Le Procedure non sono altro che successioni dettagliate, logiche e consequenziali di atti tecnici e operativi. Grazie ad esse tutto l’agire dell’Infermiere diventa oggettivo, sistematico e soprattutto verificabile.
Il ruolo delle Procedure nella riduzione della variabilità ingiustificata di comportamento tra gli operatori sanitari
Le Procedure (PRC) sono parte dei Protocolli(link all’articolo “protocolli, cosa sono?”) e servono a circostanziare le modalità con le quali si realizzano determinate azioni infermieristiche.
La Procedura è un documento che descrive e fornisce evidenza di un processo, si connota come una successione dettagliata e logico-consequenziale di azioni tecnico-operative che ha lo scopo di mettere ogni operatore nella condizione di svolgere la propria attività in modo uniforme.
Le Procedure, dunque, sono degli strumenti che rendono lo svolgimento delle attività il più possibile oggettivo, sistematico e verificabile,
soprattutto nei casi di alta complessità assistenziale. Al loro interno
è raccolto un insieme di azioni professionali finalizzate ad un
determinato obiettivo che descrivono il “cosa” viene fatto e che sono in
grado di ridurre il rischio, in particolar modo nelle attività ad
elevata complessità.
Il format delle Procedure prevede, dopo la redazione, la verifica e l’approvazione dell’elaborato; si redigono procedure dirette alla standardizzazione(link
all’articolo “gli standard in sanità”) della pratica infermieristica,
procedure dirette alla standardizzazione dei metodi e degli strumenti
per la pratica infermieristica e procedure volte alla standardizzazione
dell’organizzazione delle attività infermieristiche e
tecnico-alberghiere.
In ogni caso, elementi prioritari che compongono una procedura sono:
titolo;
obiettivo da raggiungere (output);
campo di applicazione;
responsabilità, strumenti di riferimento e registrazione;
sequenza e descrizione delle attività da eseguire;
indicatori con tabella di raccolta dati;
riferimenti normativi e documentali e le procedure devono necessariamente:
essere costruite dai professionisti infermieri dell’unità operativa nella quale verranno adottate (coadiuvati, all’occorrenza, da altri professionisti);
essere condivise collegialmente da tutti gli utilizzatori;
prevedere modalità condivise di aggiornamento e revisione da parte dell’équipe.
Le raccomandazioni di comportamento clinico, conosciute come Linee Guida
in Sanità, sono un ausilio fondamentale nel processo decisionale. Ogni
azione del Professionista della Salute deve rifarsi ad esse.
Le Linee Guida (LG) sono documenti che forniscono raccomandazioni di comportamento clinico
Sono elaborati mediante un processo di revisione sistematica della letteratura (sinossi:
studio che individua, valuta e sintetizza i dati di studi scientifici
allo scopo di offrire risposte esaurienti basate su dati empirici) e
delle opinioni degli esperti con lo scopo, da un lato, di massimizzare i
risultati e le risorse dell’assistenza sanitaria e, dall’altro, di
omogeneizzare la prassi clinica in presenza di situazioni analoghe e di
contrastare l’utilizzo di procedure ad efficacia non documentata.
Le Linee Guida sono prodotte da gruppi multidisciplinari e
offrono un’ampia definizione della buona pratica professionale, essendo
basate su analisi, valutazioni e interpretazioni sistematiche delle
prove scientifiche.
Esse si orientano alla produzione di un risultato lasciando un
margine di flessibilità a chi le dovrà applicare; l’obiettivo è quello
di fornire una guida, per i professionisti sanitari e per gli utenti, sulla
scelta di modalità assistenziali più appropriate in determinate
situazioni cliniche garantendo la chiarezza dei percorsi e delle
responsabilità.
Essendo strumenti dichiaratamente concepiti come ausilio nel processo decisionale, le Linee Guida devono:
dichiarare la qualità delle informazioni utilizzate (il livello delle evidenze);
dichiarare l’importanza, la rilevanza, la fattibilità e la priorità della loro implementazione (la forza delle raccomandazioni);
esplicitare le alternative di trattamento e i loro effetti sugli esiti;
avere caratteristiche di flessibilità e adattabilità alle mutevoli condizioni locali.
Le Linee Guida offrono un’ampia definizione della buona
pratica alla quale aggiungono pochi dettagli operativi; inoltre, rendono
più evidente il dovere del sanitario di motivare le scelte dei
comportamenti di cura e assistenza. La giurisprudenza, infatti,
riconosce al sanitario uno spazio di discrezionalità tecnica, purché
ogni sua scelta sia basata su dati oggettivi e riscontrati.
In questi giorni ho riletto il secondo rapporto
sulla comunicazione sociale in Italia a cura di Cucco Enzo e
collaboratori (Carocci Editore, 2011). Molta enfasi è stata data alla
comunicazione in ambito sanitario che come ben sappiamo rappresenta un
elemento di vitale importanza non solo per la percezione vissuta dai
cittadini ma anche per i risultati che questa produce sugli esiti di
salute.
Comunicazione, l'importanza in ambito sanitario
La società è cambiata e oggi con i moderni mezzi di comunicazione le
informazioni viaggiano veloci e le interazioni sono quanto mai affidate
ai nuovi social network. Leggiamo nel rapporto che oggi
per comunicazione in ambito sanitario si intende sia l’attività di
comunicazione delle aziende sanitarie verso la collettività
(comunicazione sanitaria), incentrata principalmente sui servizi, sulle
prestazioni e sulla comunicazione di crisi e di emergenza, sia la
comunicazione per la salute, i cui ambiti d’intervento riguardano tutti i
fattori che influiscono sulla salute, i cosiddetti determinanti di
salute, e che possono essere distinti in ambientali, sociali, economici,
relativi agli stili di vita (alimentazione, attività fisica,fumo, alcol
ecc.) e all’accesso ai servizi, non solo sanitari, ma anche sociali,
scolastici, ricreativi e di trasporto (Associazione italiana della
comunicazione pubblica e istituzionale, 2006)
Categorie di consumatori e comitati a tutela dei cittadini organizzano sempre più incontri e dibattiti sulla buona comunicazione non solo per i cittadini ma anche e soprattutto per i professionisti della salute.
Senza volerci soffermare troppo su alcuni aspetti che conosciamo
bene, ovvero la compliance con il malato, la capacità di ascolto e
accoglienza, l’empatia e la relazione terapeutica, ci sembra doveroso
riflettere e migliorare, nel caso ce ne fosse bisogno, il nostro approccio comunicativo, delle volte troppo diretto e quindi un po’ distaccato dal contesto globale del malato (visione olistica del paziente) oppure troppo amichevole, modalità non corretta e giusta nella gestione completa dell’assistenza.
I malati si fidano degli infermieri e in generale degli operatori
sanitari così come si rendono conto se hanno davanti professionisti
preparati e capaci e questo dipende molto anche dalle capacità
comunicative. il concetto di comunicazione sta profondamente
cambiando: si è passati dal comunicare al comunicare con, fino ad
arrivare a far diventare il cittadino coautore del messaggio
pubblicitario, quando non addirittura del progetto stesso (Sobrero, 2009). La comunicazione quindi è di vitale importanza in
quanto entra a far parte a pieno titolo della relazione terapeutica
che“è una relazione d’aiuto i cuiprotagonisti sono il paziente e
l’operatore sanitario. La comunicazione in sanità è un campo che investe
tout court tutte le figure professionali che girano attorno al malato.
Nello specifico ambito infermieristico assume fondamentale importanza la qualità della comunicazione e della relazione
che si instaura tra infermiere e persona assistita. L’infermiere,
infatti, oltre agli interventi tecnici, nel prendersi cura del malato
svolge una funzione supportiva e terapeutica attraverso il dialogo, allo
scopo di stabilire un’interazione efficace e personalizzata, che miri
al soddisfacimento dei bisogni, al recupero dell’autonomia e
dell’adattamento allo stress che ogni malattia porta con sé.
Alcuni autori (Zeithamal et al.,) hanno descritto alcuni criteri che gli utenti utilizzano per valutare la qualità del servizio classificandole in dieci dimensioni generali che sono:
• aspetti tangibili: aspetto delle strutture fisiche, del personale, degli strumenti di comunicazione;
• affidabilità: capacità di prestare il servizio promesso in modo affidabile e preciso;
• capacità di risposta: volontà di aiutare le persone (clienti) e di fornire prontamente il servizio;
•atteggiamenti: cortesia, gentilezza, rispetto, considerazione e cordialità del personale;
•credibilità: fidatezza e attendibilità del fornitore del servizio;
•sicurezza: assenza di pericolo, rischio o dubbi, accessibilità e facilità del contatto;
•comunicazione: informazione degli utenti attraverso un linguaggio comprensibile, capacità di ascolto;
•comprensione del cliente: adoperarsi per conoscerlo e capire le esigenze.
Molti altri studi ci forniscono gli stessi dati e collocano la
comunicazione tra le priorità nell’ambito sanitario e nella percezione
della qualità dei servizi forniti ai cittadini. Sarebbe opportuno quindi rileggere e riverificare le nostre competenze professionali/personali
e capire quali strategie mettere in campo nell’ottica di un
miglioramento dell’assistenza infermieristica con strumenti sempre più
adeguati.
Secondo alcuni audit svolti qualche tempo fa in ospedali toscani, sembra necessario implementare l'uso di protocolli e/o procedure
finalizzate a stabilire delle relazioni terapeutiche efficaci, cercando
di diminuire le criticità (mancanza di ascolto, difficoltà comunicative
con i pazienti, gestione di relazioni complicate con l’utenza etc
etc..). Èutile aumentare le consulenze infermieristiche e
la supervisione con supporto attivo nelle relazioni, nei reparti e nei
servizi; è necessario anche aumentare la sensibilità degli operatori
circa le criticità personali e di organizzazione. La sanità cambia e i cittadini sono disposti ad un colloquio attivo con il mondo sanitario
e i professionisti devono cogliere questa opportunità per un
miglioramento personale e professionale, aumentando il proprio bagaglio
culturale e comunicativo. Per i colleghi che vogliono approfondire ecco
alcune letture utili:
Vanzetta M., Valicella F., Il
punto di vista dell’utente: come si misura e quanto costa misurarlo,
Management Infermieristico, Verona, n 4/2000;
Zanotti R., et al., Introduzione alla metodologia del processo di nursing. Un approccio Italiano, Summa, Padova, 1994;
Zeithamal et al., I fattori
strategici delle aziende sanitarie. Dalla qualità del servizio
all’utente alla definizione di sistemi premianti per il personale,
Milano, Lauri Edizioni, 1996;
Zani B., La comunicazione come
processo sociale, Il Mulino, Bologna, 1983 Motta C., Florian J., La
relazione e la comunicazione con la persona assistita, Nursing Oggi, N
4, 2000;
Saiani L., Di Giulio P., La relazione d’aiuto con il paziente e la famiglia, Cavazzuti e Cremonini, CEA, 1999;
Cavicchioli A., et al., Elementi di base dell’assistenza Infermieristica, Vol.1, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1994;
Bassetti O., Psicologia della
Salute e Nursing, Emmebi Diffusione Editore, Milano, 1991 Forchuck C.,
Martin M.L., et al.,Therapeutic Relationship to hospital from community,
2002;
Gallop Ruth N.M., et al., Establishing Therapeutic Relationship, Nursing Best Practice Guidelines, 2002.
Cinque minuti, questo il tempo medio che ha a
disposizione un infermiere di Triage per assegnare un codice di
priorità. In questo lasso di tempo, vi sono variabili esterne che
possono indurre in errore e che devono essere arginate per permettere al
professionista di mantenere la concentrazione sullo stato del paziente.
Triage infermieristico, qual è la sua vera funzione?
Circa 300 pazienti al giorno, 12 pazienti all'ora, 5 minuti a paziente. Cinque minuti.
Cinque minuti per decidere che colore assegnare, cinque minuti per
decidere le priorità di accesso all'ambulatorio medico di quel paziente
rispetto agli altri.
Cinque minuti per rilevare parametri vitali, segni e sintomi che
servono ad inquadrare il problema, cinque minuti, all’occorrenza, per eseguire un Ecg, un’Ega, somministrare ossigeno e anche la terapia del dolore.
Questo è in media il tempo che ha a disposizione un infermiere per assegnare un codice di priorità ad un paziente che accede in Pronto soccorso. Ma facciamo un passo indietro: dove nasce il Triage?
Il Triage in origine non è nato per gestire il sovraffollamento dei Pronto soccorso, questo è avvenuto in un secondo momento.
Il Triage come lo consideriamo oggi è un'evoluzione del soccorso extraospedaliero. Questo, a sua volta, ha origine dalla sanità militare.
Storicamente la parola Triage venne utilizzata per la prima volta
durante le guerre condotte da Napoleone, quando il chirurgo capo
dell'armata francese, barone Jean Dominique Larrey, organizzò i soccorsi
ai soldati feriti sul campo di battaglia, scegliendo di soccorrere per
primi quelli con lesioni meno gravi e quindi più rapidamente
recuperabili per la battaglia.
Nella sua versione moderna il Triage infermieristico prende
corpo negli anni '60 negli Stati Uniti. L'aumento progressivo dei
pazienti che affluivano in PS, conseguenza di un'ampia quota di
popolazione priva di assicurazione sanitaria, portò i tempi di attesa
medi superiori a 6 ore, con picchi fino a 16-17 ore. Questa situazione di sovraffollamento è andata generalizzandosi a tutti i paesi industrializzati, con una tendenza in costante aumento. Buona parte di questi pazienti non presenta vere urgenze e il sovraffollamento che ne deriva può comportare ritardi per gli utenti che hanno bisogno di un tempestivo intervento medico.
Il sistema Triage, c'è da precisare, non comporta un risparmio sulla quantità totale dei tempi di attesa, ma opera solo una ridistribuzione in favore di chi è più grave a svantaggio di chi non avrà comunque danno da un tempo maggiore di attesa.
Valutazione di Triage, le variabili che interferiscono con la codifica
La valutazione di Triage è alla base del processo di Nursing e del processo decisionale, guida la decisione di Triage e può significativamente influenzare i risultati dell’assistenza.
L’attività di Triage è un insieme molto complesso ed articolato di
attività infermieristiche che hanno come fine ultimo quello di
attribuire un codice di gravità (decisione di Triage) per ogni utente
che accede al Pronto soccorso, identificando immediatamente i pazienti
in pericolo di vita.
I punti di forza del professionista sono le conoscenze acquisite durante il percorso formativo,
le abilità specifiche certificate, la conoscenza della metodologia di
valutazione (ed anche come, dove e quando registrare), la capacità di
applicarla in maniera critica, la responsabilità delle rivalutazioni
(documentare ed aggiornare la situazione clinica del paziente ogni
qualvolta si effettua la rivalutazione), la conoscenza di come e quando
applicare i protocolli in uso al servizio.
Se la pianificazione e gli interventi sono basati su dati non
accurati e/o incompleti, vi possono essere risultati a rischio per il
paziente.
Inoltre, il dover espletare azioni improprie contestualmente al
processo di Triage (spesso per via di carenza di personale preposto) può
influire negativamente sul processo di Triage stesso, innalzando il
rischio di errore. Si pensi, ad esempio a quando l'infermiere triagista è
costretto a:
fornire informazioni di servizio
svolgere funzioni proprie del centralinista
smistare pazienti non di Pronto soccorso
svolgere funzioni di pubblica sicurezza
Il Ministero della Salute nel febbraio 2013 ha emanato la Raccomandazione n. 15 per prevenire la morte o grave danno conseguente a una scorretta attribuzione del codice del triage, sia della centrale operativa 118, sia all'interno del Pronto soccorso.
La Raccomandazione vuole porre l'attenzione all'insorgenza degli
eventi avversi conseguenti all'errata attribuzione del codice triage.
Grande importanza viene data alla predisposizione di protocolli e procedure basate su Evidence Based Medicine o Evidence Based Nursing,
l'identificazione certa del paziente per evitare errori di omissione di
atti di ufficio, la rivalutazione, che permette l'eventuale correzione
di precedenti errori di valutazione, la formazione e l’addestramento
continuo del personale.
L'esperienza del triagista associata al rispetto di linee guida e
protocolli standardizzati per il Triage può aiutare l'infermiere a non
incorrere in errori di valutazione. Qualora la prima valutazione non sia
corretta, le rivalutazioni continue del paziente possono essere un'arma di difesa e di aiuto per l'infermiere, che può rivedere l'assegnazione del codice colore.
Anche l'instaurazione di un rapporto fiduciario con
il paziente o con il caregiver può essere d'aiuto al professionista, che
potrà trovare la collaborazione dell'utenza nella tempestiva
comunicazione di eventuali cambiamenti dello stato di salute del
paziente.
Ultimo, ma non per importanza, l'occhio clinico e il
colpo d'occhio sulla sala d'attesa per rivalutare visivamente
situazioni cliniche in continua evoluzione, ma in questo caso solo
l'esperienza può essere d'aiuto.
Per emotrasfusione si intende
la somministrazione di emocomponenti, ovvero globuli rossi o emazie
concentrate, piastrine o plasma fresco congelato (PFC).
Gestione del paziente durante emotrasfusione
L’emotrasfusione considerata a tutti gli effetti un trapianto di tessuto, necessita quindi in maniera imprescindibile del consenso da parte del paziente, poiché è una manovra alla quale sono connessi rischi importanti, in particolar modo secondari a reazioni avverse.
In ogni realtà ospedaliera sono presenti procedure specifiche che
riguardano la richiesta, la corretta gestione e somministrazione di
emocomponenti, basate sulle capacità organizzative e strutturali del
presidio ospedaliero; tuttavia, vi sono alcune tappe comuni da seguire e rispettare in qualsiasi realtà.
Di regola il paziente va trasfuso con sangue appartenente al medesimo
gruppo sanguigno. In urgenza possono essere trasfusi globuli rossi (ma
non sangue intero) di tipo 0 negativo. Inoltre, i soggetti Rh - negativi
devono ricevere sempre sangue Rh negativo, mentre quelli Rh - positivo
possono riceverne di entrambi i tipi.
Il gruppo
Può ricevere da
Può donare a
0+
0- 0+
A+ 0+ B+ AB+
A+
A+ A- 0+ 0-
A+ AB+
B+
B+ B- 0+ 0-
B+ AB+
AB+
TUTTI
AB+
0-
0-
TUTTI
A-
A- 0-
A+ A- AB+ AB-
B-
B- 0-
B+ B- AB+ AB-
AB-
A- 0- B- AB-
AB+ AB-
Richiesta del medico
Una volta identificata la necessità del paziente di essere sottoposto
ad emotrasfusione, il medico compila una richiesta, nella quale deve
essere necessariamente inserita la corretta e completa anagrafica, la
motivazione della richiesta, i valori dell’emocromo. Inoltre, è
importante aggiungere se il paziente ha già ricevuto in passato
trasfusioni e se ha eventualmente avuto reazioni avverse.
Identificazione del paziente e fase del prelievo
Quando il paziente viene trasfuso per la prima volta, è necessario eseguire un prelievo per identificare il gruppo sanguigno e il fattore Rh; occorre inoltre eseguire un prelievo per il cross match, ovvero le prove crociate.
Quest’ultimo è fondamentale per “testare” il sangue del ricevente con
quello del donatore e valutare l’effettiva compatibilità fra i due. Ad
ogni nuova richiesta di emazie, il prelievo per il cross match deve
essere nuovamente eseguito, al fine di effettuare le prove crociate sulle nuove sacche che ogni volta vengono associate a quella richiesta.
L’infermiere esegue una corretta identificazione del paziente: se quest’ultimo è in grado di fornire i propri dati anagrafici, occorre chiedere al paziente nome, cognome e data di nascita.
Le domande che vengono poste devono sempre essere a risposta aperta,
in modo che sia il paziente a comunicare in maniera esplicita i suoi
dati.
Non è sufficiente che egli risponda solamente “sì” o “no” alle nostre
domande. Se il paziente non è in grado di fornire i dati, perché
incosciente, in coma o non attendibile, è fondamentale che egli abbia un
bracciale identificativo che ne riporti i dati anagrafici.
Sono sempre più numerose le realtà ospedaliere in cui è presente un
sistema informatico che, attraverso un palmare, permette di
scannerizzare il bar – code della richiesta di emocomponenti prima, il
bar- code presente sul bracciale del paziente, l’etichetta applicata
alla provetta per il prelievo e, in un secondo momento, il bar code
della sacca stessa, in modo da ridurre al minimo il rischio di errore.
Per minimizzare il rischio di errore in fase di prelievo, le linee
guida raccomandano di attaccare l’etichetta alla provetta prima di
eseguire il prelievo, e utilizzare l’anagrafica presente sull’etichetta,
insieme a quella presente sulla richiesta, per eseguire la corretta
identificazione del paziente.
Le provette vanno sempre firmate dall’infermiere che esegue il
prelievo. Se la provetta per il gruppo e la provetta per il cross match
vengono eseguiti nello stesso momento, le linee guida raccomandano che
vengano effettuati da due operatori diversi. Nel caso sia lo stesso
infermiere ad eseguire il prelievo, le due provette devono essere
prelevate in due momenti diversi. Il prelievo, insieme alla richiesta,
verrà poi inviato al centro trasfusionale.
Fase della trasfusione
È il momento più importante e delicato di tutta la fase, poiché la somministrazione di emocomponenti è una procedura ad alto rischio di reazioni avverse. In questa fase, medico e infermiere in collaborazione
eseguono il corretto controllo della sacca, della richiesta e
dell’anagrafica del paziente. Effettuano nuovamente la corretta
identificazione del paziente come nella fase del prelievo e controllano
che vi sia il modulo del consenso informato firmato. I primi minuti dopo l’inizio dell’emotrasfusione sono quelli più delicati,
poiché quelli più a rischio di sviluppare reazioni avverse. Sono i
momenti durante i quali medico e infermiere devono prestare più
attenzione ed effettuare un attento monitoraggio. È utile anche chiedere
al paziente di comunicarci tempestivamente se avverte malessere, o
disturbi di qualsiasi genere.
Il sangue che arriva dal centro trasfusionale è freddo, poiché
conservato nell’emoteca; le linee guida sconsigliano di scaldarlo, o di
tenerlo a temperatura ambiente per qualche tempo. È invece importante
iniziare la somministrazione subito dopo i dovuti controlli, poiché una
scorretta conservazione della sacca e/o un riscaldamento inadeguato
possono comportare una contaminazione batterica dell’emocomponente.
Reazioni avverse
Le reazioni avverse possono essere immediate o ritardate.
Cosa fare in caso di reazione avversa
È importante sospendere tempestivamente l’infusione, mantenendo la
via pervia con soluzione fisiologica. Avvisare il medico di guardia ed
attivarsi in base alla tipologia di reazione che si sviluppa (farmaci
per trattare le reazioni allergiche, antipiretici per stati febbrili,
ecc).
La sacca non va gettata, ma conservata ed inviata al centro
trasfusionale insieme al modulo che attesta la reazione avversa.
Effettuare un attento monitoraggio del paziente, rilevando i parametri
vitali e i segni e sintomi patologici.
La gestione del rischio
L’atto dell’emotrasfusione può generare errori in tutte le fasi, dalla fase del prelievo alla fase della somministrazione.
È fondamentale ricordare:
paziente giusto
tempo giusto
trasfusione giusta
Si parla di blood safety per identificare la responsabilità
del Servizio Trasfusionale nel garantire la sicurezza degli
emocomponenti che vengono assegnati attraverso una serie di processi
controllati che vanno dal prelievo al donatore alla distribuzione e di transfusion safety
per comprendere lʼinsieme dei processi che si sviluppano nelle U. O.
che richiedono emocomponenti, dal momento del ricevimento delle unità al
momento dellʼinfusione al ricevente.
È proprio nel processo della transfusion safety che si hanno la
maggior parte degli errori correlati all’atto dell’emotrasfusione.
L’evento sentinella è un avvenimento
avverso di particolare gravità, potenzialmente evitabile, che può
comportare morte o grave danno al paziente. Si considera grave danno
qualsiasi conseguenza non intenzionale e indesiderabile derivante
dall’evento avverso. Per la loro gravità, è sufficiente che si
verifichino una sola volta affinché da parte dell’organizzazione si
renda necessario sia un immediato accertamento dei fattori che hanno
causato l’evento o che hanno contribuito a causarlo, sia la verifica
degli stessi, affinché possano essere ridotti o eliminati. L’obiettivo è
l’individuazione e implementazione di adeguate misure correttive.
La definizione di evento sentinella
Il rischio clinico
e la sicurezza dei pazienti sono componenti essenziali dell’assistenza
sanitaria. Non c’è dubbio che l’attuale elevata complessità
assistenziale e l’alto numero di prestazioni erogate, siano fattori che
favoriscono il verificarsi di errori.
Al fine di raccogliere ed analizzare questi eventi, il Ministero della Salute nel 2005 ha avviato un protocollo sperimentale di monitoraggio deglieventi sentinella.
Al vaglio proprio gli eventi sentinella, poiché essi rappresentano
eventi avversi di particolare gravità, non molto frequenti, ma
soprattutto potenzialmente evitabili.
Il protocollo di monitoraggio degli eventi sentinella ha tra i suoi principali obiettivi:
dividere in categorie gli eventi sentinella che si sono presentati nelle strutture sanitarie;
l’analisi delle cause e dei fattori che hanno contribuito al
verificarsi degli eventi sentinella, con particolare attenzione ai
processi e ai sistemi;
creare una rete informativa con le strutture del SSN e con le Regioni;
elaborare ed implementare raccomandazioni specifiche per poter erogare cure sicure e di elevata qualità.
SIMES, Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità
Il Protocollo è stato modificato ed integrato negli anni fino ad
essere formalizzato nel 2009 con il Decreto dell’11 Dicembre che
istituisce il Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità, il SIMES.
Il SIMES è finalizzato alla raccolta delle informazioni sugli eventi
sentinella e alla denuncia dei sinistri. Prevede l’attivazione di tre
livelli di intervento complementari tra loro, quali:
monitoraggio
elaborazioni di raccomandazioni
formazione del personale
con l’obiettivo di definire una strategia di sviluppo continuo e organizzato della qualità e della sicurezza delle cure del Ssn.
Segnalazione dell’evento sentinella
La prima fase del protocollo di monitoraggio prevede la segnalazione dell’evento sentinella.
L'acquisizione dei dati attinenti agli eventi avversi avviene tramite compilazione del modulo di Incident Reporting, segnalazione spontanea e volontaria.
Il referente per la gestione del rischio clinico - qualora presente -
o un referente individuato dalla Direzione Aziendale, provvede a
compilare una scheda relativa alla segnalazione e ad inviarla al
Ministero della Salute, secondo il flusso informativo previsto, entro 5
giorni dall’evento, o dell’avvenuta conoscenza dello stesso.
Root Cause Analysis, l’analisi profonda dell’evento sentinella
L’analisi profonda dell’evento (Root Cause Analysis)
è la seconda fase, attuata tramite la compilazione sempre da parte del
referente per la gestione del rischio, di una seconda scheda relativa
appunto all’analisi delle cause e dei fattori contribuenti e successivo
piano d’azione (terza fase), da inviare alla Regione di riferimento e al
Ministero della Salute entro 45 giorni dal verificarsi dell’evento.
Il piano d’azione
La terza fase, il piano d’azione, comprende una serie di strategie
per apportare cambiamenti e ridurre la probabilità di accadimento.
I risultati che derivano dal monitoraggio degli eventi sentinella non
hanno un significato epidemiologico e non rappresentano dati di
incidenza o prevalenza, ma questo sistema ha come principio fondamentale
quello di comprendere le dinamiche che portano al verificarsi degli eventi e di imparare da essi.
Il rapporto sul monitoraggio degli eventi sentinella
Periodicamente viene elaborato un rapporto che rende disponibili le
informazioni sugli eventi sentinella, con lo scopo di condividere le
informazioni raccolte e mantenere alta l’attenzione in modo costante
sulla problematica.
Gli ultimi dati sono forniti dal “Protocollo di monitoraggio degli eventi sentinella, 5° rapporto” pubblicato ad aprile del 2015, il quale mostra i dati relativi alle segnalazioni pervenute attraverso il sistema SIMES dal 2005 sino al 31 dicembre 2012.
I risultati mettono a disposizione un resoconto generale, mostrando in particolare:
la frequenza di segnalazioni per tipologia di evento
l’esito
il luogo e la disciplina interessata
le principali categorie di fattori contribuenti rilevate
la frequenza di piani di azione sul totale delle segnalazioni.
Tipo evento
N.
%
Morte o grave danno per caduta di paziente
471
24,6
Suicidio o tentato suicidio di paziente in ospedale
295
15,4
Ogni altro evento avverso che causa morte o grave danno al paziente
275
14,3
Atti violenza a danno di operatore
165
8,6
Strumento o altro materiale lasciato all'interno del sito chirurgico
che richieda un successivo intervento o ulteriori procedure
159
8,29
Morte o grave danno imprevisto conseguente ad intervento chirurgico
135
7,04
Morte o disabilità permanente in neonato sano di peso >2500 grammi
non correlata a malattia congenita
82
4,28
Morte, coma o gravi alterazioni funzionali derivati da errori in terapia farmacologica
Procedura chirurgica in parte del corpo sbagliata (lato, organo, parte)
26
1,36
Procedura in paziente sbagliato
16
0,83
Morte o grave danno conseguente ad un malfunzionamento del sistema di trasporto
(intra o extra ospedaliero)
15
0,78
Violenza su paziente in ospedale
14
0,73
Totale
1918
100
Come già rilevato nell’anno 2011, il maggior numero di segnalazioni è rappresentato dall’evento caduta dei pazienti, indicando che il problema delle cadute è notevole per le strutture sanitarie.
L’esito con frequenza maggiore risulta essere la morte. Il Reparto di
degenza e la Medicina Generale il luogo e la disciplina con maggior
segnalazioni, mentre le principali categorie di fattori contribuenti
possono essere spunto di meritata riflessione. Di seguito le tabelle.
Cause e fattori legati alle tecnologie sanitarie, farmaci,
linee guida e barriere
1035
Cause e fattori umani
614
Si deve infine sottolineare che il monitoraggio degli eventi
sentinella è un indicatore significativo di cultura della sicurezza nei
vari contesti organizzativi ed è uno dei criteri di valutazione nelle
attività di monitoraggio della effettiva erogazione dei Livelli di
Assistenza e, a partire dal 2010, viene considerato tra i parametri che
le Regioni devono dimostrare di avere adempiuto ai fini della
certificazione in tal senso da parte del Ministero della Salute
(Ministero della Salute, Direzione Generale della Programmazione
Sanitaria)
Fattori contribuenti
N.
%
Barriere
349
25,62
Dispositivi medici e apparecchiature elettromedicali
Si evidenzia l’elevata frequenza, tra i fattori contribuenti, della mancanza, inadeguatezza ed inosservanza di linee-guida, raccomandazioni, protocolli assistenziali o procedure.
I componenti di un team per la gestione delle urgenze/emergenze devono conoscere i farmaci maggiormente utilizzati, che si differenziano dagli altri “di elezione”, perché servono a gestire una situazione di pericolo di vita del paziente. È fondamentale che l'infermiere conosca i farmaci maggiormente utilizzati in emergenza-urgenza, al fine di essere in grado di collaborare con il team di emergenza o di operare da solo per garantire la migliore soluzione possibile al problema che minaccia la vita del paziente, attenendosi ai protocolli in vigore per la propria realtà e valutando caso per caso le situazioni eccezionali che richiedono un intervento rapido, anche se fuori dagli schemi.
Le categorie dei farmaci per la gestione delle emergenze/urgenze
Volendo effettuare una categorizzazione, i farmaci per la gestione delle emergenze/urgenze possono essere divisi per situazione in cui vengono utilizzati:
Arresto cardiaco (per la sua azione di vasocostrittore, che permette di migliorare l’esito della RCP indirizzando il sangue fra cuore e cervello e per la sua azione di inotropo e cronotropo positivo)
Shock anafilattico (per la sua azione di vasocostrittore che aumenta la PA)
1 mg IV ogni 2 cicli di RCP
0,5 mg IM ripetibile
Amiodarone
Antiaritmico, indicato anche per arresto cardiaco con FV TV refrattarie
300 mg IV dopo il terzo shock
Magnesio Solfato
Trattamento della torsione di punta
Intossicazione da digitale
2 g IV
Intossicazioni
Farmaco
A cosa serve
Utilizzo pratico
Naloxone
Intossicazione da oppiacei, come eroina o morfina
0,4 mg IV ripetibile
(da fare anche IM perché la durata degli effetti farmacologici di alcuni stupefacenti può superare quella del Naloxone)
Flumazenil
Intossicazione da benzodiazepine come diazepam, delorazepam, ecc.
0,2 mg IV ripetibile (massimo 2mg)
Carbone Attivo
Si usa contro avvelenamenti orali acuti per la sua capacità di ridurre l'assorbimento sistemico delle sostanze ingerite, è antitossico perché assorbe i veleni che vengono espulsi con le feci
15 grammi per OS
Disturbi metabolici
Farmaco
A cosa serve
Utilizzo pratico
Glucosio (33% oppure 5%)
Ipoglicemia
10 ml di glucosio 33% IV ripetibile
Glucagone
Ipoglicemia: ha effetto iperglicemizzante mobilizzando le riserve epatiche
di glicogeno con conseguente liberazione di glucosio nel sangue
1 mg IM
Insulina rapida
Iperglicemia (coma iperosmolare)
Secondo schema prescritto al paziente
(molto genericamente 1 UI di insulina S.C. abbassa la glicemia di circa 30 mg/Dl, ma dipende dal tipo di insulino-resistenza del paziente)