Il passato può servire per capire meglio dove siamo, cosa siamo, dove vogliamo andare e cosa vogliamo fare
Vogliamo ringraziare la D.ssa Fabiola Piatti
(docente a contratto dell’Università di Firenze e dirigente
Infermieristico) per averci dato l’opportunità di conoscere questo
centro e di parlarci un po’ di ciò che racchiude. Il mondo della Cultura
Infermieristica, del suo passato e delle specifiche che da sempre
contraddistinguano il sapere infermieristico. Per capire bene gli altri,
dobbiamo prima sapere chi siamo noi e da dove veniamo. Questo sembra un
percorso scontato, alle volte invece è poco discusso dalle realtà
scientifiche che si occupano anche di formazione. Ci sembra quindi un
ottima occasione per fare delle riflessioni e iniziare a documentarsi
sul nostro passato e sulla cultura che ci ha formato da sempre. Se
passate da Firenze e visitate anche l’Azienda Ospedaliera di Careggi non
dimenticate di andare a vedere il Centro di Cultura Infermieristica, ne
rimarrete sorprendentemente affascinati.
1) A Firenze presso l’ospedale di Careggi esiste un “museo” particolare in cui si raccolgono storie e vissuti dell’infermieristica italiana. Ci può fare un accenno di questo ambiente fortemente voluto all’interno del presidio ospedaliero/universitario?
Più che parlare di Museo lo definirei per quello che in effetti è: Centro di Documentazione della Cultura Infermieristica. Museo è un concetto statico, un museo è tutto ciò che c’è all’interno di un contenitore. Ma il contenitore dove ha inizio? Dove ha fine?
Nel nostro caso ci può essere un inizio, l’avvio delle Scuole Convitto per Infermiere, ma non una fine perché il
Centro rappresenta e vuole rappresentare una forma di antropologia
critica e riflessiva sulla Cultura Infermieristica, sulla Cultura del
Prendersi Cura, ieri come oggi.
Il Centro di Documentazione della Cultura Infermieristica nasce infatti per colmare un’assenza.
L’assenza della visibilità di una cultura troppo spesso confusa come
appendice della cultura medica. Il Centro, inaugurato il 10 maggio 2013,
si pone l’obiettivo di archiviare, tutelare, conservare, valorizzare,
documentare, attraverso beni materiali e immateriali, tutto quanto ha
avuto e ha a che fare con il sapere, il saper fare, il saper essere
della professione infermieristica.
A oggi il Centro contiene la raccolta delle memorie orali sulla vita professionale, vecchie fotografie, la documentazione originale a partire dal 1926 della Scuola Convitto per Infermiere Beatrice Portinari di Firenze,
la corrispondenza fra l’allora direttrice e le allieve, le richieste di
domanda di ammissione, i registri delle lezioni, delle punizioni, delle
presenze e dell’organizzazione del tirocinio, le lettere di
presentazione che le candidate dovevano presentare per essere ammesse, i
regolamenti del Convitto, vecchi e nuovi oggetti di uso assistenziale
ritrovati grazie al lavoro e al coinvolgimento di tanti colleghi.
Per ogni “bene” consegnato viene
compilata una scheda che indica chi lo porta, dove è stato ritrovato, a
cosa serviva, se ci sono ricordi o eventi particolari legati a
quell’oggetto, tracciando così un’ulteriore storia di quell’oggetto di affezione che ha rappresentato un percorso
e un’esperienza di vita e che diventa documento di un’emozione, di una
ritualità, di un linguaggio specifico, di un senso e di un significato
che rendono peculiare la Cultura Infermieristica.
2) Perché è importante conoscere la storia degli Infermieri se si vuole garantire un Futuro solido all’infermieristica?
Perché la Storia è Memoria, e memoria
significa ripensare criticamente il passato, però con gli occhi del
presente, con le categorie mentali del presente.
Il passato forse può non servire
per risolvere i problemi del presente, ma può servire per capire meglio
dove siamo, cosa siamo, dove vogliamo andare, cosa vogliamo fare.
Conoscere serve per analizzare e riflettere sui nostri valori
professionali, su ciò che fa della Professione Infermieristica una
specificità culturale. Ecco, il Centro di Documentazione lo definirei
uno spazio politico.
Uno spazio che ci ricordi il privilegio
che abbiamo di vicinanza e solidarietà con chi assistiamo, con chi si
affida a noi. Troppo spesso ci dimentichiamo di questo privilegio.
Troppo spesso, in maniera assertiva, accettiamo di essere “negati e
silenziati”.
La Cultura del Prendersi Cura
può diventare una forza controcorrente al paradigma contemporaneo di
individualismo e competitività. Un modello culturale differente
all’efficientismo delle nostre organizzazioni sanitarie. Se però non
riusciamo a ri/conoscerci e a ri/conoscere la forza che sta nella nostra differenza culturale, saremo destinati a essere un “museo”.