mercoledì 16 dicembre 2015

Infermieri, competenze all'europea: linee guida EFN


Infermieri, competenze all'europea: linee guida EFN
16/12/2015 - Il documento descrive le linee guida elaborate dall’EFN per l’attuazione dell’Articolo 31 all’interno dei programmi nazionali di formazione degli infermieri ai fini del riconoscimento delle competenze previste dalla Direttiva 2005/36/CE, modificata dalla Direttiva 2013/55/CE. IL TESTO ITALIANO DELLE LINEE GUIDA
Il Governo Italiano ha approvato di recente lo schema di Dlgs di riconoscimento delle qualifiche professionali recependo la direttiva 2013/55/UE che introduce anche la tessera sanitaria (VEDI) e che in prima battuta riguarda cinque professioni regolamentate, tra cui in prima linea gli infermieri. E il gruppo sulle competenze della  European Federation of Nurses Associations (Efn) ha confrontato l’Allegato V della direttiva come modificato dal nuovo provvedimento e lavoro dopo un’ampia discussione tra le principali parti interessate e aver analizzato le problematiche correlate, tra cui la necessità di concordare i metodi per misurare se le competenze siano state raggiunte e il bisogno di formare personale in grado di valutare la loro applicazione all’interno delle istituzioni formative, ha messo a punto le nuove linee guida  per l'applicazione dell'articolo 31 ai fini del riconoscimento delle competenze previste dalla Direttiva 2005/36/CE, modificata dalla Direttiva 2013/55/CE.
Tre i cardini su cui si è articolato il lavoro:
 
  1. confrontare l’EFN Competency Framework con le competenze già contenute nell’Articolo 31 e sviluppare una linea guida per l’attuazione dell’articolo 31 e dell’Allegato V (competenze e contenuto) all’interno dei programmi formativi nazionali infermieristici, da sottoporre all’Assemblea generale dell’EFN.
  2. valutare quali parti interessate (stakeholders) l’EFN e le sue associazioni membro devono coinvolgere nella progettazione del framework in modo da ottenere una ottimale applicazione e l’adesione alla Direttiva.
  3. identificare tutte le problematiche che possono ostacolare o rendere più difficile l’attuazione delle competenze previste nei programmi formativi nazionali.
 
Alla fine, le linee guida cercano di integrare le otto competenze, così come espresse nell'articolo 31 della Direttiva 2013/55/CE, con l’elenco delle discipline per la formazione infermieristica descritte nell’allegato V, implica la messa in atto di un processo di riflessione logica e graduale. Questo processo inizia con le otto competenze, a cui segue l'identificazione delle relative aree di competenza e prosegue con la scomposizione delle competenze secondo ciascuna area di competenza, descrivendo cosa ci si aspetta di raggiungere con le competenze, la formazione che serve trasmettere con i curricula e si conclude con l’elenco degli obiettivi di apprendimento potenziali che dovrebbero dimostrare l’acquisizione di tali competenze
 
Il punto di partenza è rappresentato dalla relazione tra le otto competenze dell’articolo 31 della Direttiva 2013/55/CE (dalla A alla H) e le aree di competenza (Competency Areas, CA) dell’EFN Competency Framework, che includono le seguenti: 
 
CA 1: Cultura, etica e valori 
CA 2: Promozione della salute e prevenzione, guida ed educazione 
CA 3: Processo decisionale 
CA 4: Comunicazione e lavoro in team 
CA 5. Ricerca, sviluppo e leadership 
CA 6. Assistenza Infermieristica 
 
Queste competenze fondamentali comprendono, a loro volta, altre sotto-competenze, che devono orientare lo sviluppo di obiettivi di apprendimento da raggiungere mediante i contenuti del curriculum teorico e pratico, per consentirne la valutazione.
 
La formazione dell’infermiere responsabile dell'assistenza generale infermieristica deve fornire – spiegano le linee guida - garanzie che la persona in questione abbia acquisito le seguenti conoscenze e abilità: 
 
a) Conoscenza approfondita delle scienze sulle quali si fondano le scienze infermieristiche generali, compresa una sufficiente conoscenza della struttura, delle funzioni fisiologiche e del comportamento delle persone sane e malate e del rapporto tra stato di salute e ambiente fisico e sociale dell’uomo. 
 
b) Conoscenza sufficiente della natura e dell'etica della professione e dei principi generali riguardanti la salute, dell'assistenza e della professione infermieristica. 
 
c) Adeguata esperienza clinica; tale esperienza dovrebbe essere scelta per il suo valore formativo, dovrebbe essere acquisita sotto la supervisione di personale infermieristico qualificato e in sedi in cui il numero di personale adeguatamente preparato e di attrezzature siano appropriati per l'assistenza infermieristica dei pazienti. 
 
d) Capacità di collaborare alla formazione pratica di altro personale sanitario e acquisizione di esperienza lavorativa con questo personale. 
 
e) Esperienza di lavoro con membri di altre professioni nel settore sanitario 
 
E il possesso della qualifica formale di infermiere responsabile dell'assistenza infermieristica generale deve provare che il professionista in quesitone sia capace di applicare almeno le seguenti competenze, indipendentemente dal fatto che la formazione abbia avuto luogo presso università, istituti di formazione superiore di un livello riconosciuto equivalente o scuole professionali o mediante programmi di formazione professionale per infermieri: 
 
A. Diagnosticare in modo autonomo l'assistenza infermieristica richiesta utilizzando le attuali conoscenze teoriche e cliniche, nonché pianificare, organizzare e attuare interventi assistenziali infermieristici nel trattamento dei pazienti, in base alle conoscenze e alle abilità previste ai punti (a), (b) e (c) precedenti, al fine di migliorare la pratica professionale. 
 
B. Lavorare in modo efficace con gli altri operatori sanitari, compresa la collaborazione alla formazione pratica del personale sanitario sulla base delle conoscenze e abilità acquisite in conformità alle lettere (d) e (e) precedenti. 
 
C. Facilitare alle persone, alle famiglie e ai gruppi (empower), l’acquisizione di stili di vita sani e abilità di self-care, sulla base delle conoscenze e delle abilità acquisite come dai punti (a) e (b) precedenti. 
 
D. Iniziare in autonomia interventi immediati per preservare la vita e portare avanti tali misure in situazioni di crisi o catastrofi. 
 
E. Consigliare, istruire e sostenere in modo autonomo gli individui e i loro familiari che hanno bisogno di assistenza. 
 
F. Garantire e valutare in modo autonomo la qualità dell'assistenza infermieristica. 
 
G. Comunicare in modo completo e professionale collaborando con gli altri professionisti in ambito sanitario. 
 
H. Verificare la qualità dell’assistenza prestata al fine di migliorare la propria pratica professionale di infermieri di assistenza infermieristica generale. 
 
IN ALLEGATO IL TESTO ITALIANO DELLE LINEE GUIDA  TRADOTTE A CURA DI ENRICA CAPITONI E CECILIA SIRONI, CONSOCIAZIONE NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI INFERMIERE/I (WWW.CNAI.INFO)

lunedì 14 dicembre 2015

Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità

Giugno 2015


INTRODUZIONE
I permessi retribuiti nel rapporto di lavoro scaturiscono da due fonti: dalle Leggi e dai Contratti collettivi nazionali di lavoro.
Tale istituto è disciplinato:
- nei CCNL del comparto sanità dall’art. 21 del CCNL 1.9.1995, dall’art. 41 del CCNL del 7.4.1999, dall’art. 16 del CCNL integrativo del 20.9.2001 e dall’art. 23 del CCNL del 19.4.2004;
- nei CCNL dell’area III (dirigenza sanitaria professionale tecnica ed amministrativa) dall’art. 22 del CCNL 5.12.1996, dall’art. 14 del CCNL 10.2.2004, dall’art. 24 comma 1 del CCNL 3.11.2005, dall’art. 28 comma 3 del CCNL 17.10.2008;
- nei CCNL dell’area IV (dirigenza medica e veterinaria) dall’art. 23 del CCNL 5.12.1996, dall’art. 14 comma 3 del CCNL 10.2.2004, dall’art. 24 comma 1 del CCNL 3.11.2005, dall’art. 27 comma 4 del CCNL 17.10.2008.
In base a tali discipline il dipendente può assentarsi dal lavoro senza alcuna decurtazione del trattamento economico, per una precisa durata temporale e per specifiche motivazioni che sono classificabili nelle seguenti categorie:
a) partecipazione a concorsi ed esami;
b) lutto;
c) matrimonio;
d) particolari ragioni personali;
e) assemblee sindacali;
f) partecipazione a progetti terapeutici di riabilitazione (solo dipendenti del comparto);
g) diritto allo studio (solo dipendenti del comparto).
Vi sono poi le assenze regolate dai contratti quadro che riguardano l’espletamento dell’attività sindacale, quali i permessi per partecipazione a riunioni di organismi sindacali o per la partecipazione a trattative sindacali.


PERMESSI PER CONCORSI, ESAMI, AGGIORNAMENTO
Normativa di riferimento
Comparto: CCNL 1.9.1995, Art. 21 comma 1, primo alinea – Dirigenza: CC.CC.NN.L. 5.12.1996, art. 23 comma 1, primo alinea (Dirigenza medica e veterinaria), art. 22 comma 1, primo alinea (Dirigenza SPTA)
Al personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono concessi, a richiesta, permessi retribuiti nel limite di 8 giorni all’anno, per i seguenti motivi debitamente documentati:
a) la partecipazione a concorsi o esami, limitatamente ai giorni di svolgimento delle prove;
b) aggiornamento professionale facoltativo, comunque connesso all’attività di servizio.
I suddetti permessi spettano anche al personale con lavoro a tempo parziale di tipo verticale, in misura proporzionale rispetto alla percentuale di prestazione lavorativa in applicazione della regola sancita dai vigenti CCNL (Comparto:art.25, comma 11 del CCNL del 7.4.1999 come modificato dall’art.35, comma 1, del CCNL del 20.9.2001 – Dirigenza (Area medica e veterinaria e Area SPTA): art.4, comma 10, del CCNL 22.2.2001) in base alla quale “Per il tempo parziale verticale analogo criterio di proporzionalità si applica anche per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dai CCNL…” . In presenza di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, tali permessi spettano per intero, negli stessi termini e modalità previste per il personale a tempo pieno.
Per fruire del permesso il dipendente dovrà informare preventivamente gli uffici competenti secondo le modalità ed i percorsi previsti dall’organizzazione interna dell’Azienda.
Specificità per la Dirigenza
Per le due aree dirigenziali III e IV, l’art. 14, comma 4, del CCNL del 3.11.2005 rubricato “Orario di lavoro dei dirigenti” prevede che “..quattro ore dell’orario settimanale sono destinate ad attività non assistenziali, quali l’aggiornamento professionale, l’ECM, la partecipazione ad attività didattiche, la ricerca finalizzata Aran
Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità ecc….Essa va utilizzata di norma con cadenza settimanale ma, anche per particolari necessità di servizio, può essere cumulata in ragione di anno per impieghi come sopra specificati ovvero, infine, utilizzata anche per l’aggiornamento facoltativo in aggiunta alle assenze previste dall’art.23, comma 1, primo alinea del CCNL del 5 dicembre 1996 al medesimo titolo. Tale riserva va resa in ogni caso compatibile con le esigenze funzionali della struttura di appartenenza e non può in alcun modo comportare una mera riduzione dell’orario di lavoro. Per i dirigenti rimasti con rapporto di lavoro ad esaurimento le ore destinate all’aggiornamento sono dimezzate.”
Tale aggiuntivo diritto a quattro ore di aggiornamento settimanale spetta al personale dirigente ad impegno ridotto in misura proporzionale rispetto alla percentuale di prestazione lavorativa in ragione del fatto che il relativo computo e fruizione è ad ore e quindi strettamente legato alla durata della giornata lavorativa.
PERMESSI PER LUTTO
Normativa di riferimento
Comparto: CCNL 1.9.1995, art. 21, comma 1, secondo alinea; CCNL integrativo del 20.9.2001, art. 16 comma 2 - Dirigenza: CC.CC.NN.L. 5.12.1996, art. 23 comma 1, secondo alinea (Dirigenza medica e veterinaria), art. 22 comma 1, secondo alinea (Dirigenza SPTA); CC.CC.NN.L. integrativi 10.2.2004, artt. 14, comma 2.
Il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha diritto ad un permesso retribuito in ragione di tre giorni lavorativi consecutivi per evento in caso di decesso del coniuge, convivente, parenti entro il secondo grado, affini entro il primo grado. Per stabilire il grado di parentela o affinità si fa riferimento alle norme contenute in materia negli artt. 76-78 del codice civile.
Al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale verticale il permesso per lutto, che non è frazionabile, spetta per intero solo nei periodi coincidenti con la prestazione lavorativa secondo la regola sancita dai vigenti CCNL (Comparto:art.25, comma 11 del CCNL del 7.4.1999 come modificato dall’art.35, comma 1, del CCNL del 20.9.2001 – Dirigenza (Area medica e veterinaria e Area SPTA): art.4, comma 10, del CCNL 22.2.2001) in base alla quale “In presenza di impegno ridotto verticale…il permesso per matrimonio…..e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi”. Invece, al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, i permessi per lutto spettano per intero, negli stessi termini e modalità previste per il personale a tempo pieno.
Aran
Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità

PERMESSI PER MATRIMONIO
Normativa di riferimento
Comparto: CCNL 1.9.1995, art. 21 comma 3 e art. 17, comma 6 (come modificato da art. 31 del CCNL integrativo 20.9.2001); CCNL integrativo 20.9.2001, art. 16 comma 3; Dirigenza: CC.CC.NN.L. 5.12.1996, art. 23 comma 2 (Dirigenza medica e veterinaria), art. 22 comma 2 (Dirigenza SPTA); CC.CC.NN.L. integrativi 10.2.2004, artt. 14, comma 3.
Il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato ha diritto ad un permesso di 15 giorni consecutivi in occasione del matrimonio, da richiedere entro 30 giorni dall’evento.
Al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale verticale il permesso per matrimonio , che non è frazionabile, spetta per intero solo nei periodi coincidenti con la prestazione lavorativa secondo la regola sancita dai vigenti CCNL (Comparto:art.25, comma 11 del CCNL del 7.4.1999 come modificato dall’art.35, comma 1, del CCNL del 20.9.2001 – Dirigenza (Area medica e veterinaria e Area SPTA): art.4, comma 10, del CCNL 22.2.2001) in base alla quale “In presenza di impegno ridotto verticale….il permesso per matrimonio………… e i permessi per lutto spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi”. Invece, al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, il permesso per matrimonio spetta per intero, negli stessi termini e modalità previste per il personale a tempo pieno.
PERMESSI PER MOTIVI PERSONALI O FAMILIARI
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Comparto: CCNL 1.9.1995, art. 21, comma 2 (come integrato da art. 23, comma 2 primo alinea CCNL 19.4.2004); CCNL 7.4.1999, art. 41 comma 1; CCNL integrativo 20.9.2001, art. 16 comma 1. Dirigenza: CC.CC.NN.L. 5.12.1996, art. 23 comma 1 terzo alinea (Dirigenza medica e veterinaria, come integrato da art. 24 comma 1 CCNL 3.11.2005), art. 22 comma 1 terzo alinea (Dirigenza SPTA, come integrato da art. 24 comma 1 CCNL 3.11.2005).
D.L.112/2008, art.71, comma 4 (si vedano anche circolari DFP n. 7 e 8 del 2008).
Al personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono concessi, a richiesta,
3 giorni lavorativi all’anno di permessi retribuiti per particolari motivi personali o
Aran
Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità familiari, debitamente documentati, compresa la nascita dei figli.
Al riguardo si segnala che l’art. 71, comma 4, del D.L. n.112 del 2008, convertito nella
L. n. 133 del 2008, ha sancito l’obbligo di una quantificazione esclusivamente ad ore delle tipologie di permesso retribuito, per le quali la legge, i regolamenti o i contratti collettivi prevedono una fruizione alternativa in ore o in giorni. Pertanto, i permessi in esame, per il personale del comparto, sono attualmente fruibili soltanto in ore ed il limite complessivo è di 18 ore annuali (art. 41, comma 1, CNL 7.4.1999).
Tali ore potranno essere utilizzate anche per l’effettuazione di visite specialistiche, terapie mediche o accertamenti clinici e diagnostici non effettuabili in orari diversi da quello di lavoro.
I permessi retribuiti possono essere concessi, altresì, per l’effettuazione di testimonianze per fatti non d’ufficio, nonché per l’assenza motivata da gravi calamità naturali che rendono oggettivamente impossibile il raggiungimento della sede di servizio, fatti salvi, in questi eventi, i provvedimenti di emergenza diversi e più favorevoli disposti dalle competenti autorità.
I permessi per motivi personali o familiari, in ragione della loro computabilità e fruibilità ad ore, spettano al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale e orizzontale in misura proporzionale rispetto alla percentuale di prestazione lavorativa.
Rapporto di lavoro a tempo determinato
Il personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato può altresì ricorrere all’utilizzo dei 10 giorni di permesso non retribuito previsti dalla disciplina contrattuale (personale del comparto: art. 17, comma 6, terzo alinea del CCNL 1.9.1995 come modificato da art. 31 CCNL integrativo 20.9.2001. Dirigenti: art. 16, comma 5, del CCNL 5.12.1996 come sostituito da art. 1 CCNL integrativo 5.8.1997).
PERMESSI BREVI DA RECUPERARE
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Comparto: CCNL 1.9.1995, art. 22.
Il personale di comparto con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato può chiedere, al dirigente preposto all’unità organizzativa presso cui presta servizio, di assentarsi per un periodo non superiore alla metà dell’orario di lavoro giornaliero, purchè questo sia costituito da almeno 4 ore consecutive.
Aran
Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità

I permessi brevi non possono superare le 36 ore annue e devono essere recuperati di norma entro il mese successivo, secondo le modalità indicate dal dirigente o dalla regolamentazione interna.
In caso di mancato recupero si procederà alla decurtazione proporzionale della retribuzione.
PERMESSI ORARI PER ASSEMBLEE
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Comparto: CCNL integrativo 20.9.2001, art. 2; Dirigenza: CCNL integrativo
sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre
Il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato ha diritto a partecipare, durante l’orario di lavoro, ad assemblee sindacali, in idonei locali preventivamente concordati con l’Azienda, per un numero massimo di 12 ore annue retribuite pro capite.
I permessi per partecipazione ad assemblee in ragione della loro computabilità e fruibilità ad ore, spettano al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale e orizzontale in misura proporzionale rispetto alla percentuale di prestazione lavorativa.
PERMESSI PER LAVORATORI PORTATORI DI HANDICAP PER PROGETTO TERAPEUTICO DI RIABILITAZIONE
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Comparto: CCNL integrativo 20.9.2001, art. 15.
Il personale di comparto (esclusa la dirigenza) con rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei confronti del quale sia stato accertato, da una struttura sanitaria pubblica o convenzionata in base alle norme vigenti, la condizione di portatore di handicap e che debbano sottoporsi ad un progetto terapeutico di riabilitazione predisposto dalle predette strutture, hanno diritto alla concessione di permessi orari giornalieri retribuiti nel limite massimo di due ore per tutta la durata del progetto di recupero.
I suddetti permessi non si cumulano con quelli previsti dalla L. 104/1992 e smi.
10.2.2004 aree dirigenziali, art. 2; Comparto e dirigenza: CCNQ 7.8.1998, e smi
prerogative sindacali, art. 2
Aran
Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità

PERMESSI PER DIRITTO ALLO STUDIO
Normativa di riferimento
Comparto: CCNL integrativo 20.9.2001, Art. 22. Sull’argomento si veda anche la circolare n. 12/2011 del DFP.
Al personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono concessi, a richiesta, anche in aggiunta alle attività formative programmate dall’Azienda, permessi retribuiti nella misura massima di 150 ore individuali per ciascun anno e nel limite massimo del 3% del personale in servizio a tempo indeterminato presso l’Azienda all’inizio di ciascun anno, con arrotondamento all’unità superiore.
I permessi di cui sopra sono concessi per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall'ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami (quindi il giorno dell’esame). I permessi di che trattasi non possono essere concessi per la preparazione degli esami.
Qualora il numero delle richieste superi il predetto limite del 3%, per la concessione dei permessi si rispetta l’ordine di priorità secondo i criteri stabiliti dai commi 4-6 dell’art. 22 del CCNL integrativo 20.9.2001.
I suddetti permessi in ragione della loro computabilità e fruibilità ad ore, spettano al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale e orizzontale in misura proporzionale rispetto alla percentuale di prestazione lavorativa.
PERMESSI PER ESPLETAMENTO MANDATO SINDACALE
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Comparto e Dirigenza: art. 10 CCNQ 7.8.1998 e smi sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali; CCNQ 26.9.2008 e smi.
Aran
Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità

I componenti delle RSU e i dirigenti sindacali delle OO.SS. rappresentative ai sensi dei vigenti CCNQ, che non siano collocati in aspettativa/distacco, hanno titolo ad usufruire di permessi sindacali retribuiti giornalieri ed orari, per l’espletamento del proprio mandato.
Tali permessi possono essere fruiti, oltre che per la partecipazione a trattative sindacali anche per partecipare a convegni e congressi di natura sindacale.
Il numero delle ore di permesso che possono essere concesse a ciascuna organizzazione sindacale dipende dal calcolo del monte ore annuo effettuato, da ultimo, con i criteri previsti nel CCNQ del 17.10.2013 per la ripartizione dei distacchi e permessi alle OO.SS. rappresentative nei comparti per il triennio 2013 – 2015 e nel CCNQ 5.5.2014 per la ripartizione dei distacchi e permessi alle organizzazioni sindacali rappresentative nelle aree della dirigenza per il triennio 2013 – 2015 (si veda anche la Circolare ARAN n. 8407 del 14 ottobre 2009).
PERMESSI PER LE RIUNIONI
DI ORGANISMI DIRETTIVI STATUTARI
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Comparto e Dirigenza: art. 11 CCNQ 7.8.1998 e smi sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali; CCNQ 26.9.2008 e smi.
I dirigenti sindacali, non collocati in aspettativa/distacco, che siano componenti di organismi direttivi statutari nazionali, regionali, provinciali e territoriali delle proprie associazioni sindacali rappresentative, possono fruire di ulteriori permessi retribuiti, orari o giornalieri, per la partecipazione alle relative riunioni.
Il contingente delle ore di permesso sono state stabilite, da ultimo, dal CCNQ 26.9.2008, art. 5.
Le OO.SS. rappresentative appartenenti alla stessa sigla possono consentire utilizzazioni in forma compensativa delle ore di permesso sindacale fra comparto e rispettiva area dirigenziale ovvero tra diversi comparti e/o aree.
Le OO.SS. devono comunicare preventivamente i nominativi dei dirigenti sindacali aventi titolo alla fruizione dei predetti permessi.
Aran
Permessi retribuiti e non retribuiti nel comparto Sanità

PERMESSI SINDACALI NON RETRIBUITI
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Comparto e Dirigenza: art. 12 CCNQ 7.8.1998 e smi sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali.
I componenti delle RSU e i dirigenti sindacali delle OO.SS. rappresentative ai sensi dei vigenti CCNQ, che non siano collocati in aspettativa/distacco, hanno titolo ad usufruire di 8 giorni l’anno – cumulabili anche trimestralmente – di permessi sindacali non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi o convegni di natura sindacale.
I soggetti di cui sopra che intendano fruire di detti permessi lo devono comunicare per iscritto al datore di lavoro minimo 3 giorni prima, per il tramite della propria organizzazione sindacale.

VIGNETTE


GESTIONE INIZIALE DEL TRAUMA CRANICO NEI NEONATI, NEI BAMBINI, NEGLI ADULTI


TRIAGE, GESTIONE DEL DOLORE TORACICO NON TRAUMATICO N. 1


TRIAGE, GESTIONE DEL DOLORE TORACICO NON TRAUMATICO N. 2


IL TRIAGE E I CODICI COLORE


mercoledì 2 dicembre 2015

Fibrillazione Atriale, interpretazione Ecg e nuove frontiere


I risultati della survey italiana sui percorsi diagnostici e terapeutici per la cura della fibrillazione atriale (studioISAF: Italian Survey of Atrial Fibrillation) pubblicati sull’American Journal of Cardiology, hanno evidenziato exit-pool differenti rispetto a studi precedenti.
La FA è una tachiaritmia sopraventricolare caratterizzata da un’attività elettrica atriale caotica e irregolare che determina la perdita della funzione meccanica della contrazione atriale. La diagnosi di FA è elettrocardiografica:
  • il primo elemento che caratterizza la FA all’elettrocardiogramma (ECG) è la scomparsa delle onde di attivazione atriale (onde P), che vengono sostituite da rapide oscillazioni della linea isoelettrica, dette onde di fibrillazione (onde f). Le onde f sono del tutto irregolari, con continue variazioni di forma, di voltaggio e degli intervalli f-f, hanno frequenza molto elevata (400-600/minuto) e durano per tutto il ciclo cardiaco (sono continue), determinando un aspetto frastagliato della linea isoelettrica;
  • il secondo elemento caratteristico della FA è l’irregolarità degli intervalli R-R. In corso di FA un grande numero di impulsi di origine atriale raggiunge la giunzione atrio-ventricolare (AV), ma solo una parte di essi si trasmette effettivamente ai ventricoli. La quantità di impulsi che raggiunge i ventricoli dipende, infatti, dalle caratteristiche elettrofisiologiche del nodo AV e delle altre porzioni del sistema di conduzione, dalla presenza di eventuali vie accessorie, dal tono del sistema nervoso autonomo e dall’azione di farmaci concomitanti. Tutte queste variabili contribuiscono alla costante variazione di durata degli intervalli R-R. In sintesi, i due elementi fondamentali per la diagnosi di FA sono rappresentati dall’assenza di onde P e dalla irregolarità degli intervalli R-R!
Nel 55,5% dei casi si tratta di FA permanente o cronica, nel 24,3% persistente e nel 20,2% parossistica. L’analisi per aree geografiche ha evidenziato un tasso di prevalenza decrescente da Nord a Sud passando dal 2,4% di FA nelle regioni settentrionali all’1,8-1,9% in quelle meridionali e nelle Isole. Come atteso le percentuali di pazienti con FA aumentavano al crescere dell’età: con una prevalenza dello 0,16% nel sottogruppo di pazienti con età compresa tra i 16 e i 50 anni, del 4-5% nel sottogruppo con età tra 65 e i 75 anni, 9,0% nel sottogruppo con età tra i 76 e 85 anni e del 10,7% nel sottogruppo con età ≥ 85 anni.
I dati raccolti evidenziano infatti che il 75% dei pazienti con FA presenta ipertensione arteriosa, il 26,8% insufficienza renale, il 25% diabete e il 20-25% broncopneumopatie ostruttive croniche e il 25% scompenso cardiaco.
I pazienti con FA sono infatti più a rischio di sviluppare eventi tromboembolici e di sviluppare deficit cognitivo e demenza. Dei pazienti screenati nella nostra survey, il 18% aveva avuto un TIA o un ictus e il 15% una diagnosi di disturbi cognitivi.
Lo CHA2DS2-VASc è un nuovo score per la prevenzione dell’ictus nel paziente con fibrillazione atriale. Il nuovo Score, già validato dalle linee guida sulla fibrillazione atriale, e’ stato valutato in uno studio di coorte di grosse dimensioni e i dati sono stati riportati online il 31 gennaio 2011 su BMJEsso permette anche l’individuazione dei pazienti potenzialmente a basso rischio e non candidabili alla terapia anticoagulante.
Negli ultimi due decenni la fibrillazione atriale (FA) è divenuta nei paesi a maggiore sviluppo economico uno tra i più importanti problemi di salute pubblica ed una delle maggiori cause di spesa per i sistemi sanitari. I dati ricavati dallo studio ISAF confermano che la prevalenza della FA è in continua crescita e almeno in Italia è doppia rispetto a quanto riscontrato nel passato decennio. Inoltre, il carico di FA si conferma esseremaggiore tra i maschi rispetto alle femmine. Nel mondo reale la strategia terapeutica più frequentemente seguita per gestire i pazienti con FA è quella del controllo della frequenza (51-56% dei casi). Tali percentuali variano in funzione delle caratteristiche dei medici che gestiscono i pazienti (cardiologi, internisti, medici di medicina generale). La terapia anticoagulante orale per la riduzione del rischio tromboembolico sembra utilizzata in misura non ancora ottimale, almeno in sottogruppi di pazienti. Dai dati esposti appare che esiste la necessità di migliorare i percorsi gestionali della FA.
La FA può e deve essere considerata una endemia: soprattutto nella popolazione con più di 65 anni la prevalenza della FA è destinata ad aumentare. Si stima che se oggi in Europa su 500 milioni di persone circa 10 milioni hanno la FA, nel 2030 saranno 15-20 milioni più o meno. Da questi pronostici deriva la constatazione che i costi sanitari della FA andranno continuamente aumentando.
Il costo medio della gestione del paziente con FA è di 3.000-3.200 euro all’anno!!!
Ma il problema della gestione della FA non è solo economico; è ancor prima un problema di tipo organizzativo che dobbiamo valutare alla luce di queste previsioni potenziando i programmi di educazione e formazione del personale sanitario coinvolto.

Addio chemio, ci pensa il PLX4720 a curare il cancro

La ricerca sul cancro è in perenne fermento. L’ultima scoperta è tutta italiana. Un team di scienziati made in Italy dell’Istituto di Candiolo, in provincia di Torino, ha scoperto un nuovo farmaco, il PLX4720, che potrebbe, a dir poco, rivoluzionare le cure utilizzate contro il tumore.
Coordinati da Alberto Bardelli, Direttore del Laboratorio di Genetica Molecolare e Federico Bussolino, Direttore Scientifico della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, gli scienziati – come quanto riportato su un articolo online apparso su notixweb a cura di Marina Ranucci – hanno sperimentato un farmaco in grado di contrastare direttamente le sole cellule tumorali e, di frenare la riproduzione di altre cellule malate.
Una vera e propria innovazione nella cura del carcinoma visto che, attualmente, i metodi chemioterapici utilizzati colpiscono tutte le cellule dell’organismo, anche sane e non solo quelle maligne.
In particolare, lo studio pubblicato su Proceedings of National Academy of Sciences (Pnas) e, portato avanti dai ricercatori italiani, ha analizzato la mutazione di un gene, chiamato BRAF, responsabile della proliferazione incontrollata di alcuni tipi di cancro ed esaminato inoltre, i risultati di un farmaco il PLX4720, il cui uso è legale negli Stati Uniti, ma non ancora in Europa. Il farmaco avrebbe la straordinaria capacità di colpire direttamente le sole cellule tumorali ed evitarne il riformarsi.
Le sperimentazioni finora effettuate per la cura del melanoma hanno dato risultati soddisfacenti e la terapia a bersaglio molecolare, in futuro, potrebbe divenire la strada da percorrere nella lotta contro il cancro.
“Si è accertato – spiegano Alberto Bardelli e Federico Bussolino – che il PLX4720 non solo agisce sulla cellula tumorale bloccandone la crescita, ma ha anche un effetto inatteso sul sistema vascolare del tumore.
Questo eccezionale farmaco – continuano i ricercatori – migliora la perfusione ematica del tumore e l’ossigenazione con due conseguenze: facilitare l’arrivo di altri farmaci al tumore, consentendo di ridurre le dosi di chemioterapici utilizzati nel trattamento, e migliorare l’ossigenazione del tessuto riducendo l’ipossia, appunto la mancanza di ossigeno, solitamente causa della maggiore aggressività della malattia e della comparsa di metastasi. Questa scoperta rivoluziona le prospettive delle attuali terapie antiangiogenetiche, utilizzate ampiamente nel trattamento di molti tumori solidi, dimostrando che è possibile intervenire sull’angiogenesi tumorale non solo inibendola, ma anche cambiando e migliorando le caratteristiche funzionali del sistema vascolare del tumore.
Questa scoperta – concludono Bardelli e Bussolino – è un’ulteriore tappa nella lotta contro il cancro, che si sta globalizzando e allarga il fronte, avendo compreso la necessità di studiare e colpire le vie di comunicazione tra la cellula tumorale ed il microambiente che la circonda. Infatti, il destino di un tumore verso una veloce progressione, o nel permanere in uno stato di quiescenza, dipende sia dalle caratteristiche genetiche della cellula neoplastica sia dalle molecole e dei vasi sanguigni che circondano il tumore”.
Insomma agendo direttamente sulle cellule malate e bloccandone la riproduzione si riuscirebbero a stroncare velocemente i tumori. La speranza, come accade sempre a seguito di nuove scoperte in campo medico, è che i nuovi farmaci riescano ad essere utilizzati concretamente quanto prima e non rimanere solamente allo stato di ricerca.

Nient’altro che un’infermiera

Non sono un angelo.
Sono seduta qui e fisso lo schermo del computer, con un po’ di preoccupazione. Il fatto è che ho davvero tantissime cose da dire sui diciannove milioni e più di infermieri in giro per il mondo e sembra sempre che il tempo non mi basti mai. Sono il mio team, la mia squadra. Sono la mia famiglia. Totalmente disfunzionale, ma pur sempre una famiglia. Credo che ci siano poche professioni dove i colleghi riescono ad irritarsi a vicenda il momento prima e a ridere e scherzare il minuto dopo. È già stato detto che quello che facciamo ogni giorno ci rende un po’ “la marina militare” delle professioni mediche. Quest’affermazione dà l’idea di quanto sia stressante l’ambiente lavorativo di un infermiere, che si ritrova quotidianamente, di fronte alle circostanze più difficili. Quello che compiamo, ogni giorno, è uno sforzo d’ amore. Ma tutti noi sappiamo la verità: gli infermieri non sono angeli scesi sulla terra. Non siamo anime gentili e remissive che baciano la bua ai bambini. Non abbiamo l’immagine tanto cara ai libri di storia, che ci vorrebbero sempre con i berretti bianchi inamidati e le scarpe lustrate. Non siamo neanche quelli che, durante la notte, si danno oscuri appuntamenti nei luoghi più bui dell’ospedale. La nostra professione è stata resa “glamour” oppure è passata ad essere una sorta di feticcio, messa su un piedistallo come poche altre. Eppure, la definizione di ciò che siamo può competere solo con l’elenco di ciò che non siamo.
Il nostro piccolo segreto.
Molti non capiranno mai davvero l’entità di quello che facciamo, ad ogni singolo turno. Possono solo immaginare che si tratti di un lavoro difficile (anche se non sentiranno mai il dolore che abbiamo ai piedi, alla schiena… e al cuore, alla fine del turno). Alcuni diranno “Volevo essere un infermiere, ma forse non avrei mai potuto farlo”. Ci limitiamo a sorridere, ad abbozzare una risposta del tipo “Beh, è un lavoro duro, ma molto bello”, senza pensarci due volte, comprendiamo che la maggior parte delle persone non potrebbe mai davvero sopportare quello che noi affrontiamo ogni giorno. Altri potrebbero ricordarci quanto siamo intelligenti o cercare di convincerci a frequentare Medicina, per diventare dottori. Rispettiamo i medici, ma molti di noi non vogliono intraprendere quella carriera. Le connessioni che stabiliamo e i cambiamenti che stimoliamo nella vita dei nostri pazienti valgono gli innumerevoli passi falsi e i sacrifici che facciamo.Nessuno di loro sa del nostro segreto. I pazienti, le famiglie. I mariti e le mogli. I genitori, i figli, gli amici. Anche se ci provano, non potranno mai capire la profondità e lo spessore, spirituale e fisico, che sono richiesti ad un infermiere. Alcuni potrebbero domandarsi. Quanto può essere dura davvero? Non sono solo tre turni a settimana? Non vi garantiscono gli straordinari e i bonus ogni anno? È più dura di quanto possano immaginare. È molto più crudo e reale di quello che pensano. Ma, quando accade qualcosa di straordinario e noi vi prendiamo parte, essere un infermiere diventa una vera e propria “droga”.
È un miracolo! Urlano i familiari.
È il duro lavoro della medicina moderna! Dichiarano i medici.
Ma chi conosce il segreto, o almeno ne percepisce la presenza, può comprendere che non è stato un miracolo a salvare i vostri cari. Piuttosto, sono state le attenzioni costanti di un’infermiera assennata, intuitiva e fortemente devota alla sua missione. Il nostro segreto è questo: salviamo più vite di quante vogliamo ammettere. Facciamo più errori di quanti speriamo di condividere. E riusciamo a cogliere quelle sottigliezze che impediscono il peggio. Il lavoro dell’infermiere è spesso tacciato di essere un lavoro modesto, umile. Una vita passata a servire gli altri, con altruistica compassione. Ma eccoci qui, questo è il nostro segreto: possiamo dire cattiverie, adottiamo spesso un senso dell’umorismo macabro e ci affidiamo al sarcasmo. Irriverenti, sfacciati e acuti, riuscite a capirlo? No, non siamo tutte delle suore vestite da infermiere. Possiamo essere crudeli, meschini. Possiamo distruggere una matricola e la nostra reputazione. Non rispondiamo sempre alla perfetta immagine che vi siete creati, neanche lontanamente.
Siamo esseri umani.
Siamo esseri umani. Facciamo degli errori. Diventiamo troppo emotivi. E così deve essere. Perché ogni giorno facciamo i conti con la nostra identità, non solo in quanto uomini e donne, ma in quanto infermieri. Siamo definiti da un ruolo che portiamo su di noi come una medaglia al valore. Ma che potrebbe anche diventare una lettera scarlatta. Siamo sempre in “lotta”: con i piani alti, con la malattia, con questioni di vita o di morte. Con i colleghi, le famiglie, con noi stessi. Quello che facciamo quando attacchiamo il turno ogni mattina, o sera, è molto più di un lavoro. È una sfida a dare il 99% di noi stessi agli altri senza lasciar andare mai del tutto quell’1% che ci resta per noi stessi. Siamo esseri umani. Non siamo infallibili. Beviamo troppo. Fumiamo troppo. Mangiamo barrette di cioccolato per cena. Spesso ce la prendiamo con voi perché non c’è nessun altro su cui “scaricare” il nostro peso. Siamo in uno dei pochi settori dove un’emergenza è davvero, autenticamente, un’emergenza… tutto il resto sono solo dettagli. Così, mentre chiediamo scusa per le nostre mancanze e per i nostri atteggiamenti, mentre speriamo, ogni giorno, di diventare persone più comprensive e pazienti…Non possiamo scusarci di essere infermieri. Prendeteci per ciò che siamo, prendete il pacchetto completo, ogni pezzetto, perché non abbiamo scelto di essere così. In qualche modo, anche se ti opponi, questo lavoro ti viene a cercare, se è destino. Filtra dentro di te, fino al midollo. Si insinua nella tua anima. Sacrificherai parti di te stesso per proteggere dei perfetti sconosciuti e ti sembrerà la cosa più logica e sensata da fare.
Non è sensata. È quasi follia. Tutti noi siamo un po’ troppo nevrotici. Abbiamo tutti una personalità di tipo A. Siamo troppo premurosi e investiamo moltissimo su noi stessi. Sono scappata da un lavoro che mi voleva in ufficio dalle nove alle cinque, per seguire una vocazione. L’ho ignorata, combattuta, ma l’infermiera che c’era in me è venuta fuori e mi ha completamente posseduta. E adesso? Non sarò più la stessa. Anche io sono sull’orlo della pazzia. Sono leggermente irrazionale. Totalmente nevrotica. Completamente devota. Sono una donna, una moglie, una figlia. Sono un’amica. Ma in tutto questo sono, senza alcuna scusa, un’infermiera.

Studio sull’efficacia della terapia del sorriso nella relazione infermiere-utente

“Ridere fa buon sangue”, dice un vecchio proverbio. Ridere fa bene al cuore, conferma un’originale ricerca scientifica presentata a Orlando, in Florida, all’American College of Cardiology. La risata è un vero e proprio farmaco, suggeriscono i ricercatori, con tanto di indicazioni.
Dosaggio: una somministrazione di quindici minuti al giorno.
Effetti: miglioramento della circolazione del sangue e prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Controindicazioni: nessuna.
Una medicina che va bene per tutti, grandi e piccoli, uomini e donne. La terapia del sorriso non è una novità: tutti ormai conoscono la storia di Patch Adams, il medico americano con il naso da clown che prima ha intuito, poi trasformato in cura il potere benefico della risata.
Ridere stimola in pratica una migliore reattività alla malattia, accelerando il processo di guarigione, agevolando le cure mediche e rendendole più efficaci. Con quanto detto però, non si vuole asserire che il sorriso porti ad una guarigione certa, cosa che infatti non è stata confermata da nessuna ricerca scientifica. Sicuramente il sorriso non è la pozione magica che ci farà guarire, ma rappresenta quella chiave nella porta che, se girata nel momento giusto, ce la può far aprire, mostrando altri modi per vivere la sofferenza che possono aiutare a superare in modo migliore le malattie e il dolore.
Ho condotto un’indagine conoscitiva nelle Unità Operative dei Presidi Ospedalieri di Barletta, Andria, Trani e Canosa al fine di esaminare la situazione esistente rispetto al fenomeno e modificare le modalità di erogazione dell’assistenza attraverso l’elaborazione di programmi di miglioramento.
Ho utilizzato come metodo di rilevazione dei dati una ricerca mista  ovvero sia quantitativa (caratterizzata dalla raccolta di informazioni numeriche  e dalla loro analisi attraverso procedure statistiche), sia qualitativa (caratterizzata dalla raccolta di dati come caratteristiche, sentimenti, emozioni e opinioni dei diversi soggetti).
Gli strumenti d’ indagine utilizzati sono stati due questionari, di cui uno rivolto al personale infermieristico mentre l’altro rivolto agli utenti e ai loro familiari.
L’invio dei questionari è stato anticipato da una telefonata a tutti i coordinatori infermieristici delle diverse Unità Operative, ed è stato accompagnato da una lettera di presentazione dove è stato indicato chi ha condotto lo studio, l’obiettivo dell’indagine e l’ utilizzo che è stato fatto dei dati ottenuti. L’invio dei questionari rivolti al personale infermieristico è avvenuto per fax o per email agli inizi di Settembre 2011, e la raccolta è terminata alla fine di Settembre 2011. Con tale questionario si è cercato di:
  • valutare le modalità con cui l’ infermiere entra in relazione con il paziente;
  • di evidenziare le principali difficoltà relazionali;
  • di verificare le conoscenze dell’ infermiere riguardanti gli effetti benefici provocati sull’organismo dalle emozioni positive (il sorriso, l’allegria, la comicità…);
  • verificare la loro opinione circa l’ utilizzo della terapia del sorriso nell’assistere i pazienti.
Il secondo questionario, ovvero quello rivolto agli utenti e ai loro familiari, è stato distribuito personalmente e la sua compilazione è avvenuta in presenza della ricercatrice, talvolta leggendo le domande formulate, date le difficoltà dovute all’alfabetizzazione (soprattutto per i pazienti anziani) e lo stato clinico. Con tale questionario si è cercato di:
  • verificare come l’infermiere si pone nei confronti del paziente;
  • verificare se le modalità utilizzate dall’infermiere creano disagio per il paziente, ed ostacolano il relazionarsi con tale figura professionale;
  • valutare quali sono le sensazioni ed emozioni conseguenti all’ospedalizzazione;
  • verificare se l’infermiere è in grado di gestire tali emozioni e sensazioni;
  • verificare se, per il paziente, l’ utilizzo del sorriso può essere uno strumento utile per facilitare la comunicazione con il personale sanitario;
  • valutare cosa ne pensano i pazienti e i loro familiari circa l’utilizzo della terapia del sorriso, e soprattutto valutare se ritengono che questa possa essere utile per migliorare il loro stato di salute, nonché per il loro benessere bio-psico-sociale.
La strategia di campionamento utilizzata è stata la randomizzazione semplice, ovvero l assegnazione casuale del campione per evitare che questa potesse essere, anche involontariamente, influenzata dalle aspettative del ricercatore, ed anche per garantire a tutti i soggetti la possibilità di poter essere inclusi nel campione.
 Infermieri ed utenti a confronto
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Grafico n. 1
Grafico n. 1
Come si evince dai grafici sovrastanti la relazione infermiere – utente è importante sia per gli infermieri, sia per gli utenti, infatti questi ultimi hanno dichiarato che la caratteristica più importante di cui dovrebbe essere in possesso l’infermiere è proprio la capacità relazionale. Ne deriva quindi che è importante non solo l’acquisizione di competenze tecniche e professionali, ma soprattutto è fondamentale l’approccio umano con il paziente. All’infermiere i malati chiedono di prendersi cura non solo dei loro corpi, ma anche di ciò che essi sono: vogliono essere capiti; vogliono entrare in contatto; vogliono essere lavati da un infermiere che non sa soltanto lavarli bene, ma che li capisce mentre li sta lavando, che li ascolta e che sa comunicare con loro anche senza parole.
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Grafico n. 2
Grafico n. 2
Da tale confronto si deduce che la relazione infermiere-utente può essere favorita dall’utilizzo di atteggiamenti giocosi e sorridenti. Si tratta di un dato riscontrato sia tra gli infermieri, sia tra gli utenti i quali hanno sostenuto di preferire l’incontro con un infermiere che abbia un atteggiamento gioioso e sorridente piuttosto che un atteggiamento formale. A tal proposito si può ricordare che uno degli scopi della terapia del sorriso è proprio questo, ovvero utilizzare tali atteggiamenti per ridimensionare la distanza tra l’infermiere e il paziente, al fine di promuove la presa in carico della persona nella sua globalità.           

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Grafico n. 3
Grafico n. 3
Confrontando questi due grafici si desume che una parte degli intervistati (il 5% degli infermieri e il 32% degli utenti) non ha mai sentito parlare della sorriso-terapia. Questi dati confermano la mia ipotesi iniziale, ovvero l’ipotesi secondo la quale la sottovalutazione della terapia del sorriso è dovuta talvolta alla mancata conoscenza della positività dei suoi interventi. Alla luce di tutto ciò ho voluto evidenziare l’utilità della terapia del sorriso attraverso la presentazione dei risultati ottenuti dai diversi studi e dalle diverse ricerche scientifiche, affinché la professione infermieristica possa utilizzarli.

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Grafico n. 4
Grafico n. 4
Dai due grafici sovrastanti emerge che gli infermieri, così come gli utenti, ritengono che il sorriso possa essere uno strumento utile per contrastare la paura, l’ansia, lo stress e la tensione conseguenti all’evento traumatico dato dall’ospedalizzazione, considerata un’esperienza di vita estremamente  negativa in quanto i pazienti vengono strappati dalla loro vita quotidiana, a causa di improvvise e diverse patologie, e si ritrovano catapultati in un ambiente che non è il loro, con persone diverse dai loro cari.
Sulla base di tali evidenze mi auguro che l’introduzione della terapia del sorriso possa man mano diffondersi, superando le diffidenze. Cosa possiamo fare per mutare le cose? A mio avviso, suggerimenti utili potrebbero essere i seguenti:
  1. promuovere corsi di formazione ECM rivolti al personale infermieristico che permettano loro di conoscere l’ importanza, le finalità e gli obiettivi della terapia del sorriso e che permettano inoltre, di imparare ad utilizzare l’ umorismo e a mettersi in gioco. Mettersi in gioco significa soprattutto imparare ad ascoltare e comprendere le persone in difficoltà, saperle orientare, rassicurare, farle sentire protette lasciando spazio alle emozioni positive. Si tratta di un passo avanti notevole dal quale trae vantaggio non solo l’ utente, ma anche il professionista sanitario;
  2. favorire la de-burocratizzazione delle strutture sanitarie lasciando spazio alla cromoterapia, ad esempio promuovendo innovazioni come il cambio di colore delle divise degli infermieri, infatti si potrebbero creare divise un po’ diverse da indossare in reparto, senza stravolgerle completamente. Indossare divise e calzature disegnate con colori vivaci può essere un ottimo modo per trasmettere al paziente una tranquillità e una serenità emotiva che possono aiutarlo ad abbassare il livello di ansia e di stress psico-fisico che può avere in quel momento. Talvolta la divisa bianca può essere vista in modo troppo formale e questo potrebbe comportare un allontanamento da parte dei pazienti e dei loro familiari. Ne deriva quindi che indossare una divisa allegra non significa venir meno alla propria professionalità e non deve neppure servire per sottovalutare le patologie e la sofferenza del paziente, ma è semplicemente una modalità utile per avvicinarsi al paziente e cercare di favorire un primo contatto. Sempre ai fini della de-burocratizzazione si potrebbe procedere con l’ allestire in ogni reparto luoghi di divertimento dove i pazienti e il personale sanitario possono trascorrere del tempo, ed anche inserire luci soffuse accompagnate da musiche piacevoli in quanto queste aiuterebbero ad abbassare i livelli di stress psico-fisico;
  3. favorire la cooperazione tra clown – dottori e clown – infermieri al fine di dar luogo alla continuità terapeutica;
  4. introdurre la terapia del sorriso nel piano di studi del Corso di laurea in infermieristica al fine di approfondire le arti della Clown-terapia;
  5. cercare di mutare l’accoglienza infermieristica la quale molto spesso viene messa in secondo piano. Al contrario presentarsi con un sorriso sul volto faciliterebbe l’ inizio di un buon rapporto di fiducia con il paziente. Quando parlo di sorriso, non mi voglio soffermare solo ad una semplice distensione del volto di chi fa assistenza. I modi per presentarsi alla persona da assistere sono molteplici e tutti professionali. Ad esempio accogliere il paziente facendo una battuta ironica può essere un buon modo per avviare il processo di assistenza e portare la persona verso una risata che lo aiuterà ad allentare tutta la tensione accumulata fino a quel momento e porterà il soggetto all’enunciazione del suo problema e del suo malessere, dandoci, così, l’opportunità di procedere con l’accertamento. Così facendo la persona tenderà anche a richiamare “l’infermiere che lo fa ridere” nei suoi momenti di necessità e ciò porta a sviluppare quel rapporto di fiducia che consente una completa presa in carico della persona.
Il divertimento dunque, non deve essere vissuto come un incompetenza, come una modalità per arginare  e sottovalutare il sapere e il saper fare dell’infermiere, ma, anzi, deve essere visto come un metodo che conduce l’infermiere ad agire in modo più responsabile e competente.
Ridere è una cosa seria!!!!!!!!!!!