La mobilizzazione del paziente da un letto ad una poltrona
o viceversa può sembrare una manovra semplice e molti infermieri la
svolgono sovente. Ma siete sicuri di compierla nei migliori dei modi?
Molti neolaureati o studenti invece, finché non si scontrano con la
realtà del reparto, sottovalutano l’importanza di questa procedura e
spesso non studiano con attenzione i dettagli della tecnica.
I RISCHI DI UNA MANOVRA ERRATA SONO:
FARSI DEL MALE O FARLO AL PAZIENTE.
Cosa fare prima di mobilizzare il paziente?
Avvicinandosi al letto del paziente, sarà buona prassi ed educazione presentarsi e spiegare con parole semplici e pochi preamboli quello che si vuole fare.
Verificate se il paziente sia almeno parzialmente
collaborante, e che regga il carico del proprio peso per qualche secondo
con il supporto dell’operatore. In caso contrario chiedete il supporto
di un secondo operatore e consultate la procedura successiva.
Come mobilizzare il paziente dal letto alla poltrona?
Accertato che la carrozzina sia in buone condizioni, posizionarla a
45° o parallela all’asse lungo del letto, preferibile che il verso sia
quello in cui la carrozzina sia orientata con la seduta verso i piedi
del letto (ma potrebbe capitare che il verso dipenderà sostanzialmente
dalla possibilità di manovra e spazio che l’ambiente permetterà). verso carrozzina letto pazienteImportante: bloccate le ruote applicando i freni alla carrozzina, in caso di movimentazione del letto controllate se anche il letto sia adeguatamente frenato, queste accortezze rendono sicura la manovra. Posizionate il paziente supino nel letto ed avvicinatelo al bordo del letto da cui dovrà scendere. Se presente la sacca raccogli urina, svuotatela (e segnate la diuresi!).
Posizionate la sacca ove non disturbi la manovra, mai
al disopra del livello della vescica (in questo caso al di sopra del
piano orizzontale del letto, per evitare reflussi di urina in vescica
con annesso rischio di infezioni) e assolutamente mai sul pavimento (il rubinetto per il deflusso delle urine della sacca si potrebbe contaminare con lo sporco del pavimento).(Cateterismo
vescicale a permanenza e del cateterismo vescicale ad intermittenza
nella post-acuzie, Linea Guida S.I.M.F.E.R. – Società Italiana di
Medicina Fisica e Riabilitazione ).
Regolate l’altezza del letto adeguatamente alla statura vostra e del paziente, in base alla manovra da effettuare.
Trasferimento del malato dal
letto alla carrozzina, o alla sedia, o in poltrona: manovra eseguita da
una sola persona (Figg. 2.10-2.14)
mobilizzazione paziente letto poltrona
Posizionarsi in piedi all’altezza dell’anca, mettendo un piede vicino alla te
mobilizzazione paziente letto poltrona
stata del letto, l’altro di lato;
Mettere un braccio dietro del paziente e l’altro sopra le cosce;
Far spostare le gambe del paziente verso il bordo del letto e, nel
frattempo, fare forza sulla propria gamba arretrata per sollevare il
tronco e le spalle del paziente;
Mettersi di fronte al paziente valutando stabilità ed eventuali malesseri; Allargare i piedi, piegare le anche e le ginocchia;
Le gambe non devono essere allineate;
Circondare con le braccia la vita del paziente;
mobilizzazione letto poltrona 3
Alzare in piedi il paziente portando indietro il peso del proprio corpo;
Appoggiare il proprio ginocchio più avanzato contro quello del paziente, fino a che si trova in posizione eretta;
Fare forza sul piede leggermente arretrato fino a quando il paziente
sente dietro di sé la sedia, mantenendo sempre le proprie ginocchia
contro quelle del paziente.
successione manovra letto poltrona
Trasferimento del malato dal
letto alla carrozzina o alla sedia o in poltrona: per eseguire tale
manovra servono due persone (Fig. 2.9)
Ruotare il paziente su di un fianco e spostare poi le gambe fuori dal letto;
Sollevare il paziente facendolo sedere sul margine del letto;
Portare un braccio dell’operatore sotto le ginocchia e l’altro dietro la schiena;
Appoggiare le braccia del paziente sulle spalle degli operatori
Sollevare il paziente e adagiarlo sulla sedia o carrozzina dopo essersi assicurati di aver fissato le ruote.
Infine, durante la movimentazione del paziente in carrozzina ricordate sempre al paziente di tenere i gomiti dentro prima di superare una porta!
Fonti:
Assistenza al paziente con Infarto Miocardico Acuto STEMI
Quello che proviamo a fare è solo un breve schema di una situazione
ben più complessa. Pensiamo comunque che per memorizzare e prepararsi
bene ad una particolare situazione clinica come quella dell’infarto
miocardico acuto bisogna partire dall’essenziale per lasciare che sia
l’esperienza e il continuo aggiornamento e studio, unita alla capacità
di reagire con piena consapevolezza e lucidità la chiave per assistere,
con prontezza ed efficacia, il paziente(Disclaimer aggiuntivo a fine
post).
Eziopatogenesi dell’ infarto miocardico acuto
l’IMA è una necrosi del tessuto miocardico dovuta:
ad una severa ipoperfusione, causata da una inadeguata perfusione
coronorica, in seguito a coronaropatie come aterosclerosi, stenosi e/o
occlusioni trombotiche.
da una maggiore richiesta di O2 (eccessivo sforzo, tachiaritmie) dal
tessuto miocardico non soddisfatta per varie ragioni, come l’anemia
(ima da discrepanza).
Sintomi e segni dell’ infarto miocardico acuto
Specifici: dolore retrosternale che può diramarsi a
livello gastrointestinale (con nausea e vomito), sottomandibolare,
giugulo, interscapolare e sulle spalle fino alle braccia. La cute appare
pallida e diaforetica (sudore freddo). Respiratori: tachipnea e dispnea, possibile edema polmonare. Psico-neurologici: irritabilità, ansia, irrequietezza, senso di morte imminente. Cefalea. ECG: Alterazioni come ST sopraslivellato, BBSx di nuova insorgenza.
Diagnosi
Clinica: Anamnesi, Esame Obiettivo.
Esami ematochimici:
isoenzimi cardiospecifici: Troponina T e I, CK-Mb, Mioglobina. Ogni
4/6 h per avere una curva di valori tali da verificare e stimare il
danno miocardico.
altri esami utili: LDL e HDL, Colesterolemia, Transaminasi.
Strumentali: ECG, EcoCardio, test ergometrico o test da sforzo, ecostress, coronarografia.
Trattamento
I farmaci generalmente usati si possono ricordare con l’acronimo MANO:
Morfina Cloridrato per i casi di concomitante edema
polmonare(solo se la pressione arteriosa regge) ed eventualmente
per l’ansia e il dolore del paziente.
Aspirina (e/o altri antiaggreganti come Plavix) come anti aggregante piastrinico
Nitroglicerina inizialmente sublinguale e per le
angine semplici, se non efficace o insulto cardiaco è maggiore si passa
alla somministrazione endovena.
O2 Terapia
Il trattamento d’elezione secondo le ultime linee guida è la
coronarografia (preferibile rispetto all’uso dei trombofibrinolitici)
con eventuale applicazione di stunt o angioplastica, sopratutto se
dall’insorgenza dell’infarto non si siano superati 90 minuti la
cosidetta golden hour. Terapia possibile e aggiuntiva: Eparina/Clexane, B-Bloccante, Antiaritmici, ansiolitici ed ipnotici
Nursing nell’IMA STemi
Primo Intervento
L’infermiere di fronte a sintomatologie che facciano sospettare un
infarto miocardico in corso dovrà velocemente effettuare una valutazione
dello stato di salute e di coscienza del paziente e:
Avvertire il medico
Posizionare in SemiSeduta o Flower alta(aumenta i volumi respiratori e mantiene in sicurezza il paziente)
Farsi spiegare bene la posizione e la natura del dolore (“Sento come una puntura qui vicino allo sterno“) chiedere di oggettivare il dolore con una scala NRS
(“Da uno a dieci quanto è forte il dolore dove 10 è il massimo dolore
che ha mai sentito e 0 è non sentire dolore” – “In questo momento…sarà 4
ma all’inizio era 2”).
Prelevare i parametri vitali: Pressione arteriosa, Saturazione Ossigeno, Frequenza cardiaca e documentarli.
Eseguire un ECG (elettrocardiogramma)
Recuperati i dati clinici mostrate l’ecg e segnalate al medico i pv prelevati e il dato oggettivo del NRS.
Somministrate la terapia come prescritta.
Probabilmente vi si chiederà di eseguire un prelievo per valutare
gli indicatori di necrosi miocardica ed altri valori biochimici.
Se fate parte di reparti della branca cardiologica:
ogni reparto ha i suoi protocolli e le sue linee guida e quelli
saranno da seguire ma possiamo ammettere che grosso modo e in linea
generale dovrete, nel caso di imminente esecuzione di coronarografia:
Verificare che il paziente abbia firmato i consensi, compreso e accettato la procedura
Verificare la congruità e la pervietà dell’accesso venoso
Eseguire Tricotomia(secondo il vostro protocollo) ma generalmente a livello inguinale esteso e nei polsi radiali fino all’avambraccio.
Somministrare eventuale terapia
Monitorare parametri vitali e sintomatologia del paziente.
Monitorate attraverso ecg o telemetria l’attività elettrica del cuore
Verificare il digiuno
Se richiesti eseguite il prelievo ematico: la procedura necessità di
altri valori biochimici come la creatinina, l’emoglobina e la
coagulazione.
Se da protocollo: posizionate un catetere vescicale,
in genere non è necessario per tutti. Se il pz ha formato un globo
vescicale(fino a 1000 ml) clampate ogni 300/400 ml questo eviterà una
crisi vagale, non una buona cosa in un pz infartuato.
Togliete e conservate protesi e accessori: dentiera, occhiali, collane e anelli,ecc..
Vestite il paziente con grembiule chirurgico, calzari, mascherina ecc..
Spesso se la creatinina è borderline è da somministrare una
soluzione fisiologica (il flusso sarà prescritto secondo la frazione di
eiezione del pz)
Trasferire il paziente: UTIC o EMODINAMICA.
N.B.: preparare e mantenere vicino subito il carrello d’emergenza, presidi di emergenza sempre a vista e pronti:
farmaci di emergenza come atropina e adrenalina,
per sostenere la respirazione come l’ambu, il set per intubazione endotracheale, va e vieni, ecc.. e
quelli cardiaci come il defibrillatore manuale o quello semi-automatico.
esempio di check list in utic/cardio
Burocrazia
Consensi informati e Modelli _______ͦ trattamento dati ͦ diagnostico/terapeutico ͦ consenso coronarografia ed eventuale ptca (specifico), ͦ scheda perioperatoria
Trasferimento_________ͦ richiesta compilata e spedita ͦ comunicato a caposala?
Fax_______________ ͦ Inviato FAX a Emodinamica con inquadramento clinico
Esami
Esami laboratorio necessari_________________ ͦ pt e ptt ͦ Crea ͦ TnI ͦ Hb
Secondario________ͦ Protesi e accessori da conservare ͦ Diuresi attiva ͦ Igiene
Diagnosi Infermieristiche al paziente con Infarto Miocardico Acuto
Rischio di difficoltà respiratoria secondario a edema polmonare
Alcuni i pazienti durante l’IMA presentano o rischiano un EPA (edema
polmonare acuto). Quindi sarà necessario mantenere un monitoraggio e
documentazione costante dei parametri vitali quali PA, FC e SpO2.
Eseguire al sospetto un esame obiettivo valutando eventuali suoni respiratori anormali come gorgoglii o fischi,
prelavare se prescritto un EmoGasAnalisi per valutare i gas respiratori,
compilare un bilancio idroelettrolitico, monitorare la diuresi che
non dovrà mai essere inferiore ai 30 ml/h mantenere sotto osservazione.
Preferire una dieta iposodica.
Ansia
L’ansia è un fenomeno percepito dal paziente con risvolti somatici
che possono aggravare lo stato di salute del paziente se eccessivo,
quindi è bene attraverso l’ascolto attivo e l’educazione sanitaria
aiutare il pz a controllarla
Si può richiedere l’intervento di specialisti se disponibili.
Favorire le visite di familiari e amici se le stesse sono armoniose.
Problemi Collaborativi
Dolore
Istruire il paziente a riferire ogni sintomo o evoluzione ed ogni
episodio di dolore. Ricordare dell’importanza del riposo assoluto.
Il paziente in seguito alla fase acuta dovrà essere monitorato, se
il pz riferisce dolore l’infermiere dovrà effettuare un tracciato ECG
(se il paziente non è gia monitorato o telemetrato) e valutare
alterazioni del tracciato e riferirle al medico. Prendere i PV,
somministrare terapia farmacologica e O2T secondo prescrizione e
terapia.
Mantenere un ambiente tranquillo, e autorizzare le visite solo se armoniose.
Complicanze dell’infarto miocardico acuto
Le maggiori complicanze nel paziente infartuato sono:
Aritmie
Embolia Polmonare
Shock Cardiogeno
Aritmie
Monitorare e rilevare possibili stati di ipossia, squilibri
acido-base ed elettrolitici, segnalare al medico alterazioni
patologiche(esempio potassio fuori range)
Garantire nei casi selezionati dai medici, il monitoraggio ecg continuo e segnalare alterazioni non fisiologiche
Garantire la presenza e la pervietà di un accesso venoso e la disponibilità ai farmaci antiaritmici di urgenza ed emergenza.
Embolia Polmonare
Monitorare e valutare il dolore toracico e il respiro (anche
attraverso auscultazione) per rilevare eventuali sintomi di difficoltà a
respirare e segnalare prontamente al medico
Monitorare la comparsa di sintomi di inadeguata ossigenzione
tissutale o di insufficienza respiratoria: cute fredda, cianosi,
pallore, dolore al polpaccio, segno di Holmas(dorsoflessione del piede
dolorosa), confusione, agitazione dello stato mentale, disorientamento,
alterazione dello stato di coscienza.
Shock Cardiogeno
Monitorare e segnalare segni e sintomi di diminuita gittata
cardiaca: tachicardia, tachipnea, polso debole e filiforme, diuresi
<30 ml/h, cute pallida, fredda e cianotica, confusione, agitazione
dello stato mentale, disorientamento, alterazione dello stato di
coscienza. PA media < 60 mmHG
Monitorare i segni di indaguata perfusione coronarica: valutare presenza di angor o angina.
Monitorare e segnalare esami della coagulazione
Altre complicazioni principali che l’infermiere dovrà sempre attenzionare e monitorare sono:
Fibrillazione Ventricolare, nella prima ora sopratutto e in maniera
lievemente minore nelle successive, mantenere accessibile il
defibrillatore, solo una scarica può elettroconvertire una FV in un
ritmo sinusale.
Edema Polmonare, vedi in rischio di difficoltà.
Complicanze da cateterismo cardiaco (infezione, emoraggia, aritmie)
Spiegare agli altri il nostro lavoro è difficile, spesso è più difficile farlo con noi stessi.
Non sono un angelo.
Sono
seduta qui e fisso lo schermo del computer, con un po’ di
preoccupazione. Il fatto è che ho davvero tantissime cose da dire sui
diciannove milioni e più di infermieri in giro per il mondo e sembra
sempre che il tempo non mi basti mai. Sono il mio team, la mia squadra.
Sono la mia famiglia. Totalmente disfunzionale, ma pur sempre una
famiglia. Credo che ci siano poche professioni dove i colleghi riescono
ad irritarsi a vicenda il momento prima e a ridere e scherzare
il minuto dopo. È già stato detto che quello che facciamo ogni giorno
ci rende un po’ “la marina militare” delle professioni mediche.
Quest’affermazione dà l’idea di quanto sia stressante l’ambiente
lavorativo di un infermiere, che si ritrova quotidianamente, di fronte
alle circostanze più difficili. Quello che compiamo, ogni giorno, è uno
sforzo d’ amore. Ma tutti noi sappiamo la verità: gli infermieri non
sono angeli scesi sulla terra. Non siamo anime gentili e remissive che
baciano la bua ai bambini. Non abbiamo l’immagine tanto cara ai libri di
storia, che ci vorrebbero sempre con i berretti bianchi inamidati e le
scarpe lustrate. Non siamo neanche quelli che, durante la notte, si
danno oscuri appuntamenti nei luoghi più bui dell’ospedale. La nostra
professione è stata resa “glamour” oppure è passata ad essere una sorta
di feticcio, messa su un piedistallo come poche altre. Eppure, la
definizione di ciò che siamo può competere solo con l’elenco di ciò che
non siamo.
Il nostro piccolo segreto.
Molti
non capiranno mai davvero l’entità di quello che facciamo, ad ogni
singolo turno. Possono solo immaginare che si tratti di un lavoro
difficile (anche se non sentiranno mai il dolore che abbiamo ai piedi,
alla schiena… e al cuore, alla fine del turno). Alcuni diranno “Volevo
essere un infermiere, ma forse non avrei mai potuto farlo”. Ci limitiamo
a sorridere, ad abbozzare una risposta del tipo “Beh, è un lavoro duro,
ma molto bello”, senza pensarci due volte, comprendiamo che la maggior
parte delle persone non potrebbe mai davvero sopportare quello che noi
affrontiamo ogni giorno. Altri potrebbero ricordarci quanto siamo
intelligenti o cercare di convincerci a frequentare Medicina, per
diventare dottori. Rispettiamo i medici, ma molti di noi non vogliono
intraprendere quella carriera. Le connessioni che stabiliamo e i
cambiamenti che stimoliamo nella vita dei nostri pazienti valgono gli
innumerevoli passi falsi e i sacrifici che facciamo.Nessuno di loro sa
del nostro segreto. I pazienti, le famiglie. I mariti e le mogli. I
genitori, i figli, gli amici. Anche se ci provano, non potranno mai
capire la profondità e lo spessore, spirituale e fisico, che sono
richiesti ad un infermiere. Alcuni potrebbero domandarsi. Quanto può
essere dura davvero? Non sono solo tre turni a settimana? Non vi
garantiscono gli straordinari e i bonus ogni anno? È più dura di quanto
possano immaginare. È molto più crudo e reale di quello che pensano. Ma,
quando accade qualcosa di straordinario e noi vi prendiamo parte,
essere un infermiere diventa una vera e propria “droga”.
È un miracolo! Urlano i familiari. È il duro lavoro della medicina moderna! Dichiarano i medici.
Ma chi conosce il segreto, o almeno ne percepisce la presenza, può
comprendere che non è stato un miracolo a salvare i vostri cari.
Piuttosto, sono state le attenzioni costanti di un’infermiera assennata,
intuitiva e fortemente devota alla sua missione. Il nostro segreto è
questo: salviamo più vite di quante vogliamo ammettere. Facciamo più
errori di quanti speriamo di condividere. E riusciamo a cogliere quelle
sottigliezze che impediscono il peggio. Il lavoro dell’infermiere è
spesso tacciato di essere un lavoro modesto, umile. Una vita passata a
servire gli altri, con altruistica compassione. Ma eccoci qui, questo è
il nostro segreto: possiamo dire cattiverie, adottiamo spesso un senso
dell’umorismo macabro e ci affidiamo al sarcasmo. Irriverenti, sfacciati
e acuti, riuscite a capirlo? No, non siamo tutte delle suore vestite da
infermiere. Possiamo essere crudeli, meschini. Possiamo distruggere una
matricola e la nostra reputazione. Non rispondiamo sempre alla perfetta
immagine che vi siete creati, neanche lontanamente.
Siamo esseri umani.
Siamo
esseri umani. Facciamo degli errori. Diventiamo troppo emotivi. E così
deve essere. Perché ogni giorno facciamo i conti con la nostra identità,
non solo in quanto uomini e donne, ma in quanto infermieri. Siamo
definiti da un ruolo che portiamo su di noi come una medaglia al valore.
Ma che potrebbe anche diventare una lettera scarlatta. Siamo sempre in
“lotta”: con i piani alti, con la malattia, con questioni di vita o di
morte. Con i colleghi, le famiglie, con noi stessi. Quello che facciamo
quando attacchiamo il turno ogni mattina, o sera, è molto più di un
lavoro. È una sfida a dare il 99% di noi stessi agli altri senza lasciar
andare mai del tutto quell’1% che ci resta per noi stessi. Siamo esseri
umani. Non siamo infallibili. Beviamo troppo. Fumiamo troppo. Mangiamo
barrette di cioccolato per cena. Spesso ce la prendiamo con voi perché
non c’è nessun altro su cui “scaricare” il nostro peso. Siamo in uno dei
pochi settori dove un’emergenza è davvero, autenticamente,
un’emergenza… tutto il resto sono solo dettagli. Così, mentre chiediamo
scusa per le nostre mancanze e per i nostri atteggiamenti, mentre
speriamo, ogni giorno, di diventare persone più comprensive e
pazienti…Non possiamo scusarci di essere infermieri. Prendeteci per ciò
che siamo, prendete il pacchetto completo, ogni pezzetto, perché non
abbiamo scelto di essere così. In qualche modo, anche se ti opponi,
questo lavoro ti viene a cercare, se è destino. Filtra dentro di te,
fino al midollo. Si insinua nella tua anima. Sacrificherai parti di te stesso per proteggere dei perfetti sconosciuti e ti sembrerà la cosa più logica e sensata da fare.
Non è sensata. È quasi follia. Tutti noi siamo un po’ troppo
nevrotici. Abbiamo tutti una personalità di tipo A. Siamo troppo
premurosi e investiamo moltissimo su noi stessi. Sono scappata da un
lavoro che mi voleva in ufficio dalle nove alle cinque, per seguire una
vocazione. L’ho ignorata, combattuta, ma l’infermiera che c’era in me è
venuta fuori e mi ha completamente posseduta. E adesso? Non sarò più la
stessa. Anche io sono sull’orlo della pazzia. Sono leggermente
irrazionale. Totalmente nevrotica. Completamente devota. Sono una donna,
una moglie, una figlia. Sono un’amica. Ma in tutto questo sono, senza
alcuna scusa, un’infermiera.