Gli interventi infermieristici in area critica sono spesso molto complessi e devono essere eseguiti in maniera attenta e spesso in tempi rapidi. Il professionista della salute che lavora nell’ambito dell’emergenza/urgenza
deve coniugare efficienza e riduzione degli errori. Al centro della sua
azione assistenziale vi è un paziente in condizioni di acuzie che ha
bisogno di interventi nell’immediato.
L’area critica si caratterizza per complessità e rapidità di interventi atti a sostenere le funzioni vitali dell’individuo in condizioni cliniche precarie.Il paziente critico presenta, infatti, condizioni tali da comprometterne la sopravvivenza a breve-medio termine; esso si trova in una situazione di instabilità clinica che necessita di alta intensità di cura, di un monitoraggio continuo e dell’utilizzo di procedure invasive che ne consentano la stabilizzazione.
È doveroso, a tal fine, mettere in atto risposte assistenziali intensive e continue con tempestività. Tali criteri di azione si rendono necessari non solo per garantire la sopravvivenza della persona, ma anche per evitare l’insorgenza di complicanze tardive e, in questo modo, tendere alla migliore qualità di vita residua possibile per il paziente.
Perciò l’infermiere di area critica deve avere capacità decisionali ed essere in grado di agire tempestivamente, in particolare nella rilevazione e valutazione dei parametri vitali e nel loro monitoraggio nel tempo, in considerazione della possibile rapida precipitazione degli stessi.
L’infermiere di area critica opera in diversi contesti, tra i quali si inserisce quello del servizio di emergenza/urgenza. Innanzitutto, è necessario specificare la differenza tra “emergenza” e “urgenza”:
- con emergenza ci si riferisce a condizioni patologiche ad insorgenza improvvisa e di rapida evoluzione in cui le condizioni vitali del paziente sono talmente critiche da comprometterne la sopravvivenza e che, pertanto, necessitano di interventi repentini;
- con urgenza ci si riferisce, invece, a condizioni patologiche che, pur avendo insorgenza improvvisa, determinano un pericolo di vita calcolato in ore, non in minuti, per le quali è comunque necessario intervenire nel minor tempo possibile.
Il setting dell’emergenza/urgenza
I setting si declinano in tre situazioni distinte: intraospedaliera, extraospedaliera e grandi emergenze.L’infermiere del S.E.U. 118 (sistema emergenza-urgenza) può lavorare sia in centrale operativa che sul mezzo di soccorso.
In centrale operativa l’infermiere, al momento della chiamata dell’utente, esegue un dispatch telefonico, durante il quale, tramite la formulazione di domande standardizzate, attribuisce un codice colore ed attiva il mezzo di soccorso; in questa fase l’infermiere di centrale coordina tutti gli interventi attivi e i mezzi a disposizione.
A livello territoriale l’infermiere di emergenza-urgenza può essere sia team leader di un’ambulanza non medicalizzata che lavorare in équipe in una con medico a bordo. Ricevuta l’attivazione da parte del collega di centrale l’infermiere, insieme ai componenti dell’équipe di soccorso, parte per raggiungere il luogo dell’evento nel minor tempo possibile, compatibilmente con la situazione del traffico stradale, le condizioni metereologiche e il codice attribuito dal collega di centrale.
Giunto sul posto, il team leader, periodicamente in contatto con la centrale operativa, inizia la valutazione, in primis dell’ambiente, che deve essere in sicurezza, in secundis delle condizioni cliniche della persona.
In particolare:
- rileva i parametri vitali;
- provvede al posizionamento di un accesso venoso;
- in base ai sintomi riferiti dal paziente, mette in atto il protocollo stabilito.
Il sistema del Triage
In riferimento al triage, occorre sottolineare che esso è stato istituito da D.P.R. 27 marzo 1992, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17/05/1996, in cui si sancisce che tale funzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato e operante secondo protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio.
Gli obiettivi del Triage sono:
- Assicurare immediata assistenza al malato che giunge in emergenza;
- Indirizzare alla visita medica i pazienti secondo un codice di priorità;
- Identificare le priorità e l'area più appropriata di trattamento;
- Smistare i pazienti non urgenti;
- Ridurre i tempi di attesa per la visita medica (anche se per i pazienti meno gravi - codici bianchi - con il triage i tempi d'attesa sarebbero più lunghi se confrontati a un accesso alla sala visita basato sul semplice ordine d'arrivo in pronto soccorso);
- Ridurre lo stato d'ansia;
- Migliorare la qualità delle prestazioni professionali del personale in Pronto Soccorso;
- Valutare periodicamente le condizioni dei pazienti in attesa;
- Fornire informazioni sanitarie ai pazienti e ai loro familiari.
Nel definire un codice colore, sia in ambito intra che extra-ospedaliero, l’infermiere non formula alcuna diagnosi, cosa che resta di chiara pertinenza medica, ma sulla base della valutazione di segni e sintomi stabilisce la priorità dell’assistenza. Ciò garantisce un’equa distribuzione delle risorse disponibili, al fine di assicurare al paziente più grave priorità di intervento e di ridurre il sovraffollamento (o overcrowding) dei pronto soccorso.
L’infermiere che si occupa di soccorso extra-ospedaliero si trova a dover fronteggiare molteplici situazioni di compromissione di una o più funzioni vitali, come nel caso di arresto cardiocircolatorio, di dolore toracico, di shock, ecc.
In queste situazioni i protocolli sono essenziali, perché permettono una rapida gestione e l’individuazione delle procedure più idonee atte a sostenere le funzioni vitali compromesse del paziente; essi si basano spesso su flow-chart e sequenze di azioni, come nel caso delle manovre di BLSD e nel protocollo PTC utilizzato per la gestione del paziente politraumatizzato.
L’infermiere è continuamente formato ed aggiornato sulle evidenze scientifiche. In particolare, alcuni protocolli, quali ad esempio BLSD, BLSD Pediatrico e PTC, prevedono un retraining periodico.
L’infermiere segue, inoltre, corsi di formazione specifici e master in area critica, che prevedono, tra le altre cose, l’utilizzo del protocollo ALS (Advance Life Support), un’estensione del BLS (Basic Life Support).
L’ALS permette il monitoraggio e la stabilizzazione del paziente tramite manovre di tipo invasivo, come l’intubazione endotracheale o il confezionamento di una tracheotomia. In particolari situazioni, in cui non è possibile reperire un accesso venoso rapidamente a causa di un ambiente altamente insicuro o per la presenza di paziente con grave shock, l’infermiere, specificatamente ed adeguatamente formato, può posizionare un accesso intraosseo.
Questo tipo di soluzione si attua solo in situazioni che non permettano altra via di somministrazione che garantisca l’infusione di liquidi e farmaci in quantità simili a quelle somministrabili per via endovenosa, come detto, in situazioni di emergenza e può essere tenuta in situ per un tempo non superiore alle 24 ore.
Nel caso di paziente politraumatizzato, ad esempio in un incidente stradale con dinamica maggiore, oltre a reperire un accesso venoso e alla continua valutazione dei parametri vitali, è essenziale una corretta immobilizzazione del paziente in modo da evitare, per quanto possibile, danni aggiuntivi e permettere un sicuro trasporto verso il pronto soccorso.
L’immobilizzazione prevede l’ausilio di particolari dispositivi
Il Ked (Kendrick Extrication Device) permette l’estricazione della persona dall’abitacolo dell’autovettura; il collare cervicale, insieme alla tavola spinale, immobilizzano la colonna vertebrale e non vanno mai rimossi prima che il referto radiologico abbia dato responso negativo riguardo la presenza di eventuali fratture vertebrali.Nell’incidente con dinamica maggiore, inoltre, si rende necessario il trasporto in ospedale nella cosiddetta golden hour, ovvero quel periodo di tempo entro un’ora dalla lesione traumatica, che assicura la maggiore possibilità di sopravvivenza della persona.
Le patologie tempo-dipendenti, come ad esempio la sindrome coronarica acuta, sono correlate a diversi fattori:
- rapidità del soccorso
- precoce riconoscimento dei fattori di rischio
- rapido riconoscimento dei sintomi
Quindi esegue un ECG a dodici derivazioni, che viene inviato per via telematica ad una centrale di telecardiologia, dove viene refertato dal medico cardiologo. Sulla base del referto cardiologico, in presenza di situazioni in cui venga segnalato un tratto ST sopraslivellato, viene attivato il cosiddetto “protocollo Hub”.
Il modello “Hub & Spoke” esprime una modalità di “produzione e distribuzione” dell’assistenza ospedaliera secondo il principio delle reti integrate che prevedendo la concentrazione della casistica più complessa e sistemi produttivi altamente specialistici in un numero limitato di centri “ HUB (mozzo)” che trattino volumi di attività tali da garantire la miglior qualità dell’assistenza erogata ed il miglior utilizzo delle risorse organizzative disponibili.
L’attività di tali centri è fortemente integrata attraverso connessioni funzionali con quella dei centri periferici “SPOKE (raggi)” che assicurano l’assistenza per la casistica residua.
Il protocollo Hub prevede la centralizzazione del paziente in un centro con emodinamica interventistica attiva h24, bypassando l’ingresso del paziente in pronto soccorso. Durante il trasporto, che avviene con ambulanza medicalizzata, il paziente viene monitorato e viene dotato di piastre del defibrillatore; inoltre viene eseguita terapia secondo protocollo MANO, ovvero somministrazione di morfina, aspirina, nitrato e ossigeno, su prescrizione medica.
Nella situazione in cui il centro di emodinamica interventistica sia molto distante, o per svariate ragioni non possa essere raggiunto, si può centralizzare l'accesso al pronto soccorso di un ospedale che non presenta emodinamica, definito ospedale Spoke. In questo caso, vista l’impossibilita di effettuare una rivascolarizzazione del ramo coronarico interessato e il posizionamento di uno stent coronarico, è indicata la terapia fibrinolitica.
Si può affermare che il Servizio Emergenza Urgenza 118 funge da anello di congiunzione tra il domicilio della persona e il centro di emodinamica o l’ospedale SPOKE.
Il Triage intraospedaliero
Esso viene effettuato, allo sportello del pronto soccorso, dall’infermiere appositamente formato che, sulla base dei segni e sintomi:- assegna un codice colore di priorità al paziente;
- gestisce le liste di attesa;
- rivaluta continuamente i pazienti già “triagiati”.
Maxiemergenza e Medicina delle Catastrofi
Per quel che concerne le maxiemergenze, la medicina delle grandi emergenze e delle catastrofi adotta altri tipi di protocolli per il triage:- protocollo START (Simple Triage And Rapid Treatment);
- protocollo CESIRA (Coscienza, Emorragie, Shock, Insufficienza respiratoria, rotture osse, Altro).
In tali circostanze il triage viene effettuato in momenti distinti:
- sul cantiere, ovvero il luogo dell’evento, in modo da stabilire una priorità di accesso al Posto Medico Avanzato (PMA);
- all’ingresso del PMA, in modo da decidere secondo quale ordine evacuare il paziente verso gli ospedali limitrofi;
- prima dell’evacuazione;
- all’ingresso in ospedale;
- nei percorsi intraospedalieri.
Si stanno sempre più sviluppando protocolli a gestione totale ed autonoma dell’infermiere, senza ingerenza medica, come i già citati Fast Track e See & Treat.
Ciò comporta, e sempre più comporterà, la necessità di una grande preparazione dell’infermiere, sia teorica che pratica, basata su:
- aggiornamento continuo;
- adesione a protocolli condivisi;
- attitudini personali;
- esperienza professionale.
- efficacia;
- efficienza;
- qualità assistenziale;
- equa distribuzione delle risorse.
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