lunedì 15 gennaio 2018

ACR: Conoscere e riconoscere precocemente l’arresto cardiaco

L’arresto cardiorespiratorio (ACR) è la più grave emergenza nella quale possa imbattersi un sanitario; se non prontamente riconosciuto e trattato porta a morte certa in pochi minuti. La sopravvivenza è legata alla cosiddetta “catena della sopravvivenza”, che prevede il rapido riconoscimento dell’ACR e la immediata richiesta di aiuto, la precoce rianimazione cardiopolmonare (RCP) di elevata qualità, la precoce defibrillazione - se indicata - e, dopo l’eventuale ripresa del circolo spontaneo (ROSC), un corretto trattamento post-rianimatorio.

Arresto cardiaco: Algoritmo universale e cause potenzialmente reversibili

rianimazione cardiopolmonare in arresto cardiaco
L'arresto cardiaco, se non prontamente riconosciuto e trattato, porta alla morte nel giro di pochi minuti
La prima fondamentale distinzione da fare all’interno dell’ACR è il ritmo cardiaco di insorgenza o, meglio, il ritmo che viene registrato dai soccorritori al momento dell’arrivo sul paziente in arresto; questo perché molto diversa sarà la prognosi.
I pazienti trovati in ritmo defibrillabile - fibrillazione ventricolare (FV) o tachicardia ventricolare senza polso (TV) - hanno una possibilità di sopravvivenza all’ACR nettamente superiore a quelli in ritmo NON defibrillabile: asistolia o attività elettrica senza polso (PEA).
In generale, a livello europeo, la percentuale di pazienti dimessi vivi dall’ospedale dopo un ACR è globalmente del 10% circa e sale al 21% nei casi di ACR in ritmo defibrillabile.
Questo dato è dovuto a più fattori:
  • trovare il paziente in ritmo defibrillabile significa che l’ACR è insorto da pochi minuti;
  • alla base dell’ACR insorto in FV/TV vi è per la maggior parte dei casi una malattia cardiaca o comunque tromboembolica, per lo più un infarto del miocardio, meglio trattabile con le “armi” a nostra disposizione rispetto ad altre gravi situazioni cliniche;
  • i ritmi defibrillabili possono essere efficacemente interrotti dalla defibrillazione;
  • gli arresti cardiaci che insorgono in PEA/asistolia sono causati solitamente da situazioni acute di gravità estrema e difficilmente trattabili (ad esempio politraumi, intossicazioni, ipotermia) o sono l’evento terminale, atteso, di gravi patologie croniche.

La diagnosi di arresto cardiaco

Per noi sanitari sarà quindi di estrema importanza essere in grado di diagnosticare rapidamente l’ACR; ricordiamoci - perché fondamentale - che la diagnosi di ACR è solo clinica e non richiede l’ausilio di alcuna strumentazione: il paziente è in ACR se non risponde alle nostre sollecitazioni tattili e verbali, non respira e non ha polso arterioso centrale né segni di vita.
Sappiamo quanto sia importante la rapida interpretazione del ritmo cardiaco; per questo le compressioni toraciche verranno interrotte appena un secondo operatore sarà pronto a posizionare le piastre manuali del defibrillatore sul torace del paziente.
Ora ci si troverà avanti a due diverse possibilità, che porteranno a seguire uno dei due bracci dell’algoritmo universale ALS (Advanced Life Support); il ritmo potrà essere defibrillabile (FV/TV) o non defibrillabile (asistolia o PEA, cioè qualsiasi altro ritmo cardiaco).

Ritmo defibrillabile (FV/TV)

Immediatamente riconosciuto il ritmo defibrillabile caricheremo le piastre (solitamente a 200 Joule con un defibrillatore bifasico, ma i Joule possono variare a seconda della ditta costruttrice; nel dubbio usiamo i 200 Joule) ed erogheremo lo shock in sicurezza per gli operatori, ponendo cioè la massima attenzione che nessuno tocchi il paziente o le strutture con lui a contatto; sarebbe sempre buona norma indossare guanti in lattice, isolanti.
Erogata la scarica verranno immediatamente riprese le compressioni toraciche esterne; ogni 30 compressioni ci si fermerà per permettere la erogazione di 2 ventilazioni.
In 2 minuti di RCP dovranno essere compresi 5 cicli di 30 compressioni alternate a 2 ventilazioni.
Al termine dei 2 minuti di RCP si ricontrollerà il ritmo cardiaco; se ancora defibrillabile si erogherà il DC shock - eventualmente ad energia maggiore - e si procederà con ulteriori 5 cicli di RCP 30:2 per altri 2 minuti.
Nuovamente, trascorsi i 2 minuti, si ricontrollerà il ritmo; se ancora defibrillabile, DC shock e 2 minuti di RCP.
Si continuerà così fino a quando il ritmo si manterrà defibrillabile.
Se dopo i 2 minuti di RCP che seguono una defibrillazione comparirà al monitor un ritmo compatibile con la presenza di circolo (in pratica qualsiasi ritmo non defibrillabile eccetto asistolia), sarà necessario ricercare la presenza del polso carotideo per 10 secondi; se il polso sarà presente saremo usciti dal’ACR avendo avuto il ROSC; in caso contrario saremo di fronte ad una PEA e continueremo la RCP.

L’intervento dell’équipe ALS

La situazione ideale per eseguire un intervento di rianimazione cardiopolmonare avanzata è che l’équipe ALS sia composta da 4 sanitari:
  • un team leader, che si occuperà della valutazione del paziente e di gestire gli altri 3 componenti della squadra
  • una persona alla testa del paziente, che si occuperà della gestione delle vie aeree e di tenere i tempi dell’intervento
  • due persone ai lati del paziente, che si alterneranno al MCE e si occuperanno della defibrillazione e della somministrazione dei farmaci.
Ruolo del team leader è, durante i cicli i RCP, visitare il paziente dalla testa ai piedi e raccogliere le notizie anamnestiche eventualmente disponibili per cercare di capire quali delle 8 cause potenzialmente reversibili abbia provocato l‘ACR.
È di vitale importanza cercare di identificare una delle 8 cause, perché se non diagnosticata e trattata, le possibilità di ROSC si ridurranno al minimo; questo è vero in assoluto per quanto riguarda l’ACR esordito con ritmo non defibrillabile, poiché sostenuto da una situazione clinica talmente grave che, se non risolta, non permette la ripresa di circolo spontaneo.
Di fronte ad un ritmo defibrillabile sarà sempre possibile ottenere il ROSC tramite la scarica elettrica, ma, se non riusciremo a capire cosa abbia causato l’ACR, è alquanto probabile che a breve termine questo comparirà nuovamente.
Di grandissimo ausilio nella ricerca delle 8 cause potenzialmente reversibili si è rivelato l’uso dell’ecografia.
Questa, anche in mani relativamente poco esperte, sarà in grado di informarci in pochi secondi sulla possibile presenza di una embolia polmonare massiva, di un PNX, di un versamento pericardico tamponante, dello stato volemico del paziente, di un versamento pleurico e peritoneale, dell’esistenza o meno di attività meccanica cardiaca, della possibile presenza di un aneurisma aortico.

Trattamento terapeutico

Identificata la causa sarà necessario trattarla nel minor tempo possibile.

Ipossia

Necessario ventilare al meglio il paziente, preferibilmente tramite intubazione oro tracheale (IOT).

Ipotermia

Necessario scaldare il paziente, togliendo vestiti bagnati, scaldandolo con flussi di aria calda, O2 riscaldato, coperte termiche, lavaggi vescicali con liquidi caldi, fino ad arrivare a lavaggio peritoneale/pleurico con liquidi caldi e circolazione extracorporea.

Ipovolemia

L’ecografia ci avrà mostrato una vena cava inferiore (VCI) vuota, completamente collabita; il cuore sarà piccolo, l’attività cardiaca, in caso di PEA, sarà inizialmente concitata, per diventare via via sempre più bradicardica. La terapia sarà riempire il paziente, inizialmente con boli di cristalloidi seguiti da eritrociti concentrati 0 negativo.

Ipo/iperkaliemia

In caso di ipopotassiemia - molto spesso associata ad ipomagnesiemia - potremmo imbatterci come ritmo di esordio in una TV polimorfa detta “torsione di punta”, aritmia abbastanza caratteristica di tale alterazione elettrolitica. La terapia consiste nella rapida somministrazione di potassio cloruro 30 mEq in 15’ e magnesio solfato 2 gr ev.
La iperpotassiemia in condizione di ACR viene trattata con bolo ev di Calcio cloruro 10 ml al 10%, bicarbonato di sodio 8.4% 50 cc, insulina rapida 10 UI in bolo e bolo di glucosio 50 gr; in centri specializzati, terapia elettiva è la emodialisi.

Tossici e farmaci

Identificato un possibile agente tossico alla base dell’ACR, la terapia è la somministrazione dell’antidoto (esempio naloxone nella overdose di oppiacei).

Tamponamento cardiaco, pnx iperteso, tromboembolia polmonare

Hanno aspetti simili all’esame obiettivo, nel senso che, in assenza di concomitante ipovolemia, sono tre situazioni nelle quali il paziente in ACR presenterà giugulari turgide all’ispezione del collo.
Il tamponamento cardiaco solitamente è secondario a trauma toracico, più spesso penetrante, o associato a malattie sistemiche infiammatorie o neoplastiche; anche il PNX iperteso è più facilmente osservabile in pazienti con traumi del torace, ma può essere ad esempio la complicanza di una severa crisi asmatica con rottura di una bolla subpleurica. La tromboembolia polmonare massiva (TEP) più frequentemente è secondaria a trombosi venosa profonda (TVP) prossimale.
Terapia del pnx iperteso
Nel PNX iperteso classicamente si avrà l’abolizione di rumori respiratori a carico di un emitorace, la presenza di enfisema sottocutaneo, la trachea deviata verso il lato non affetto. Nel sospetto di PNX iperteso l’immediata terapia da porre in atto è la detensione tramite ago cannula in II spazio intercostale sull’emiclaveare, in attesa che chi in grado di farlo posizioni un drenaggio toracico.
Terapia del tamponamento cardiaco
Terapia del tamponamento cardiaco, in emergenza, la pericardiocentesi; gold stanard, ma difficilmente attuabile se non in centri particolarmente avanzati, la toracotomia resuscitativa.
Nel sospetto di TEP sarà importante ricercare segni di TVP o la presenza di gesso ad un arto; anamnesticamente prolungata immobilità o, ad esempio, assunzione di terapia estro-progestinica.
Terapia specifica, la somministrazione di trombolitico (alteplase o TNK).
Nella diagnosi differenziale di queste 3 situazioni è di enorme aiuto l’ecografia:
  • nel PNX si avrà l’abolizione dello sliding pleurico dal lato affetto;
  • nel tamponamento cardiaco sarà evidente il versamento pericardico con, in presenza di attività cardiaca meccanica, collasso diastolico delle cavità destre.
  • Nella TEP il cuore dx sarà dilatato, segno di acuto sovraccarico; ipocinetico il ventricolo destro, con possibile risparmio dell’apice (segno di Mc Cullen).
Tutte queste tre situazioni avranno, ecograficamente, vena cava fissa e dilatata.

Trombosi coronarica

Ultima causa, seppur la più frequente, la trombosi coronarica, nei diversi aspetti della sindrome coronarica acuta (SCA); infarto con ST sopraslivellato (STEMI), infarto senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI), angina instabile.
Qui la diagnosi sarà fatta sull’anamnesi e sull’Ecg, se si era riusciti ad eseguirlo prima del sopravvenire dell’ACR, mancando, spesso, reperti obiettivi tipici.
Sempre di più, in centri specializzati, l’orientamento terapeutico è la coronarografia con angioplastica, anche in situazione di ACR.
Ricordiamoci che scopo delle nostre manovre rianimatorie è il ROSC associato ad una degna qualità di vita; al team leader spetterà quindi anche il compito di decidere quando non iniziare e quando sospendere gli sforzi rianimatori.

Dispatch telefonico Centrale 118: Cos'è e come funziona

Dispatch deriva dall'inglese "to dispatch", distinguere. Il Sistema Dispatch è la funzione della Centrale Operativa 118 - il centro di coordinamento a livello provinciale per la gestione di tutte le chiamate riguardanti l'emergenza sanitaria - che comprende tutte le fasi inerenti il sistema di soccorso, a partire dalla ricezione della chiamata fino all'arrivo dei soccorritori sul luogo dell'evento.

Dispatch telefonico nelle Centrali 118: Controversie e complessità

infermieri di centrale operativa 118
Il Triage presenta radici lontane; nasce durante le Guerre Napoleoniche per gestire l’afflusso massiccio dei feriti, fino ad essere introdotto nei nostri Pronto soccorso per far fronte a quell’overcrowding che da circa vent’anni caratterizza la quotidianità degli ospedali.
Tale concetto rappresenta una vera rivoluzione, in quanto ridistribuisce i tempi di attesa in base alle condizioni cliniche del paziente.
Nel corso degli anni assistiamo ad un’evoluzione che ha attribuito all’infermiere la competenza di effettuare questa attività, dopo aver ricevuto una formazione adeguata e specifica.
Con l’introduzione del numero 118 si assiste alla nascita di un nuovo ambito dove questa attività poteva essere eseguita. Il concetto di triage, quindi, si estende dal Pronto soccorso alle Centrali Operative, da qui sul territorio, nel soccorso extraospedaliero fino alle maxiemergenze.
Il Sistema del Dispatch (o di invio) è un sistema elaborato negli Stati Uniti che comprende tutte le operazioni inerenti il sistema di soccorso, dalla ricezione della chiamata all’arrivo dei soccorritori sul luogo dell’evento.
Si parla anche qui di sistema, poiché è un processo costituito da 5 fasi principali:
  • intervista telefonica
  • attribuzione codice di gravità
  • scelta del mezzo di soccorso
  • istruzione all’utente sulle manovre da effettuare pre-arrivo dei mezzi di soccorso
  • supporto informativo ai soccorritori fino all’arrivo sul target.
Questa attività consiste non solamente in un’intervista e nello stabilire un codice di gravità; dall’operatore dipende il mezzo di soccorso utilizzato (ALS e/o BLS) e la rapidità con cui questa risorsa deve raggiungere il luogo dell’evento.

L’intervista telefonica

L’intervista telefonica è fondamentale per poter creare un dispatch; essa cambia a seconda dei protocolli stabiliti da ogni Centrale Operativa, ma sostanzialmente le domande che devono essere fatte sono:
  • da dove chiama?
  • cos’è successo?
L’infermiere deve raccogliere tutte le informazioni necessarie all’identificazione del luogo dell’evento (indirizzo, punti di riferimento) chiedere ai parenti, se possibile, di recarsi sulla via principale per aiutare il mezzo al raggiungimento del posto, poi deve sempre farsi dare un numero di telefono se non registrato dai sistemi informatici per chiamare laddove ci fossero problemi per l’arrivo sul target.

Caso di incidente

Nel caso in cui sia accaduto un incidente le informazioni che il dispatcher deve ottenere sono:
  • dinamica dell’evento e mezzi coinvolti (auto-auto, pedone-auto, camion-auto, frontale, salto di corsia, caduta: come, da quanti metri)
  • se il caller vede il ferito/i: quanti, dov’è, si muove, è imprigionato. È cosciente (soporoso, agitato), se respira (come) se presenta emorragie evidenti (ferite, fratture esposte)
  • l’infermiere deve verificare se ci può essere un rischio secondario evolutivo (incendio, esplosione, intossicazione), in modo tale da avvertirei Soggetti Istituzionali preposti (115, 112, 113)

Evento diverso dall’incidente

Qualora non si trattasse di un incidente il dispatcher deve domandare se il paziente è cosciente, respira, se ha dolore, di che tipo, la sede coinvolta e se ha patologie concomitanti oppure passate.
Una chiamata che arriva in centrale operativa si definisce: first party caller (prima persona) quando chi ha bisogno effettua egli stesso la chiamata, second party caller (seconda persona) quando chi chiama è fisicamente vicino al paziente, third party caller (terza persona) quando chi effettua la telefonata è fisicamente lontano dal malato.
Sapere da chi è stata effettuata la richiesta di soccorso potrebbe essere utile per verificare l’appropriatezza del codice d’invio, che se avanzata da un third caller non può essere che giustificata per la mancanza di informazioni.

Tecniche di comunicazione

Essere Infermiere di Centrale richiede non solo formazione circa la semeiotica delle patologie, i trattamenti di primo soccorso e sulla selezione delle chiamate, ma implica anche un training sulle tecniche di comunicazione approccio telefoniche, ovvero su come fare l’intervista soprattutto se dall’altra parte c’è un utente agitato.
La principale tecnica utilizzata in questi casi è la cosiddetta “repetitive persistance” , che consiste nel ripetere la domanda più volte ed il motivo della domanda fino a che non si ottiene la risposta dal parente; può inoltre essere utile sapere il nome di chi chiama per stabilire un rapporto fiduciario nel quale la persona si senta considerata e perciò possa calmarsi fornendo informazioni all’operatore, ponendo in atto - laddove richieste - istruzioni pre-arrivo.

I protocolli di intervista

L’uso di un protocollo d’intervista rappresenta la base comune di partenza per l’identificazione della gravità del paziente. Seguire un protocollo serve innanzitutto per unificare la metodologia dell’intervista e quindi tutti gli operatori di una stessa centrale sanno che devono attenersi a quel metodo. Poi guida l’operato dell’infermiere per lasciare uno spazio alla professionalità del dispatcher ormai esperto.
La comunicazione utilizzata dall’operatore è fondamentale nell’intervista: tutte le persone (anche le più inopportune) vanno trattate con cortesia e rispetto. L’operatore deve essere calmo e rassicurante, mantenendo il controllo della conversazione. Durante l’intervista l’infermiere deve utilizzare un linguaggio chiaro, semplice assicurandosi di essere compreso dall’interlocutore.
L’operatore deve chiedere anche se il telefono da cui chiama è fisso, oppure un cordless, in modo tale da stare vicino al paziente o domandargli se è presente un’altra persona con loro, magari meno coinvolta, che possa effettuare interventi di primo soccorso seguendo ciò che gli viene detto dall’infermiere tramite il caller. Inoltre deve saper tenere sotto controllo la conversazione, facendo in modo che l’utente non esuli da ciò che gli è stato chiesto.
Tutti questi elementi fanno parte dell’intervista, che rappresenta l’unico modo per raccogliere tutti i dati necessari per la decisione di un codice di gravità secondo il sistema di codifica stabilito con il decreto del 15/05/1992.

I sistemi informatizzati delle centrali operative

I sistemi informatizzati delle centrali operative presentano dei programmi in grado di attribuire loro stessi il codice seguendo ciò che viene selezionato nei campi relativi all’intervista. Questo metodo non è d’obbligo, nel senso che per forza devono essere registrati i dati dell’intervista, ma al momento dell’attribuzione del codice l’infermiere decide se calcolarlo automaticamente o deciderlo in autonomia.
Il codice di gravità è molto importante, perché da esso dipende il coinvolgimento del mezzo da inviare che deve essere, quando possibile, adeguato alla situazione. A questo fine più corretta sarà la valutazione più idonea sarà la risorsa mandata senza gravare sul paziente stesso e su altri eventuali richiedenti.

L’invio del mezzo di soccorso

Al fine di inviare il mezzo correttamente l’infermiere deve conoscere la dislocazione dei mezzi sul territorio, perché deve essere preciso nell’inviare l’ambulanza in base alla gravità, ma anche in base alle competenze territoriali.
Inoltre deve conoscere la tipologia delle risorse, cioè se sono ambulanze medicalizzate, infermieristiche oppure auto mediche e quante sono solo con soccorritori a bordo.
Deve avere in tempo reale la distribuzione dei mezzi sul territorio per sapere quali sono le ambulanze impegnate e non.
Inviata l’ambulanza la Centrale rimane in collegamento con il mezzo del soccorso per fornirgli, tramite supporto cartografico, dati utili per trovare il target che non sempre si raggiunge facilmente.
La missione termina con il raggiungimento, da parte del mezzo di soccorso con il paziente a bordo, della sede ospedaliera più adeguata alle condizioni cliniche, o comunque quella che assicuri la stabilizzazione della persona soccorsa.

Edema Polmonare Acuto

Paziente con ossigenoterapia



L’edema polmonare acuto (EPA) è una grave condizione determinata dall’accumulo di liquido nel tessuto interstiziale e negli alveoli polmonari che riduce drasticamente la capacità di scambio dei gas respiratori e rende estremamente difficoltosa la respirazione. Può avere origini cardiogene o non cardiogene e il paziente con EPA diventa rapidamente dispnoico, ortopnoico, cianotico e tossisce espettorato schiumoso con tracce di sangue (emottisi).

Edema Polmonare Acuto nello specifico: Eziologia, segni e sintomi

L’Edema Polmonare Acuto può avere origine in seguito a disfunzioni cardiache oppure in seguito a problemi non cardiaci, come possono essere un sovraccarico di liquidi, una sepsi, un’overdose da oppiacei, l’inalazione di gas nocivi ed altri.
L’edema polmonare vede la fuoriuscita dei fluidi dal sistema capillare dei polmoni verso gli spazi interstiziali, prima, e verso le cavità di bronchioli ed alveoli, poi.
Gli alveoli, in stretto contatto con i capillari polmonari, sono i protagonisti dello scambio gassoso ossigeno-anidride carbonica e nel momento in cui si trovano invasi da liquidi non riescono più a svolgere la loro fondamentale funzione.
Il passaggio di liquido dai capillari verso lo spazio interstiziale e gli alveoli può avvenire attraverso due processi:
  • trasudazione: l’aumento della pressione all’interno dei vasi sanguigni provoca la fuoriuscita di liquido (trasudato) senza che la parete vasale subisca danni strutturali;
  • essudazione: un processo infiammatorio compromette la parete vasale al punto da provocare una lesione attraverso la quale fuoriesce un liquido più composito rispetto al trasudato: l’essudato, infatti, contiene cellule ematiche e proteine plasmatiche.
Quando si parla di edema polmonare in base all’eziologia si distingue fra:
  • edema polmonare cardiogeno: trae origine da un’anomalia cardiaca;
  • edema polmonare non cardiogeno: dipendente da motivi extra-cardiaci.
Tra le cause cardiache si possono ascrivere, ad esempio:
  • infarto miocardico acuto;
  • cardiopatia ischemica;
  • cardiopatie congenite;
  • tachiaritmie (ad es. fibrillazione atriale parossistica, tachicardia parossistica sopra-ventricolare, ecc.);
  • cardiopatia ipertensiva;
  • endocardite;
  • miocardite;
  • valvulopatie ecc.
Tra le cause extra-cardiache di edema polmonare troviamo:
  • sindrome da distress respiratorio dell’adulto;
  • infezioni/sepsi;
  • politraumi;
  • shock;
  • overdose di stupefacenti;
  • embolia polmonare;
  • ab ingestis;
  • pancreatite acuta;
  • inalazione di sostanze tossiche;
  • intossicazione da ossigeno ecc.
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche l’edema polmonare si contraddistingue per segni e sintomi quali, ad esempio:
  • dispnea acuta ad insorgenza improvvisa e che persiste anche in posizione sdraiata (ortopnea);
  • tosse con probabile espettorazione di escreato schiumoso e rosato;
  • astenia;
  • pallore o cianosi cutanea;
  • diaforesi algida;
  • cardiopalmo e ipertensione;
  • aumento di frequenza cardiaca e frequenza respiratoria;
  • stato di ansia;
  • rantoli crepitanti all’auscultazione toracica ecc.
La presenza di questi dati clinici deve essere supportata da specifiche indagini diagnostiche al fine di giungere alla diagnosi di edema polmonare, in particolare:
  • RX-torace: permette di distinguere tra un edema polmonare interstiziale ed uno polmonare, di valutare l’aumento delle dimensioni dell’ombra cardiaca e di individuare il versamento pleurico;
  • ECG: è utile per capire se all’origine dell’edema polmonare ci sono disfunzioni cardiache;
  • Emogasanalisi arteriosa: necessaria per stabilire un’insufficienza respiratoria o una condizione di acidosi respiratoria ecc.
Quella di edema polmonare è una condizione clinica molto seria che annovera un’elevata mortalità; la sua prognosi dipende rigorosamente da:
  • rapidità d’intervento nella risoluzione della causa scatenante;
  • gravità della patologia scatenante;
  • età e condizioni generali del paziente;
  • presenza di comorbilità.