopraslivellamento) o più bassa (sottoslivellamento). La linea isoelettrica è rappresentata dal livello orizzontale di registrazione nel momento in cui non vi è attività cardiaca e cioè durante l'intervallo tra l'onda T e l'onda P.
L'onda T rappresenta la ripolarizzazione ventricolare.
IMPORTANTEPerchè l'interpretazione dell'ECG sia affidabile è necessario che gli elettrodi siano posizionati correttamente,
in particolare, grande attenzione deve essere posta nel posizionamento
delle derivazioni precordiali. Il codice colore delle derivazioni è lo
stesso in tutto il mondo.
COME POSIZIONARE GLI ELETTRODI
Derivazioni degli arti (unipolari):
GAMBA DX: NERO
MANO DX: ROSSO
MANO SN: GIALLO
PIEDE SN: VERDE
Derivazioni precordiali:
La prima cosa da fare trovare il 2 spazio intercostale. Si trova subito al di sotto della parte più prominente dello sterno (angolo del Louis). Partendo dal secondo spazio trovare gli altri.V1 (rosso): quarto spazio intercostale (generalmente a livello dei capezzoli nell'uomo) linea margino-sternale dxV2 (giallo): quarto spazio intercostale (generalmente a livello dei capezzoli nell'uomo) linea margino-sternale dxV4 (marrone): va posizionato prima di V3. quinto spazio intercostale lungo la linea emiclaveare sn (è una linea verticale immaginaria che parte da metà della clavicola)V3 (verde): a metà tra V2 e V4
V5 (nero): lungo la linea ascellare anteriore (è una linea verticale immaginaria che parte dall'angolo dell'ascella) sul quinto spazio (allo stesso livello di V4)V6 (viola): lungo la linea ascellare media (è una linea verticale immaginaria che parte dal centro dell'ascella) sul quinto spazio (allo stesso livello di V4 e V5)
COME POSIZIONARE GLI ELETTRODI
Derivazioni degli arti (unipolari):
GAMBA DX: NERO
MANO DX: ROSSO
MANO SN: GIALLO
PIEDE SN: VERDE
Derivazioni precordiali:
La prima cosa da fare trovare il 2 spazio intercostale. Si trova subito al di sotto della parte più prominente dello sterno (angolo del Louis). Partendo dal secondo spazio trovare gli altri.V1 (rosso): quarto spazio intercostale (generalmente a livello dei capezzoli nell'uomo) linea margino-sternale dxV2 (giallo): quarto spazio intercostale (generalmente a livello dei capezzoli nell'uomo) linea margino-sternale dxV4 (marrone): va posizionato prima di V3. quinto spazio intercostale lungo la linea emiclaveare sn (è una linea verticale immaginaria che parte da metà della clavicola)V3 (verde): a metà tra V2 e V4
V5 (nero): lungo la linea ascellare anteriore (è una linea verticale immaginaria che parte dall'angolo dell'ascella) sul quinto spazio (allo stesso livello di V4)V6 (viola): lungo la linea ascellare media (è una linea verticale immaginaria che parte dal centro dell'ascella) sul quinto spazio (allo stesso livello di V4 e V5)
ECG normale
Per poter essere in grado di riconoscere alterazioni elettrocardiografiche bisogna saper riconoscere come è fatto un ECG normale.
La prima cosa da fare è controllare che il nome del paziente sia scritto da qualche parte. Un ECG senza nome è pressochè sprovvisto di valore (soprattutto sul piano medico-legale).
La seconda cosa da fare è controllare che il settaggio dell'apparecchio sia corretto e cioè che la velocità della carta sia 25 mm/sec e che l'ampiezza delle onde corrisponda a 10 mm/mv. Questi valori sono riportati generalmente in calce all'ECG.
Se la velocità non è corretta si corre il rischio di diagnosticare falsi allargamenti del QRS o false tachi/bradicardie mentre un settaggio sbagliato dell'ampiezza può portare a false diagnosi di morfologia ventricolare (Es. ipertrofia).
La terza cosa da fare è assicurarsi che non ci sia stato un malposizionamento degli elettrodi unipolari (quelli degli arti) ricordando questa semplice frase: "il QRS della prima derivazione (I) deve essere sempre positivo (con la punta verso l'alto)".
Adesso siete pronti ad esaminare il vostro primo ECG normale.
Per poter essere in grado di riconoscere alterazioni elettrocardiografiche bisogna saper riconoscere come è fatto un ECG normale.
La prima cosa da fare è controllare che il nome del paziente sia scritto da qualche parte. Un ECG senza nome è pressochè sprovvisto di valore (soprattutto sul piano medico-legale).
La seconda cosa da fare è controllare che il settaggio dell'apparecchio sia corretto e cioè che la velocità della carta sia 25 mm/sec e che l'ampiezza delle onde corrisponda a 10 mm/mv. Questi valori sono riportati generalmente in calce all'ECG.
Se la velocità non è corretta si corre il rischio di diagnosticare falsi allargamenti del QRS o false tachi/bradicardie mentre un settaggio sbagliato dell'ampiezza può portare a false diagnosi di morfologia ventricolare (Es. ipertrofia).
La terza cosa da fare è assicurarsi che non ci sia stato un malposizionamento degli elettrodi unipolari (quelli degli arti) ricordando questa semplice frase: "il QRS della prima derivazione (I) deve essere sempre positivo (con la punta verso l'alto)".
Adesso siete pronti ad esaminare il vostro primo ECG normale.
"Ritmo sinusale frequenza 85/min. Conduzione atrioventricolare nella norma (PR = 0,16 sec). Normale morfologia dei complessi QRS. Ripolarizzazione nella norma."
Esaminiamo ogni singola frase:
Ritmo sinusale: significa che l'impulso nasce dal nodo del seno, diffonde attraverso gli atri e raggiunge il nodo atrioventricolare depolarizzando i ventricoli.
Perchè ciò sia vero è necessario che sull'ECG si verifichino tutte le seguenti condizioni:
1) le onde P devono essere presenti
2) le onde P devono avere tutte la stessa morfologia
3) ad ogni onda P deve seguire un complesso QRS
4) l'intervallo tra due onde P (o tra due QRS che è più semplice da misurare) deve essere costante
5) la frequenza deve essere compresa tra 60 e 100/min. Se i punti da 1 a 4 sono rispettati ma la frequenza è minore di 60/min si parlerà di bradicardia sinusale, per valori maggiori di 100/min di tachicardia sinusale.
Conduzione atrioventricolare nella norma (PR 0,16 sec): è il tempo che intercorre tra il passaggio dell'impulso dal nodo seno atriale al nodo atrioventriocolare. Si calcola contando i quadretti piccoli dall'inizio dell'onda P all'onda Q (i termini PQ e PR sono sinonimi). Il valore di PR normale è compreso tra 0,12-0,20 sec (ogni quadratino corrisponde a 0,04 sec).
Normale morfologia dei complessi QRS: il complesso QRS deve avere un'ampiezza massima di 0,10 sec (2 quadratini piccoli e mezzo); l'ampiezza è patologica da 0,12 sec (3 quadratini) in sù. Per questioni di semplicità mi soffermerò unicamente sulla durata del complesso QRS. Esistono, infatti, molti altri criteri di normalità del complesso QRS la cui trattazione esula gli intenti di questo sito, per i quali si rimanda a testi specialistici.
Ripolarizzazione nella norma: la ripolarizzazione comprende il tratto ST e l'onda T. Per questioni di semplicità considereremo solo il tratto ST, rimandando ai testi specialistici per le anomalie dell'onda T. Il tratto ST è l'intervallo fra il termine del complesso QRS e l'inizio dell'onda T. In condizione di normalità il tratto ST non deve deviare al di sopra (sopraslivellamento) o al di sotto (sottoslivellamento) di 1 mm della linea isoelettrica in nessuna delle derivazioni precordiali (V1-V6)
Ritmo sinusale: significa che l'impulso nasce dal nodo del seno, diffonde attraverso gli atri e raggiunge il nodo atrioventricolare depolarizzando i ventricoli.
Perchè ciò sia vero è necessario che sull'ECG si verifichino tutte le seguenti condizioni:
1) le onde P devono essere presenti
2) le onde P devono avere tutte la stessa morfologia
3) ad ogni onda P deve seguire un complesso QRS
4) l'intervallo tra due onde P (o tra due QRS che è più semplice da misurare) deve essere costante
5) la frequenza deve essere compresa tra 60 e 100/min. Se i punti da 1 a 4 sono rispettati ma la frequenza è minore di 60/min si parlerà di bradicardia sinusale, per valori maggiori di 100/min di tachicardia sinusale.
Conduzione atrioventricolare nella norma (PR 0,16 sec): è il tempo che intercorre tra il passaggio dell'impulso dal nodo seno atriale al nodo atrioventriocolare. Si calcola contando i quadretti piccoli dall'inizio dell'onda P all'onda Q (i termini PQ e PR sono sinonimi). Il valore di PR normale è compreso tra 0,12-0,20 sec (ogni quadratino corrisponde a 0,04 sec).
Normale morfologia dei complessi QRS: il complesso QRS deve avere un'ampiezza massima di 0,10 sec (2 quadratini piccoli e mezzo); l'ampiezza è patologica da 0,12 sec (3 quadratini) in sù. Per questioni di semplicità mi soffermerò unicamente sulla durata del complesso QRS. Esistono, infatti, molti altri criteri di normalità del complesso QRS la cui trattazione esula gli intenti di questo sito, per i quali si rimanda a testi specialistici.
Ripolarizzazione nella norma: la ripolarizzazione comprende il tratto ST e l'onda T. Per questioni di semplicità considereremo solo il tratto ST, rimandando ai testi specialistici per le anomalie dell'onda T. Il tratto ST è l'intervallo fra il termine del complesso QRS e l'inizio dell'onda T. In condizione di normalità il tratto ST non deve deviare al di sopra (sopraslivellamento) o al di sotto (sottoslivellamento) di 1 mm della linea isoelettrica in nessuna delle derivazioni precordiali (V1-V6)
Tessera sanitaria europea
Secondo gli ultimi dati disponibili per il 2014, quasi 206 milioni di europei hanno la tessera europea di assicurazione malattia (TEAM). Dalla segnalazione degli Stati membri, quasi il 40% della popolazione totale è assicurato. Come negli anni precedenti, il numero di carte è in continua crescita: ci sono sei milioni in più rispetto al 2013 (+ 4%). Dal 2009, il totale è cresciuto del 10%. La TEAM, disponibile gratuitamente, ratifica che una persona ha diritto a ricevere cure mediche, che si rendono necessarie durante un soggiorno temporaneo all'estero, dal sistema sanitario pubblico del paese ospitante, alle stesse condizioni e allo stesso costo dei cittadini di quel paese. La TEAM non può essere utilizzata per coprire le cure mediche previste in un altro paese. Gli ospedali che forniscono servizi sanitari pubblici sono obbligati a riconoscere la tessera. Nella stragrande maggioranza dei casi, i pazienti che presentano la TEAM ricevono cure necessarie e sono rimborsati senza problemi. Nel caso in cui la TEAM non è accettata, i pazienti devono prendere contatto con la competente autorità sanitaria del Paese che stanno visitando. I numeri di telefono di emergenza sono facilmente accessibili tramite *l'applicazione TEAM per smartphone e tablet. In caso di problemi e ulteriore diniego di fornire alle stesse condizioni le prestazioni sanitarie nel paese ospitante; i pazienti dovrebbero richiedere assistenza tecnica presso le autorità sanitarie del paese di origine. Se non riescono a chiarire la questione con le autorità nazionali, possono contattare *Il consiglio europeo per la consulenza personalizzata sui loro diritti UE, o *SOLVIT se ritengono che i loro diritti non sono rispettati dalle autorità pubbliche in un altro paese dell'UE. La carta è rilasciata gratuitamente dal servizio sanitario del proprio paese di origine, senza bisogno di accise agli intermediari che offrono sostegno per la procedura di richiesta, come è già stato segnalato accadere di pagare in alcuni paesi. I cittadini devono segnalare questi casi alle autorità nazionali sanitarie. La Commissione europea continua a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla carta, e incoraggia gli Stati membri a fare lo stesso. A seguito di una campagna promozione, nel 2014, la Commissione ha elaborato un nuovo *video promozionale TEAM. Fonti e approfondimenti: * Le frasi e termini colorati arancio nel post, sono LINK. Cliccandoci sopra, si apre una pagina con la fonte. Informazioni TEAM e applicazioni per smartphone - See more at: http://www.infermieristicamente.it/articolo/5562/tessera-sanitaria-europea-oltre-200-milioni-di-europei-gia-la-possiedono/#sthash.888wbv5o.dpuf
See and Treat
I risultati della sperimentazione erano stati quanto mai positivi.
L'avvio del protocollo è partito in Toscana in via ufficiale, con una Proposta di sperimentazione del modello See and Treat da applicare al Pronto soccorso, emanata dal Consiglio Sanitario della Regione Toscana, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n.1 02.01.2008.
Dopo aver toccato diverse città, adesso è la volta del Pronto Soccorso di Pistoia. Nove al momento gli infermieri già abilitati a svolgere questa specifica attività all'interno del pronto soccorso del presidio ospedaliero San Jacopo, diretto dal Dottore Andrea Cai. Nove infermieri che hanno acquisito una certificazione abilitante all'esercizio del protocollo See and Treat, a seguito della frequenza di un corso di formazione regionale di 180 ore e del superamento dell'esame finale.
Da ieri, 17 novembre, è partita la seconda fase formativa che riguarda altri otto infermieri, recentemente selezionati dalla direzione infermieristica, e che opereranno con la stessa modalità organizzativa presso il pronto soccorso di Pescia, diretto dal dottore Fabio Daviddi.
Ma perché nasce l'esigenza del See and Treat e cos'è?
Letteralmente See and Treat vuol dire “Vedi e Cura”, il modello organizzativo, presene in Inghilterra fin dal 1980 ha lo scopo di agevolare il lavoro degli operatori sanitari nel dipartimento di emergenza e di diminuire i tempi di attesa degli utenti.
Nelle linee di miglioramento del Pronto Soccorso, l'assessorato alla Salute della Regione Toscana, ha promosso alcuni interventi importanti, tra cui, per l'appunto l'istituzione di un'area assistenziale nei Pronto soccorso, dedicata ai “codici minori”.
L'esigenza di attuare dei protocolli migliorativi è data dal quanto mai sempre più diffuso fenomeno del sovraffollamento dei pronto soccorso. La mole sempre più imponente di utenza che si rivolge ai punti di primo soccorso, contingente alle sempre meno assunzioni di operatori sanitari ha fatto dei pronto soccorso delle vere e proprie bombe ad orologeria; da una parte un'utenza sempre più aggressiva in virtù di lunghissimi tempi di attesa, e dall'altra parte operatori sanitari sempre sotto stress e sotto pressione con carichi di lavoro che vanno oltre ogni ragionevolezza. Questo modus operandi, è nella maggior parte dei casi motivo di rialzo della percentuale di incorrere in Errore e di Malpractice.
Dallo studio dell'utenza che affolla i pronto soccorso si è evidenziato come spesso le patologie che li portano a rivolgersi a questi, sono per lo più patologie minori e non vere e proprie urgenze. Per cui in un'ottica di razionalizzazione delle risorse umane, nell'intento di dare l'assistenza più appropriata al paziente e nei giusti tempi, la regione Toscana ha adottato il Protocollo See and Treat.
Questo è caratterizzato da pochi e semplici criteri:
1. Dal triage scaturiscono due accessi distinti, uno per i casi più gravi ed uno per i casi minore entità, quest'ultimi destinati al See and Treat.
2.Costruzione di un'area See and Treat adiacente al Pronto soccorso proprio.
3.Chi accede all'area See and Treat è accolto dal primo operatore disponibile, sia esso medico o infermiere, il quale conduce autonomamente tutte le procedure necessarie fino al loro termine.
4.Gli operatori devono essere in numero necessario per prendere in carico immediatamente il paziente ed evitare il determinarsi di lunghe code.
5.Il personale di See and Treat deve aver ricevuto una formazione specifica.
6.Viene ammessa alla See and Treat una casistica selezionata per appropriatezza.
Le evidenti innovazioni sono due, la sostituzione della funzione di triage con una più semplice discriminazione iniziale fra casi urgenti e non urgenti e, per le urgenze minori, la presenza del primo operatore disponibile, indifferentemente dalla professionalità infermieristica o medica.
Quest'ultimo è il vero punto di svolta e la vera innovazione che eleva l'infermiere da una posizione puramente collaborativa ad una pienamente autonoma, duplicando le potenzialità dei Pronto soccorso.
L'infermiere in piena autonomia decisionale, valuta la patologia minore, presta assistenza immediata e invia il paziente ai percorsi Fast Track, ovvero indirizza l'utente dallo specialista competente.
La regione Toscana così come tutte le regioni che hanno avviato il protocollo, hanno recepito chiaramente l'importanza della figura infermieristica, e ne hanno colto il background professionale e culturale che ne fa un professionista a 360°, capace di prendere in carico un paziente, garantendo efficacia ed efficienza nelle prestazioni.
Questa autonomia, è supportata da una cornice legislativa che è determinata da:
Il contenuto dei decreti ministeriali istitutivi dei profili professionali(DM 14settembre 1994n. 739).
La formazione universitaria ed i master post laurea di primo e secondo livello.
Le indicazioni contenute nel codice deontologico del Collegio Ipasvi.
Stabilita a livello normativo l'autonomia, per poter operare all'interno delle aree di See and Treat, è stato istituito a livello regionale, un apposito corso di formazione, che ha lo scopo di implementare l'appropriatezza clinica/assistenziale/organizzative e creare un modello omogeneo, per migliorare le prestazioni erogate nell'area Emergenza/Urgenza, attraverso lo sviluppo e la certificazione di competenze del personale infermieristico per la valutazione ed il trattamento di casistica con problemi di salute minore.
Alla fine del corso strutturato in tre moduli dalla durata complessiva di 350 ore, al superamento di un esame teorico/pratico su casi assistenziali tipici del See and Treat, si ottiene il titolo di Infermiere certificato per interventi di See and Treat in primo soccorso.
Sui risultati ottimali del progetto non vi è alcun dubbio.
Tornando a Pistoia, l’anno scorso sono stati inviati direttamente all’ambulatorio del See & Treat 1.267 pazienti, ed il dato di quest’anno rileva un incremento di circa 10 pazienti al giorno in più; dovevano rimuovere punti di sutura, oppure avevano i geloni, l’orticaria, soffrivano di otiti esterne e tappi di cerume, dolori articolari di origine non traumatica. L’intervento degli infermieri su questi casi permette ai medici di concentrarsi sui casi che necessitano di risposte tempestive (infarti,politraumi,ictus)
I dati sull’indagine effettuata dal MeS (laboratorio Management e Sanità Sant’Anna di Pisa), rispetto alla soddisfazione dell’utenza, che ha usufruito di questa nuova opportunità in pronto soccorso risultano molto positivi: in particolare viene apprezzata la chiarezza delle informazioni fornite al paziente e la cortesia.
Vista la validità del progetto dovrebbe poter essere esteso a tutte le Regioni italiane, risolverebbe almeno in parte gli annosi problemi dei pronto soccorso e permetterebbe di fare ancora un passo aventi verso le tante sospirate e dibattute Competenze avanzate.
Fonti:
Azienda Usl 3 Pistoia; http://www.usl3.toscana.it/Sezione.jsp?titolo=See+and+Treat+Le+patologie+minori+al+Pronto+Soccorso+le+trattano+gli+infermieri&idSezione=4988
Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n.1 02.01.2008.
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