martedì 27 febbraio 2018

Privacy, il diritto alla riservatezza in ambito sanitario

Privacy è un termine inglese che viene tradotto in italiano come riservatezza. Con questo termine si intende il diritto di ogni persona di fare in modo che i propri dati personali vengano dati e gestiti solo a chi ne ha ottenuto l’autorizzazione e che altri possano accedere a quei dati solo in caso di necessità.

Privacy, cos’è e come garantirla

privacy
Il concetto di privacy assume connotazioni diverse, specie se si tratta di ambito giornalistico e mediatico. In sanità, la privacy comprende la protezione dei dati personali della persona riguardanti il suo stato di salute e la modalità di trattamento. Ogni cittadino che accede ad una struttura sanitaria per visite, esami o ricoveri necessita infatti che gli venga garantita l’assoluta riservatezza, nel rispetto dei suoi diritti fondamentali e della sua dignità.
Le leggi sulla privacy sono contenute nel codice sulla privacy approvato dal decreto legislativo 196/2003, che al suo interno contiene tutte le disposizioni in materia di trattamento dei dati personali, già in vigore nelle leggi precedenti. Il codice garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e della libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati. Inoltre, obbliga al rispetto del principio di necessità nel trattamento dei dati, riducendo così l’utilizzo a finalità specifiche e ben stabilite.
Il codice della privacy distingue i dati in:
  • dati personali: qualunque informazione relativa a una persona fisica
  • dati sensibili: i dati personali che rivelano l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
In ambito sanitario, per dati personali si intendono quelli che fanno riferimento allo stato di salute e alla vita sessuale, ovvero tutte le informazioni sulle condizioni psico – fisiche della persona. Comprendono anche i dati genetici, che riguardano i caratteri ereditari di un individuo e le fotografie scattate durante un intervento chirurgico.
In sanità, la privacy entra in gioco in diverse situazioni. Oltre al trattamento dei dati personali, infatti, è importante che vengano garantiti:
  • la riservatezza durante i colloqui
  • la distanza di cortesia
  • che le notizie al pronto soccorso o nei reparti (sulla presenza o meno di una persona) vengano date solamente a persone legittimate (es. famigliari e conoscenti) previo accordo con l’interessato
  • il rispetto durante le chiamate in sala d’attesa: di norma non si dovrebbero chiamare le persone per nome, ma attraverso un numero ad esempio.
Queste sono situazioni in cui vi è un alto rischio di violare la privacy e l’operatore sanitario può essere per questo punito.

Soggetti coinvolti

Il codice della privacy identifica una serie di soggetti che hanno compiti e responsabilità definiti per legge e che intervengono nel processo di tutela dei dati personali:
  • titolare: la persona fisica, giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono le decisioni sulla modalità del trattamento di dati personali;
  • responsabile: la persona fisica, giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali;
  • incaricato: le persone fisiche autorizzate dal titolare o dal responsabile a compiere operazioni di trattamento dei dati;
  • interessato: la persona fisica cui si riferiscono i dati personali;
  • Garante: è l’autorità che tutela i cittadini in relazione all'uso da parte di soggetti pubblici e privati dei dati che li riguardano. Ha il compito di proteggere i dati personali e di svolgere controlli sulla correttezza dell’uso dei dati.

Trattamento dei dati

Per trattamento dei dati si intende qualsiasi operazione svolta con un elaboratore elettronico o meno, che riguarda operazioni di raccolta dati, registrazione, conservazione, elaborazione, diffusione, selezione.
I dati personali sono tutti quelli anagrafici ed economici, le immagini, i suoni e i codici identificativi riconducibili ad una persona. L’articolo 13 del codice della privacy stabilisce che, prima di procedere alla raccolta dati è necessario informare l’interessato dell’utilizzo dei suoi dati con finalità sanitarie. La raccolta dati è caratterizzata dalle seguenti fasi:
  1. Raccolta: deve avvenire nel modo più corretto possibile, verificando correttezza e completezza
  2. Registrazione (su cartelle cliniche, data base ecc …)
  3. Conservazione: i dati devono essere conservati in luoghi con accesso controllato
  4. Utilizzo: essi devono essere utilizzati solamente da chi è indicato al trattamento
  5. Comunicazione: i dati possono essere comunicati solamente a soggetti determinati e solo previsto da una legge che lo autorizzi, nel rispetto del trattamento dei dati personali
  6. Diffusione
L’interessato è la figura al centro delle misure di tutela previste dal codice della privacy; egli ha il diritto di ottenere informazioni come:
  • la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano (anche se non ancora registrati) e la loro comunicazione;
  • l’indicazione dell’origine dei dati personali, delle finalità e modalità del trattamento, della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici, degli estremi identificativi del titolare e dei responsabili, dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati;
  • l’aggiornamento, la rettifica ed eventualmente l’integrazione dei dati;
  • la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
  • l’attestazione delle eventuali operazioni di aggiornamento, cancellazione e trasformazione in forma anonima.
La carta dei diritti fondamentali dell’Ue sancisce, all’art. 8, la protezione dei dati di carattere personale e nello specifico:
  • Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano.
  • Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge.
  • Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica.
  • Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente.
Per quanto riguarda la comunicazione di dati sanitari (es. referti) a soggetti terzi, quali il medico curante o un familiare dell’interessato indicati da quest’ultimo, l’organismo sanitario deve specificare l’eventualità di tale comunicazione nell’informativa e deve acquisire uno specifico consenso dell’interessato al riguardo.
In ambito sanitario, il codice della privacy si rivolge a:
  • coloro che esercitano una professione sanitaria
  • gli organismi sanitari
Nella prima categoria sono compresi il medico – chirurgo e coloro che esercitano un’attività medica in cui è richiesto un titolo di studio. Sono esclusi: infermieri, ostetriche, fisioterapisti ecc … e tutti coloro che esercitano medicina alternativa per cui non è necessario un titolo di studio abilitante.
Nella seconda categoria sono comprese le Asl, gli enti di ricerca, i servizi di prevenzione e sicurezza sul lavoro.
I dati devono essere:
  • trattati in modo lecito e corretto
  • raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi
  • esatti e aggiornati
  • pertinenti, completi e non eccedenti rispetto agli scopi per i quali sono stati raccolti e usati
  • conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato, per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per cui sono stati raccolti.
Coloro che esercitano una professione sanitaria trattano i dati personali con il consenso dell’interessato. A esprimere il consenso può essere:
  • l’interessato stesso
  • il legale rappresentante o prossimo congiunto o un familiare nel caso in cui la persona si trovi in stato di impossibilità fisica o incapacità di intendere e di volere.
Il consenso deve essere ottenuto prima del trattamento dei dati, tranne nel caso in cui:
  • vi sia impossibilità fisica, incapacità di agire o di intendere e di volere
  • se sussiste un grave rischio per la salute
  • se vi è un’urgenza medica
In questi casi, il consenso può essere ottenuto in un secondo momento.

Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali

Il 24 maggio 2016 è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali. Il documento riprende e in parte ridefinisce alcuni elementi già presenti del codice della privacy.

Consenso

Per tutti i dati sensibili, il consenso deve essere esplicito. Non deve essere necessariamente documentato per iscritto, anche se questa forma ne sancisce l’inequivocabilità. Il titolare, nel caso di consenso orale, deve essere in grado di dimostrare che l’interessato abbia prestato il consenso ad uno specifico trattamento. Il consenso dei minori è valido a partire dai 16 anni, mentre prima è necessario il consenso dei genitori o di chi ne fa le veci.
Il consenso è:
  • libero
  • specifico
  • informato
  • inequivocabile
Non è ammesso un consenso tacito o presunto. Deve essere manifesto.
L’informativa sul trattamento dei dati deve essere:
  • concisa
  • trasparente
  • intelligibile e facilmente accessibile
  • con un linguaggio chiaro e semplice
L’informativa deve essere data in linea di principio, per iscritto e preferibilmente in formato elettronico.

Diritto di accesso

Ognuno deve avere diritto di accesso ai propri dati e quindi si ha diritto a ricevere una copia dei dati personali oggetto di trattamento. Non è obbligatorio che vengano inserite le modalità di trattamento, ma è fondamentale che sia indicato il periodo di conservazione previsto.

Diritto di cancellazione (diritto all’oblio)

È il diritto di poter richiedere la cancellazione dei propri dati personali.

Sanzioni previste per la violazione della privacy

La violazione della privacy, attraverso un trattamento illecito dei dati personali, è punita dal codice penale. È punita anche l’omessa adozione di misure di sicurezza, nonché l'omessa osservanza dei provvedimenti del garante e la falsità nelle dichiarazioni al Garante.
Il codice civile prevede invece sanzioni qualora si abbiano danni materiali e morali conseguenti ad uno scorretto utilizzo di dati personali, nei casi di omessa o incompleta notifica del trattamento al Garante, di inosservanza delle richieste del Garante o per l'omessa informativa ai soggetti interessati.

L’infermiere e il rispetto della privacy

L’infermiere, così come tutti gli operatori sanitari, se a conoscenza di notizie riservate riguardanti una persona, ha l’obbligo di non rivelarle, poiché va incontro non solo ad una violazione di norme giuridiche, ma anche ad una rottura del rapporto di fiducia infermiere – paziente.
Dando uno sguardo alla legislazione, troviamo l’art. 622 del codice penale che cita: Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione od arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa ovvero lo impegna a proprio od altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 30 a euro 516. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Citiamo poi la norma sulla privacy, legge 675/96 che definisce i dati sensibili come i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, le adesioni ai partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico e sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante.
Il codice deontologico dell’infermiere, infine, all’art. 26 cita: L'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza. Mentre all’art. 28: L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con l'assistito.

Oliguria

L’oliguria, sintomo che precede spesso l’anuria, è definita come escrezione urinaria <500 ml/24ore dovuta solitamente a improvviso declino della funzione renale associata ad aumento dei livelli sierici di urea e creatinina, del potassio, oppure dall’incapacità delle vie urinarie di eliminare l’urina.

Oliguria: Cause, sintomi e trattamento di una disfunzione urinaria

L’oliguria si presenta caratteristicamente nell’Insufficienza Renale Acuta, sindrome clinica che può verificarsi a seguito di diverse alterazioni patologiche comunemente classificate in cause pre-renali, renali e post-renali.

Cause pre-renali

  • Ridotta perfusione renale che può verificarsi, ad esempio, in caso di ipotensione, vomito e diarrea, disidratazione, ipovolemia, sanguinamento, secchezza delle mucose e della cute, tachicardia, confusione mentale
  • Ridotta portata cardiaca in caso di scompenso cardiaco, infarto, embolia polmonare
  • Sepsi
  • Farmaci
In genere reversibile correggendo prontamente la causa.

Cause renali

Interessano il parenchima renale:
  • Necrosi tubulare acuta (intossicazione da farmaci, mezzo di contrasto, scorretta gestione delle cause pre-renali, ischemia renale)
  • nefriti interstiziali acute (infezioni, malattie sistemiche)
  • glomerulo-nefriti acute
  • glomerulo nefrite (rapidamente progressiva nella vasculite)

Cause post-renali

  • ostruzione delle vie urinarie che ostacolano la minzione (calcoli, ipertrofia prostatica nell’uomo, neoplasie, neuropatie).
La classificazione RIFLE è importante in quanto maggiore è la durata dell’oliguria, maggiore è la gravità del quadro clinico e il rischio di mortalità.
Per questo motivo è fondamentale riconoscere precocemente l’oliguria monitorando la diuresi oraria.
È dunque fondamentale, se non presente, posizionare il catetere vescicale precocemente e valutare la pervietà del presidio nei pazienti che ne sono già provvisti.
Una volta esclusa una possibile causa ostruttiva, è necessario applicare un protocollo diagnostico che parte da un’accurata anamnesi volta a riconoscere le possibili cause di oliguria.
Inoltre sono necessari indagini di laboratorio che indaghino principalmente la funzionalità renale: urea, creatinina, creatinina clearance, emocromo, elettroliti, glicemia, coagulazione, fibrinogeno, esame chimico-fisico delle urine e citologico, eventuale urinocoltura, emogasanalisi per valutare acidosi e disturbi elettrolitici, indici di flogosi.
Altre indagini possono comprendere: Rx del torace per valutare la presenza di impegno polmonare e diretta dell’addome che può evidenziare la presenza di calcoli urinari, TC addome per studiare i reni e ecocolor-doppler per valutare i vasi renali, elettrocardiogramma.

sabato 24 febbraio 2018

La Professione Infermieristica



Per parlare di Professione Infermieristica moderna occorre fare necessariamente un passo indietro nel tempo e ricostruire le tappe fondamentali che hanno fatto la storia degli infermieri. Dalla madre-soccorritrice alle intuizioni di Florence Nightingale: il passo non è stato breve e la categoria chiede ancora oggi un riconoscimento sociale, culturale, economico ed occupazionale che stenta ad arrivare.

Evoluzione del processo di professionalizzazione dell’infermiere

Scuola infermieri Milano
L’Infermieristica è un corpus complesso e sistematico di conoscenze e strumenti teorico-metodologici volti all’esercizio delle funzioni di tutela e promozione della salute, individuale e collettiva.
Per giungere a questo livello si sono dovute attuare una serie di disposizioni normative (D.M. 739/94, Legge n.42/99, Legge 251/2000, Legge 43/2006, Codice Deontologico), che hanno sancito il definitivo superamento del concetto di ausiliarietà e mera esecutività dell’assistenza infermieristica in relazione alla professione medica.
L’evoluzione nell’ambito dell’esercizio della professione è andata di pari passo con un parallelo processo di riforma del sistema formativo dell’infermiere (D.M. 509/99), che ora si articola in diversi livelli di studio universitario; gli infermieri sono sempre più preparati e competenti e contribuiscono ad un miglioramento effettivo nel campo della pratica clinica, della cura e dell’assistenza alla persona.

Cenni storici

Florence NightingaleIl concetto di ad-sistere (stare accanto) storicamente è legato alla figura della donna, madre-compagna-soccorritrice. Proprio ad una donna è attribuita l’istituzione di quello che può essere considerato il primo ospedale della storia: nel 390 d.C. circa, Fabiola, nobildonna romana, istituì il Valetudinaria (da “valetudo”, “buona salute”), l’ospedale romano in cui operavano medici affiancati da servi che, presumibilmente, svolgevano funzioni infermieristiche.
Con l’arrivo del Medioevo, la cura e l’assistenza vengono assicurate soprattutto dal clero all’interno di conventi, monasteri e lungo le vie di pellegrinaggio (proprio in questi ambiti nasce il termine infermiere: l’infirmus era il monaco che si occupava dell’accoglienza e dell’assistenza di malati e bisognosi). L’istituzione ospedaliera ebbe origine nel contesto religioso e socio-culturale del mondo cristiano.
Mentre i primi ospedali erano strutture adibite al ricovero di chiunque si trovasse nel bisogno, verso la metà del ‘400 ci fu un cambiamento radicale dell’assetto istituzionale e organizzativo degli ospedali: il prendersi cura non veniva più considerato solo in termini di carità cristiana, ma anche in termini di pratica produttiva di salute corporale. Si iniziò a distinguere i malati in base alle loro condizioni e alle loro necessità assistenziali; gli infermieri, religiosi e laici, dovevano conoscere non più solo le sacre scritture, ma anche i rudimenti delle varie malattie e i medicinali con i quali trattarle.
Sarà proprio la rivoluzione iniziata dall’Umanesimo che porterà all’avvicinamento dei concetti di salute e malattia secondo un approccio scientifico.
A partire dal Seicento, con il fiorire di nuove scoperte medico-scientifiche, si assiste alla nascita di nuove teorie e concezioni riguardanti la salute: i “medici clinici” avanzano le prime classificazioni delle malattie sulla base dell’osservazione di segni e sintomi condotta al letto del malato.
La malattia diventa un fenomeno che deve essere studiato come qualsiasi altro fenomeno naturale ed è a partire da questa epoca che il medico si avvale del proprio bagaglio percettivo, del proprio intuito, dell’esperienza accumulata anche grazie all’impiego dei primi strumenti diagnostici.
Il progresso scientifico che accompagna l’avvento dell’Illuminismo settecentesco vede uno strapotere dei medici, sotto lo stretto controllo dei quali gli infermieri erano chiamati a compiti puramente alberghieri e di sorveglianza notturna.
La vera svolta per la figura infermieristica è legata all’intervento di Florence Nightingale (1820-1910), nobildonna inglese dalla forte vocazione religiosa, la prima alla quale sia possibile attribuire propriamente il titolo di “infermiera”.
Durante la guerra di Crimea del 1853 la Nightingale, insieme ad altre 39 infermiere da lei selezionate, prese in mano la situazione dell’ospedale militare inglese di Scutari, nonostante l’iniziale diffidenza da parte dei medici.
Applicando un nuovo metodo organizzativo che garantisse, in primis, l’igiene dell’ambiente terapeutico riuscì a far diminuire in maniera formidabile il tasso di mortalità e fu tra i primi a comprendere l’importanza dell’epidemiologia e statistica medica per interpretare le informazioni sull’evoluzione di una malattia e sull’efficacia delle prestazioni fornite.
Tornata in patria come un’eroina, la Nightingale offrì il suo principale contributo alla professionalizzazione dell’assistenza infermieristica nell’ambito della formazione: con l’obiettivo di innalzare lo status sociale delle infermiere, intuì fondamentale la capacità di dirigere e insegnare ad altre. Selezionò, dunque, le prime 15 infermiere uscite dalla scuola collegata all’ospedale S. Thomas, donne dal ceto nobile e dal comportamento ineccepibile, che mandò all’estero a diffondere il “modello Nightingale”.
Dispose che le allieve risiedessero obbligatoriamente presso un convitto all’interno del quale venivano “plasmate”, nella tecnica e nel carattere, dalla disciplina inflessibile della direttrice. Nell’organizzazione prevista dalle Scuole Nightingale era esclusa qualsiasi interferenza fra l’opera dei medici e quella delle infermiere, poiché le rispettive attribuzioni erano ben distinte; il sistema formativo della Nightingale aveva come obiettivo la padronanza, da parte dell’infermiera diplomata, di una perfetta competenza tecnica e dell’irreprensibilità di carattere e condotta.

La realtà italiana

L’assistenza infermieristica negli ospedali italiani dell’epoca era molto scadente: pessime erano le condizioni di lavoro e l’assistenza infermieristica era priva di qualità e organizzazione.
Fu Anna Celli (1878-1958), infermiera tedesca trasferitasi in Italia, a criticare aspramente le attività degli ospedali italiani, affidate in gran parte ad inservienti impreparati, sfruttati e sottopagati.
Celli seguì le orme di Nightingale e indicò, come soluzione per avviare un processo di professionalizzazione dell’assistenza infermieristica, la formazione di una figura infermieristica femminile laica, di ceto sociale elevato e senza impegni familiari, alla quale affidare le funzioni direttive.
Sotto il regime fascista sorsero le prime scuole convitto con obbligo di internato in Italia, destinate alle sole donne.
Solo nel 1971, con la Legge n.124 del 25 febbraio, viene soppresso l’obbligo di internato e viene aperto l’accesso alle scuole per infermieri anche agli uomini; nel 1973, con l’applicazione del Decreto di Strasburgo, la durata del corso di studi passa da 2 a 3 anni e con il DPR 225 del 1974 viene stilato l’elenco delle mansioni degli infermieri.

Aspetti normativi dell’infermieristica moderna

Le fondamenta dell’esercizio infermieristico sono profondamente mutate negli ultimi anni, nonostante l’applicazione pratica delle leggi che caratterizzano la professione infermieristica sia ancora in divenire.
A dire chi è oggi l’infermiere è il D.M. 739/1994, ovvero il Profilo professionale dell’infermiere che ne individua il campo proprio di attività e responsabilità. Con la Legge 42/99 l’infermiere assume lo status di Professionista Sanitario che, in quanto tale, risponde direttamente delle sue azioni.
La Professione, dunque, dice chi è l’infermiere (D.M. 739/94), cosa sa l’infermiere (Ordinamento didattico, Legge 251/2000, Legge 43/2006), cosa fa l’Infermiere e secondo quali principi (Codice Deontologico dell’Infermiere)

Il processo di professionalizzazione

Con “professione” si intende un’attività svolta a servizio degli altri e in modo autonomo, da soggetti che siano in possesso di specifiche conoscenze scientifiche e competenze tecniche acquisite con un lungo periodo di scolarità.
Secondo Afaf I. Meleis, infermiera statunitense contemporanea, le tappe fondamentali dell’evoluzione dell’assistenza infermieristica verso il raggiungimento di un’identità professionale e un campo d’azione proprio sono state:
  • stadio della pratica: (il “fare”) periodo precedente a qualsiasi teorizzazione infermieristica, coincidente con l’assistenza quotidiana ai malati e ai bisognosi, fondata sulla vocazione caritativa, sulla scienza medica e sulla sensibilità artistica dell’infermiera;
  • stadio della formazione e organizzazione: (educazione e amministrazione risultato dell’attività di ricerca promossa negli anni ’60) interesse per la formazione e il management in aggiunta alla definizione di norme e standard da utilizzare nella formazione degli studenti e nella gestione del personale;
  • stadio della teoria: produzione di modelli e teorie concettuali che affrontano gli interrogativi riguardanti l’assistenza infermieristica, il suo mandato e il suo scopo;
  • stadio della filosofia: esigenza dei professionisti di fornire una valida giustificazione epistemologica (di conoscenza scientifica) ed etica alla disciplina infermieristica nel suo complesso.
Una professione, per essere tale, ha bisogno di possedere determinati attributi:
  1. teoria sistematica: notevole conoscenza sistematica acquisita durante un percorso di formazione specifico;
  2. autorità professionale: in riferimento al Codice Civile, sussiste l’obbligo di garantire un risultato rispetto alla prestazione richiesta, sempre in ambito di autonomia;
  3. sanzioni della comunità: riconoscimento della propria utilità sociale e, dunque, legittimazione istituzionale;
  4. codice etico: insieme di principi etici che vincolano e guidano l’operato del professionista;
  5. cultura professionale: garantita da gruppi formali ed informali di professionisti (ad es. associazioni, sedi formative, ecc.)
Conoscenze organizzate in un corpo sistematico di teorie e principi applicati secondo un insieme condiviso di strumenti metodologici e tecnici, lo sviluppo scientifico delle conoscenze possedute e utilizzate dagli infermieri, un linguaggio tecnico specifico e un proprio oggetto di studio alimentato dai continui aggiornamenti ottenuti dai risultati della ricerca teorica e clinica, fanno dell’Infermieristica una scienza:
  • umanistica, poiché ha l’uomo come oggetto di studio e come beneficiario dei risultati dell’assistenza;
  • dialogica, poiché instaura una relazione reciproca con l’assistito al fine di comprendere i suoi bisogni di salute;
  • organizzata, poiché si articola in una serie di principi, concetti ed asserzioni di base, teorie e modelli che costituiscono la struttura concettuale della disciplina;
  • prescrittiva, poiché si prefigge uno scopo pratico, ovvero quello di soddisfare e migliorare le condizioni di partenza dell’assistito.
Infermieri moderni
Il soddisfacimento dei bisogni di assistenza infermieristica non è solo questione di teoria, metodo, e standard specifici, ma si tratta anche di stile professionale, cioè della messa in campo di un insieme di comportamenti che nel rapporto assistenziale con il malato non coincidono con la sola rete dei concetti, ma con la personalizzazione dell’assistenza infermieristica.
“L’infermieristica non è semplicemente tecnica, ma un sapere che coinvolge anima, mente e immaginazione”, scrisse Florence Nightingale; è un sapere che ha bisogno di un metodo, di una forma mentis che permetta al professionista di porre in relazione l’insieme di conoscenze astratte con la finalità pratica (la soddisfazione dei bisogni dell’utente) e quindi con la risoluzione dei problemi.
Mentre il medico si occupa della malattia, l’infermiere si occupa delle risposte della persona alla malattia, risposte che sono di natura biologica, psicologica, sociale e spirituale e che sorgono in conseguenza ad eventi, a problemi di salute reali o potenziali, a processi vitali.
Scopo dell’assistenza infermieristica è dunque quello di promuovere il benessere, prevenire la malattia e ripristinare la salute nell’individuo, nella famiglia a nella comunità.
Per raggiungere questo scopo, l’infermiere si avvale del proprio metodo scientifico di risoluzione dei problemi: il processo di assistenza.

Il processo di assistenza è l’applicazione del problem solving all’assistenza infermieristica

È un processo le cui fasi si susseguono in modo logico-consequenziale e dinamico.
Il processo di assistenza è un metodo di risoluzione dei problemi, è sia mentale che scritto (il piano di assistenza è la progettualità espressa in forma scritta) e si articola in varie fasi:
  1. accertamento: può essere iniziale, continuo, mirato e d’emergenza e consiste nella raccolta, analisi ed interpretazione dei dati, nell’identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica;
  2. pianificazione: progettazione, attraverso un piano per obiettivi, dell’assistenza (si stabiliscono il problema, l’obiettivo, i criteri di esito e gli interventi da attuare per raggiungere tale obiettivo);
  3. attuazione: messa in pratica del progetto;
  4. valutazione: verifica che gli interventi assistenziali abbiano raggiunto gli obiettivi prefissati.
Per la presa in carico dell’assistito e la pianificazione di un piano di assistenza che, in linea con la Legge 251/2000, sia per obiettivi e sia dunque tarato sul singolo paziente, l’infermiere si serve della Diagnosi Infermieristica: un giudizio clinico relativo ad un individuo, famiglia o comunità in merito agli attuali o potenziali problemi di salute/processi vitali. Essa fornisce le basi per i trattamenti finalizzati al raggiungimento di risultati dei quali l’infermiere è responsabile.

La Diagnosi Infermieristica, che può essere:

  • reale;
  • di rischio;
  • possibile;
  • di benessere.
Deve avere:
  • veridicità;
  • completezza;
  • precisione;
  • chiarezza.
È essa stessa un metodo, un processo e uno strumento di pianificazione ed è formata da:
  • titolo,
  • fattori correlati (la causa del problema),
  • caratteristiche definenti (segni e sintomi, ovvero dati oggettivi e dati soggettivi).
Gli obiettivi, che sono l’opposto del problema iniziale, devono essere realistici, raggiungibili, centrati sul singolo paziente e devono essere formulati con soggetto (l’assisto), un verbo di azione, una condizione, un criterio e un arco di tempo entro il quale devono essere attesi.
Gli interventi costituiscono attività pratiche che l’infermiere, seguendo Linee Guida, Protocolli, Procedure ed Istruzioni Operative, mette in atto per risolvere la causa del problema.
La valutazione, in itinere e a distanza, consiste nel verificare che gli interventi attuati abbiano portato ai risultati prefissati dall’obiettivo.
Il processo di assistenza infermieristica, dunque, è il metodo che la disciplina infermieristica adotta per identificare i bisogni del singolo o di un gruppo sociale e per pianificare una risposta appropriata, efficace ed efficiente a tali problemi attraverso un complesso di prestazioni di totale competenza e responsabilità infermieristiche.
Alla nuova sfera di autonomia operativa dell’infermiere si affianca l’adozione di una documentazione infermieristica, necessaria per certificare correttamente e registrare storicamente le prestazioni infermieristiche erogate, attività che esprime valenza legale in qualità di atto pubblico di incaricato di pubblico servizio.

Catetere maschile esterno: Il posizionamento di un condom


Operatore Socio Sanitario

Il catetere maschile esterno, meglio conosciuto come condom, è una valida alternativa al catetere vescicale e serve per controllare l'incontinenza o per la raccolta delle urine. La scelta di utilizzare, su un paziente, un condom al posto di un catetere vescicale spetta all'infermiere, però al contrario del catetere invasivo, quello esterno può essere applicato anche dagli operatori socio sanitari.

Catetere maschile esterno condom: Cos'è, quando e perché si applica

catetere maschile esterno condom
Il catetere maschile esterno tipo condom
Il catetere maschile esterno, meglio conosciuto come condom, si usa come il condom per la contraccezione, ma a differenza di questo, il catetere maschile esterno viene collegato ad un tubo per raccogliere l'urina che confluisce in una sacca. Inoltre, nella maggior parte dei casi questi condom sono auto-adesivi, per aderire meglio alla base del pene.
La scelta di utilizzare, su un paziente, un condom al posto di un catetere vescicale spetta all'infermiere, però al contrario del catetere invasivo, quello esterno può essere applicato anche dagli operatori socio sanitari.
A domicilio, spetterà al medico o all'infermiere di famiglia informare e formare l'utente sulla corretta procedura da seguire sulla gestione dello stesso.
È importante sottolineare che, soprattutto nei casi di incontinenza, la scelta di un condom, se preceduto da una seria valutazione professionale e dall'utilizzo di prodotti adatti all'utente in questione, può rappresentare davvero una svolta nella vita sociale di un uomo, non più costretto a rintanarsi in casa per paura di emanare cattivi odori o di bagnarsi.
Per quanto riguarda invece i tanti motivi che spingono il personale sanitario ad optare di posizionare un condom, sicuramente ce n’è uno che spicca più di altri. Ed è sicuramente quello della prevenzione di infezioni tradizionalmente trasmesse o provocate dal catetere vescicale o dal pannolone.
Il fatto stesso di non dover inserire nulla all'interno del corpo del paziente o, come nel caso dei pannoloni, di non lasciare lo stesso a contatto con le urine e le feci, può sicuramente recare un beneficio.
A volte, però, può accadere che a seguito di seri motivi non sia possibile utilizzare il catetere maschile esterno. Ecco perché una corretta valutazione prima, durante e dopo il suo posizionamento, è essenziale per evitare danni ancora peggiori.

Posizionamento del condom: La procedura per l’Oss

Se, dopo aver fatto tutte le valutazioni, l'infermiere stabilisce che l'operatore socio sanitario può procedere con l'applicazione del condom, questi deve attenersi alla seguente procedura:
  • lavare le mani prima e dopo l'applicazione e indossare i guanti monouso
  • far sedere il paziente sul bordo del letto e misurare la circonferenza del pene utilizzando, laddove possibile, il metro in cartone fornito dalla casa produttrice del condom
  • preparare il paziente facendolo sdraiare sul letto
  • disporre su un carrello: il catetere maschile esterno, la sacca di raccolta che può essere da gamba o da letto, il tubo di raccordo, il sapone, un asciugamano, le forbici
  • effettuare l’igiene perineale del paziente, assicurandosi di eliminare tutto il sapone e di asciugare bene, altrimenti la colla potrebbe non attaccare. Meglio non usare saponi troppo idratanti
  • tagliare i peli, se presenti, per favorire il fissaggio sulla pelle. Non radere, perché la ricrescita potrebbe creare irritazioni ed infezioni
  • accertarsi che il pene non sia irritato
  • posizionare il condom e poi srotolarlo sul pene. È bene sapere che esistono diversi modi di ancoraggio del catetere maschile esterno. Il più comune è autoadesivo, alcuni prevedono l'utilizzo di colle cutanee sulla pelle prima di srotolare il condom sul pene. Altri si attaccano grazie a fascette adesive che vanno applicate in precedenza sul pene
  • attaccare il raccordo, che può avere forme e dimensioni differenti, e la sacca. Se si tratta di un paziente deambulante è meglio utilizzare una sacca da gamba per il giorno, che solitamente viene attaccata con due fascette elastiche alla coscia o al polpaccio e una sacca più grande per la notte. Nel caso di pazienti allettati è meglio usare direttamente quella più capiente. Mai far riempire la sacca più dei 2/3 della sua capacità. Meglio scegliere sacche con valvole anti-reflusso, per evitare che le urine possano tornare indietro lungo il tubo
  • assicurarsi che il raccordo o il condom non si annodino
  • sostituire il condom entro 24 ore, semplicemente srotolandolo. Attenzione a non strattonare e/o creare lesioni.
Alla fine della procedura, l'operatore deve informare l'infermiere, in modo che possa valutare la minzione ed eventuali perdite di urina.
In questo caso il condom potrebbe essere stato posizionato male o ne è stato scelto uno di dimensioni errate e quindi va rimosso e riapplicato, dopo aver effettuato un'altra igiene delle parti intime.