Il dibattito sul “decreto appropriatezza” ha aperto un dibattito complesso all’interno della categoria medica dove, facendo una piccola e superficiale rassegna stampa, si legge tutto ed il contrario di tutto. Se da una parte insorgono le categorie sindacali, da FIMMG ad ANAOO, dall’altra vi è una Fnomceo titubante nelle dichiarazione della sua Presidente.
Un tentativo di mediazione tra la volontà di un Governo e della sua Ministra di non cedere al ricatto e la netta presa di posizione delle categorie di rappresentanza che sono sorde a qualsiasi tentativo di compromesso.
In questo acceso dibattito, che vorrei ricordare è fatto sulla “pelle” dei cittadini-pazienti, ancoranon si è sentita alcuna voce in difesa di quest’ultimi ma solo blandi richiami alla centralità degli stessi in un percorso di diagnosi e cura che pare più la scusa per non cedere che la volontà di evolvere verso un sistema sostenibile ma, come si dovrebbe dire in questi casi, appropriato.
Eppure i richiami forti da parte di alcune Società Scientifiche rispetto all’inappropriatezza di talune scelte sono molti e del tutto inascoltati.
Appare evidente, come analizza sapientemente il Prof. Cavicchi nel sul ultimo intervento su Quotidiano Sanità del 30/09/2015, che siamo in presenza di “un eteronomia medica (la condizione in cui un medico riceve da fuori di sé la norma della propria azione)” in processo involutivo della Professione Medica incapace di rinnovare se stessa perché troppo concentrata a cullarsi su posizioni di interessi personali piuttosto che provare a rinnovarsi all’interno di nuovi processi culturali e professionali.
Con il suo decreto la Ministra ha evidenziato quel malessere diffuso che colpisce la professione principe della Medicina, scoprendone tutte le contraddizioni che, almeno negli ultimi 5 anni, sono state sottaciute, all’interno di tentativi di soffocare ogni possibilità di evoluzione delle Professioni Sanitarie.
In questi anni, come Infermieri, abbiamo speso tempo e parole per far capire ai Medici che bisognava trovare l’intesa per una nuova alleanza, o meglio per un vera alleanza, nei processi di cura ed assistenza dei pazienti. Ci abbiamo provato dicendo loro che era tempo, non di cedere ambiti di competenza, ma di favorire l’evoluzione delle competenze, in modo da garantire loro di tornare ad essere primati della diagnosi e della cura.
Non hanno voluto sentir ragione, ostacolando ogni nostro tentativo con azioni di forza che si sono rilevate sempre nulle anche di fronte al legislatore: dal see&treat, alla degenza a gestione infermieristicapassando al famoso (ma ormai pare dimenticato) comma 566, l’azione medica è apparsa goffa, a volte prepotente ma più spesso priva di qualsiasi visione strategica per migliorare il SSN.
Fa bene il Prof. Cavicchi a bacchettare la miopia dei sindacati Medici, in particolare la FIMMG ormai ancora su posizioni del tutto fuori dal tempo, ma a questo punto serve che la Professione Infermieristica faccia un passo in avanti e, partendo dalla nostra “vocazione” assistenziale, vada in aiuto di una Classe Medica confusa ed offra il proprio sostegno.
Molti colleghi sobbalzeranno nel leggere questa ultima mia affermazione, si chiederanno perché dopo anni di vessazioni ideologiche dovremmo preoccuparci di coloro che hanno sempre tentato di chiuderci ogni porta.
La spiegazione è semplice: perché questo è il momento di dimostrare quella maturità politica di analisi della situazioni che spesso ci è mancata perché troppo concentrati a guardare il dito mentre qualcuno indicava la luna.
Questo è il momento di far si che la nostra “crisi professionale” sia davvero sinonimo di occasione di cambiamento e dentro questo travaglio esistenziale dobbiamo trovare la chiave per proporre le nostre soluzioni affinché il processo di “appropriatezza prescrittiva”, ma non solo, possa compiere la sua strada in una sistema condiviso.
Gli Infermieri possono, anzi devono, essere la chiave di volta di un dibattito che si è acceso attorno ad un falso problema.
Il giudizio perentorio nasce indubbiamente dalla presunzione caratteriale che mi porta a pensare che il cambiamento professionale lo ottieni se sei capace di dimostrare non solo le tue capacità cliniche/assistenziali ma se riesci a portare sul tavolo della discussione la tua analisi socio/economica del sistema nel suo complesso.
Il richiamo ad IPASVI è sin troppo semplice, occorre che immediatamente siano approntati studi di settore che sappiano rispondere ad una domanda: quale vantaggio economico per il sistema sanitario possiamo ottenere a fronte di una capacità prescrittiva da parte degli Infermieri?
Dunque si torna sul concetto della Prescrizione Infermieristica, l’unica via che può darci la svolta ed uscire dalla crisi.
Perché la Prescrizione?
Io ho sempre considerato la Prescrizione non un ambito prioritario della Professione privilegiando altri aspetti di autonomia professionale che dovevano essere tutelati e rafforzati. Oggi, di fronte al dibattito che si è aperto, ritengo che questa deve essere la battaglia principale per portare il nostro malato eccellente, il medico, all’interno di un alveo culturale che non accetta o che gestisce con troppa disinvoltura: il lavoro di equipe.
Poter giungere alla Prescrizione Infermieristica significa, non solo portarci ad un livello europeo che ci possa rendere maggiormente competitivo, ma renderebbe “misurabile” la nostra azione professionale.
E’ inutile continuare a parlare di evoluzione professionale se non accettiamo la sfida di essere misurati dal sistema.
Oggi la “prestazione” infermieristica è pressoché invisibile agli occhi del legislatore e dell’economo, non siamo in grado di poter valutare quanto pesa economicamente il nostro contributo intellettuale perché il nostro lavoro è di fatto oscurato e inglobato dentro l’attività medica.
La Prescrizione darebbe questi risultati? Certamente da sola non è sufficiente ma poterla applicare nel PDTA significa dare visibilità all’azione infermieristica.
Questo è il passo da compiere, all’interno di un dibattito sulle competenze avanzate, non è pensabile lasciare fuori dalla porta l’unica arma che renderebbe quelle competenze capaci di esprimersi nella loro globalità.
Ovviamente il dibattito è aperto a tutte le critiche, definire ambiti e limiti non è di chi scrive, serve un confronto aperto con la Professione Medica ma occorre arrivarci con il mazzo di carte completo.
Dobbiamo aiutare i Medici a riappropriarsi della superiorità intellettuale della diagnosi ma perché questo avvenga abbiamo l’obbligo di mettere in discussione l’aspetto dirimente della Professione Infermieristica: il passaggio da professione ausiliaria e tecnica a Professione Sanitaria ed Intellettuale passa necessariamente attraverso una proposta coraggiosa di portare gli Infermieri ad assumersi la responsabilità di saper prescrivere quanto è necessario per il paziente.
Questo non è un lavoro solamente politico, urgono colleghi capaci di sviluppare uno studio di fattibilità dove viene esplicitata la capacità del sistema a risparmiare se le Professioni Sanitarie trovano il giusto equilibrio tra “competenze diffuse” e “competenze proprie“.
Il dibattito è aperto, trovare il coraggio di renderlo palese pubblicamente spetta ai nostri dirigenti. Come spesso auspico, serve maggiore coraggio e unione, il tempo è maturo per fare il salto.
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