giovedì 8 dicembre 2016

Teorie del nursing


Teoriche

Con il termine nursing si intende individuare l’insieme dei concetti teorici e pratici basati sull’assistenza infermieristica di tipo olistico. Tanti sono gli Infermieri che a partire dal XIX secolo si sono dedicati allo studio e alla creazione di Teorie del Nursing per definire il nostro agire professionale, basato sull’interesse verso la globalità dell’essere umano e dei suoi bisogni.

L’Infermiere è il professionista sanitario capace di occuparsi del proprio paziente su più fronti, in una dimensione prettamente olistica
La natura specifica del nursing consiste nell’assumere come problema centrale della sfera professionale non tanto il “fenomeno malattia”, quanto le sue conseguenze di tipo fisiologico, psicologico e sociale, quelle che influiscono sul vivere quotidiano e sull’autonomia della persona malata che viene presa in considerazione nel suo “tutto”, secondo una prospettiva olistica.
Uno degli aspetti più interessanti dello sviluppo della scienza infermieristica è rappresentato dal fiorente nascere di differenti elaborazioni concettuali che, a partire dalla metà del ventesimo secolo, si sono tradotte in paradigmi e teorie dell’assistenza, guide del to care infermieristico ed impronta intellettuale per lo svolgimento di ogni prestazione.
A mostrare nella sua ampiezza il campo proprio di cui la disciplina si occupa, con le relative caratteristiche e i rispettivi confini, è il cosiddetto metaparadigma dell’infermieristica, la cornice filosofica del sapere professionale.
Il metaparadigma, che etimologicamente significa “oltre il modello” e racchiude quindi al suo interno tutto ciò che è pertinente all’infermieristica, è formato da quattro concetti fondamentali:
  • uomo/assistito;
  • salute/malattia;
  • ambiente/contesto sociale;
  • assistenza infermieristica;
ovvero rappresenta un interesse per la globalità dell’essere umano e dei suoi bisogni, per il modo in cui la singola persona vive la salute e la malattia, per quello con il quale si prende cura di sé durante la malattia e per quello con il quale chiede e riceve assistenza dall’infermiere non dimenticando mai la continua interazione dell’uomo con l’ambiente in cui si trova.
Le diverse teorie del nursing si distinguono per le differenti definizioni e le relazioni che sviluppano intorno e attraverso questi concetti fondamentali, in base alla gerarchia che assegnano loro.
Universalmente riconosciuta come la madre del nursing moderno grazie alla sua intuizione di applicare il metodo scientifico mediante l’utilizzo della statistica, Florence Nightingale (1820-1910) ha focalizzato la sua teoria sull’ambiente, inteso come insieme di condizioni e di influenze esterne che agiscono sulla vita e sullo sviluppo di un organismo, in grado di prevenire, guarire oppure contribuire all’evolvere della malattia. L’infermieristica secondo Nightingale prevede un ruolo passivo per l’assistito che deve riposare e fare meno sforzi possibili, mentre l’infermiere deve mettere il paziente nella condizione migliore possibile affinché la natura agisca; secondo Nightingale la malattia è un processo di riparazione che la natura mette in essere nei casi di bisogno e il nursing deve predisporre un ambiente sano per il paziente, atto a promuovere la salute e a favorirne il miglioramento (uso adeguato di aria fresca, luce, calore, pulizia, dieta e tranquillità).
Tutti principi applicabili ancora oggi e una teoria, quella di Nightingale, che come base teorica per la pratica è tanto valida oggi quanto alla sua epoca; rappresenta, infatti, le fondamenta per l’evoluzione di tutte le teorie infermieristiche sorte successivamente.
Una chiara classificazione delle teorie dell’assistenza è quella operata da Afaf Ibrahim Meleis che ha distinto tra:
  • teorie correlate ai bisogni;
  • teorie correlate all’interazione;
  • teorie correlate ai risultati.
Fra le teorie correlate ai bisogni troviamo quelle di: Virginia HendersonDorothea Orem
Fra le teorie correlate all’interazione troviamo quella di: Hildegard Peplau.
Fra le teorie correlate ai risultati troviamo quella di Marjory GordonLynda Juall Carpenito.





Teoriche

Fra le teorie correlate ai risultati troviamo quella di Martha E. Rogers (1914-1994) che, influenzata da studi di antropologia, psicologia, sociologia, matematica, storia, letteratura, fisica e biologia, ha dato origine ad una teoria molto ricca e profondamente articolata, ma di difficile applicazione pratica, mancando di definizioni operative.
Secondo Rogers, comunque, il nursing è una scienza umanitaria basata sulla compassione e finalizzata a mantenere e favorire la salute, prevenire la malattia e assistere e riabilitare i malati e i disabili.

Marjory Gordon
Si fa sempre più spazio il concetto di approccio olistico dell’infermieristica, evidenziato chiaramente dalla teoria di Marjory Gordon secondo cui tutti gli esseri umani hanno in comune certi modelli funzionali che contribuiscono alla loro salute, qualità della vita e realizzazione del potenziale umano. Tali modelli comuni sono il centro di interesse dell’accertamento infermieristico. La descrizione e la valutazione dei modelli di salute permette all’infermiere di identificare i modelli che sono funzionali (punti di forza del cliente) e quelli che sono disfunzionali (diagnosi infermieristiche).
Con “modello” Gordon intende un insieme di comportamenti, più o meno consapevoli, che si ripetono nel corso del tempo e che relazionandosi continuamente fra loro formano l’unicità e la complessità di ogni singola persona.
I modelli individuati da Gordon sono 11:
  1. percezione-gestione della salute;
  2. nutrizionale-metabolico;
  3. eliminazione;
  4. attività-esercizio fisico;
  5. sonno-riposo;
  6. cognitivo-percettivo;
  7. concetto di sé-percezione di sé;
  8. ruolo-relazione;
  9. sessualità-riproduzione;
  10. coping-tolleranza allo stress;
  11. valori-convinzioni.
Se la salute è intesa come uno stato in cui la persona è come desidera essere ed è in grado di fare quello che desidera fare, avendo la libertà e l’autonomia necessarie per partecipare alle cose del mondo e per occuparsi delle proprie, non è detto che i modelli risultino sempre disfunzionali in caso di malattia, poiché le relazioni salute-funzionalità e malattia-disfunzionalità non sono così meccaniche (basti pensare che il modello percezione-gestione della salute potrebbe risultare alterato anche solo per via di una scorretta alimentazione e non esclusivamente per una malattia).
Per questo è necessario tenere in considerazione tutti i modelli per ogni singolo assistito, considerandoli sempre interconnessi tra loro e non trascurando nemmeno gli eventi passati.



Fra le teorie correlate all’interazione troviamo quella di Hildegard Peplau, profondamente influenzata dalla sua esperienza in ambiti psichiatrici e pedagogici.

Hildegard Peplau (1909-1999)
Il pensiero teorico di Peplau è fortemente incentrato su un modello psicodinamico e definisce l’assistenza infermieristica come una relazione interpersonale significativa, ovvero basata sull’esplorazione e sulla gestione dei significati psicologici di valori, sentimenti e comportamenti del paziente. Il ruolo dell’infermiere, così, è soprattutto quello di sostenere il paziente con la relazione (counseling) al fine di identificarne i bisogni e risolverne i problemi.
La relazione infermiere-paziente ideata da Peplau prevede quattro fasi:
  1. orientamento: l’infermiere, il paziente e, in alcuni casi, i familiari si incontrano e collaborano per instaurare una relazione positiva e per fare in modo che la persona non viva con tensione la percezione del suo bisogno; 
  2. identificazione: il paziente si identifica con colui che potrà aiutarlo attraverso un chiarimento di aspettative e modalità di comportamento che permette al paziente di raggiungere la consapevolezza delle proprie chances di ovviare al suo problema; 
  3. sviluppo: infermiere e paziente progettano insieme gli obiettivi da raggiungere e il paziente matura l’idea di essere in grado di auto-assistersi; 
  4. risoluzione: il paziente si affranca gradualmente dall’identificazione con l’infermiere fino allo scioglimento del rapporto terapeutico.
I ruoli che Peplau ha individuato possibili per l’infermiere, all’interno della relazione con l’assistito, sono:
  1. estraneo: utile nelle prime fasi, per accettare il malato senza alcun pregiudizio; 
  2. risorsa/sostegno: professionista in grado di rispondere in maniera adeguata ai dubbi del malato;
  3. educatore: l’infermiere conduce il malato a servirsi della propria situazione come occasione di apprendimento; 
  4. leader partecipativo: l’infermiere porta l’assistito a raggiungere gli obiettivi assumendo un ruolo di supervisione e cooperazione; 
  5. sostituto: il paziente attribuisce all’infermiere una gamma di emozioni che ha già provato in passato; 
  6. consulente: ruolo di consigliere assunto dall’infermiere, che Peplau ritiene il più importante in ambito psichiatrico.


Dorothea Orem, la cui teoria è quella del self-care (requisiti di autocura), che vede l’infermiere promuovere il cambiamento e agire solo nel momento in cui l’assistito non è in grado di gestirsi.

Dorothea Orem (1914-2007)
Secondo Orem ciò che spinge l’uomo a chiedere l’intervento dell’infermiere è la condizione di deficit della cura di sé, ovvero di pratiche quotidiane che gli individui compiono in autonomia al fine di conservare la vita, la salute e il benessere.
La teoria generale del nursing secondo Orem è un insieme integrato di tre teorie specifiche:
  • teoria della cura di sé: fattori universali, evolutivi e legati all’alterazione dello stato di salute associati ai processi vitali e al mantenimento dell’integrità e del funzionamento della struttura umana (i fattori evolutivi o di sviluppo dipendono dalla maturità del singolo individuo o dal verificarsi di particolari eventi);
  • teoria del deficit della cura di sé: quando le richieste terapeutiche di self-care superano le capacità di autocura, si instaura una condizione deficitaria che può essere parziale o completa;
  • teoria di sistemi di assistenza infermieristica: rappresenta la componente organizzativa del nursing, descrive l’assistenza infermieristica e la relazione tra infermiere e assistito, entrambe necessarie per risolvere i deficit individuati;
  • tra i sistemi di assistenza infermieristica si individuano quello totalmente compensatorio (l’infermiere agisce direttamente per il soddisfacimento dei requisiti di self-care del paziente), quello parzialmente compensatorio (vi è cooperazione tra infermiere e assistito) e quello educativo e di supporto (l’infermiere guida, controlla ed educa il paziente circa abilità e conoscenze utili alla compensazione dei bisogni).

Virginia Henderson, la cui definizione di nursing è una delle più note: la peculiare funzione dell’infermiere è quella di assistere l’individuo malato o sano nell’esecuzione di quelle attività che eseguirebbe senza il bisogno d’aiuto se ne avesse la forza, la volontà o le conoscenze necessarie, in modo tale da aiutarlo a raggiungere l’indipendenza il più rapidamente possibile. La teoria di Henderson, per la quale la partecipazione attiva dell’assistito è fondamentale, si fonda su tre postulati base:
  • ogni persona tende all’indipendenza e la desidera;
  • ogni persona forma un unicum che presenta bisogni fondamentali;
  • quando un bisogno non è soddisfatto, la persona non è completa né indipendente.

Henderson e la teoria correlata ai bisogni 

Mostrò con decisione la volontà di chiarire la funzione della professione infermieristica all’interno della società, ha visto fortemente correlata la funzione specifica dell’infermiere alla sua originale concezione dei bisogni fondamentali dell’essere umano.
Mentre è importante stabilire che esistono bisogni comuni a tutti, è altrettanto importante rendersi conto che tali bisogni vengono soddisfatti a seconda del modo diverso di concepire la vita, di cui esistono infinite varietà.
I bisogni fondamentali degli esseri umani individuati da Henderson sono costituiti da componenti biologiche, psicologiche, sociologiche e spirituali che sono impossibili da scindere fra loro; il compito dell’infermiere è quello di aiutare ogni singolo assistito a raggiungere il livello di indipendenza più avanzato possibile in base al grado della sua patologia, ma anche in base alla sua età, alla sua cultura, alle sue abilità fisiche ed intellettuali, alla sua sfera emotiva e motivazionale.
Sono 14 le componenti che Henderson ha individuato come basilari nell’assistenza infermieristica:
  • respirare normalmente;
  • alimentarsi e bere in modo adeguato, eliminare da tutte le vie escretorie;
  • muoversi e mantenere la posizione adatta;
  • dormire e riposare;
  • scegliere il vestiario adatto, vestirsi, spogliarsi;
  • mantenere la temperatura corporea nei limi normali, mediante gli indumenti e modificando l’ambiente;
  • provvedere all’igiene personale e proteggere i tegumenti;
  • evitare i pericoli dell’ambiente ed evitare di danneggiare gli altri;
  • comunicare con gli altri per esprimere emozioni, bisogni, timori;
  • seguire le pratiche religiose secondo la propria fede;
  • dedicarsi a qualche occupazione o lavoro che procuri soddisfazione;
  • giocare o partecipare ad attività ricreative;
  • apprendere, interrogare, soddisfare la curiosità che conduce al normale sviluppo dell’intelligenza e alla salute.
Secondo la teoria di Henderson:
  • la salute consiste nella capacità del paziente di eseguire in autonomia le 14 componenti dell’assistenza infermieristica (la salute è qualità della vita);
  • l’uomo, che costituisce un’unità con la sua famiglia, necessita di assistenza per raggiungere l’autonomia e mantenere un equilibrio fisico ed emotivo;
  • l’ambiente consiste nell’insieme di tutti i fattori esterni che incidono sulla vita e sullo sviluppo di un organismo;
  • l’assistenza infermieristica si traduce nell’aiuto all’individuo (sano o malato che sia) in tutte le 14 componenti; l’infermiere, a seconda dei casi, agisce da sostituto o da aiutante nei confronti dell’assistito.
L’elaborazione teorica di Henderson si è diffusa su vasta scala e ha rappresentato, per la realtà italiana, uno dei modelli concettuali più utilizzati nella formazione di base.

 

È stato basandosi sui modelli funzionali di Gordon che Lynda Juall Carpenito ha sviluppato il suo modello bifocale dell’attività clinica. Secondo tale modello sono fondamentalmente due le tipologie di intervento che l’infermiere mette in campo durante la sua pratica professionale: da un lato ci sono le situazioni nelle quali è protagonista e prescrittore (diagnosi infermieristiche) e, dall’altro, situazioni durante le quali collabora con altri professionisti (problemi collaborativi).

Lynda Juall Carpenito
Con diagnosi infermieristica si intende un giudizio clinico riguardante le risposte di una persona, famiglia o comunità a problemi di salute/processi vitali, problemi che possono essere reali o potenziali; rappresenta la base sulla quale l’infermiere sceglie gli interventi da attuare al fine di raggiungere determinati obiettivi e costituisce la sfera di completa autonomia e responsabilità della professione infermieristica.
I problemi collaborativi sono certe complicanze che gli infermieri controllano per individuarne la comparsa o una modificazione; gli infermieri gestiscono il problema collaborativo con interventi di prescrizione medica e infermieristica volti a ridurre al minimo le complicanze di determinati eventi; rappresentano la capacità di lavorare in équipe dell’infermiere, nel rispetto di tutte le professioni e sempre diretta al bene dell’assistito.
Le situazioni cliniche nelle quali l’infermiere interviene sono state organizzate da Carpenito in 5 ampie categorie:
  1. fisiopatolgiche (es. IMA, ustioni, personalità borderline, ecc.); 
  2. correlate a trattamenti (es. dialisi); 
  3. personali (es. avvicinamento alla morte, divorzio, trasferimento, ecc.); 
  4. ambientali (es. scala senza corrimano, luoghi di lavoro a rischio, ecc.);
  5. correlate a fasi maturative (invecchiamento, ruolo genitoriale, bullismo, ecc.).
Questa impostazione permette di evidenziare l’intero processo di pensiero che si cela dietro alla conoscenza e alla competenza dell’infermiere, dietro la scelta di determinati obiettivi e relativi interventi, a seconda delle caratteristiche di ogni singolo assistito.
Il modello bifocale Carpenito rappresenta un validissimo strumento per trasportare nella pratica le conoscenze teoriche apprese dallo studente infermiere e, allo stesso tempo, rappresenta l’erogazione di un’assistenza infermieristica responsabile, basata su evidenze scientifiche.
Rende molto chiaro quello che è il processo di assistenza infermieristico e ne individua il focus senza mai dimenticare, per dirla nuovamente con Nightingale e chiudere il cerchio, che
"l’assistenza è un’arte e se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale ed una dura preparazione, come per qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello spirito di Dio. È una delle Belle Arti. Anzi, la più bella delle Arti Belle."

giovedì 3 novembre 2016

Mobilizzazione del paziente dal letto alla poltrona: una manovra corretta

La mobilizzazione del paziente da un letto ad una poltrona o viceversa può sembrare una manovra semplice e molti infermieri la svolgono sovente. Ma siete sicuri di compierla nei migliori dei modi? Molti neolaureati o studenti invece, finché non si scontrano con la realtà del reparto, sottovalutano l’importanza di questa procedura e spesso non studiano con attenzione i dettagli della tecnica.
I RISCHI DI UNA MANOVRA ERRATA SONO:
FARSI DEL MALE O FARLO AL PAZIENTE.

Cosa fare prima di mobilizzare il paziente?

Avvicinandosi al letto del paziente, sarà buona prassi ed educazione presentarsi e spiegare con parole semplici e pochi preamboli quello che si vuole fare.
Verificate se il paziente sia almeno parzialmente collaborante, e che regga il carico del proprio peso per qualche secondo con il supporto dell’operatore. In caso contrario chiedete il supporto di un secondo operatore e consultate la procedura successiva.

Come mobilizzare il paziente dal letto alla poltrona?

Accertato che la carrozzina sia in buone condizioni, posizionarla a 45° o parallela all’asse lungo del letto, preferibile che il verso sia quello in cui la carrozzina sia orientata con la seduta verso i piedi del letto (ma potrebbe capitare che il verso dipenderà sostanzialmente dalla possibilità di manovra e spazio che l’ambiente permetterà).
carrozzina letto paziente
verso carrozzina letto paziente
Importante: bloccate le ruote applicando i freni alla carrozzina, in caso di movimentazione del letto controllate se anche il letto sia adeguatamente frenato, queste accortezze rendono sicura la manovra.
Posizionate il paziente supino nel letto ed avvicinatelo al bordo del letto da cui dovrà scendere. Se presente la sacca raccogli urina, svuotatela (e segnate la diuresi!).
Posizionate la sacca ove non disturbi la manovra, mai al disopra del livello della vescica (in questo caso al di sopra del piano orizzontale del letto, per evitare reflussi di urina in vescica con annesso rischio di infezioni) e assolutamente mai sul pavimento (il rubinetto per il deflusso delle urine della sacca si potrebbe contaminare con lo sporco del pavimento).(Cateterismo vescicale a permanenza e del cateterismo vescicale ad intermittenza nella post-acuzie, Linea Guida S.I.M.F.E.R. – Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione ).
Regolate l’altezza del letto adeguatamente alla statura vostra e del paziente, in base alla manovra da effettuare.
Trasferimento del malato dal letto alla carrozzina, o alla sedia, o in poltrona: manovra eseguita da una sola persona (Figg. 2.10-2.14)
mobilizzazione paziente
mobilizzazione paziente letto poltrona
  • Posizionarsi in piedi all’altezza dell’anca, mettendo un piede vicino alla te
    mobilizzazione paziente letto poltrona
    mobilizzazione paziente letto poltrona
    stata del letto, l’altro di lato;
  • Mettere un braccio dietro del paziente e l’altro sopra le cosce;
  • Far spostare le gambe del paziente verso il bordo del letto e, nel frattempo, fare forza sulla propria gamba arretrata per sollevare il tronco e le spalle del paziente;
  • Mettersi di fronte al paziente valutando stabilità ed eventuali malesseri; Allargare i piedi, piegare le anche e le ginocchia;
  • Le gambe non devono essere allineate;
  • Circondare con le braccia la vita del paziente;
    mobilizzazione letto poltrona 3
    mobilizzazione letto poltrona 3
  • Alzare in piedi il paziente portando indietro il peso del proprio corpo;
  • Appoggiare il proprio ginocchio più avanzato contro quello del paziente, fino a che si trova in posizione eretta;
  • Fare forza sul piede leggermente arretrato fino a quando il paziente sente dietro di sé la sedia, mantenendo sempre le proprie ginocchia contro quelle del paziente.
successione manovra letto poltrona
successione manovra letto poltrona

Trasferimento del malato dal letto alla carrozzina o alla sedia o in poltrona: per eseguire tale manovra servono due persone (Fig. 2.9)
  • Ruotare il paziente su di un fianco e spostare poi le gambe fuori dal letto;
  • Sollevare il paziente facendolo sedere sul margine del letto;
  • Portare un braccio dell’operatore sotto le ginocchia e l’altro dietro la schiena;
  • Appoggiare le braccia del paziente sulle spalle degli operatori
  • Sollevare il paziente e adagiarlo sulla sedia o carrozzina dopo essersi assicurati di aver fissato le ruote.
Infine, durante la movimentazione del paziente in carrozzina ricordate sempre al paziente di tenere i gomiti dentro prima di superare una porta!
Fonti:
  1. Assistere a casa. Suggerimenti e indicazioni per prendersi cura di una persona malata di Giuseppe Casale e Chiara Mastroianni Maggioli Editore, 2011
  2. Cateterismo vescicale a permanenza e del cateterismo vescicale ad intermittenza nella post-acuzie, Linea Guida S.I.M.F.E.R.

Piano di assistenza infermieristica al paziente con Infarto Miocardico Acuto – IMA STEMI con Diagnosi infermieristiche



Assistenza al paziente con Infarto Miocardico Acuto STEMI

Quello che proviamo a fare è solo un breve schema di una situazione ben più complessa. Pensiamo comunque che per memorizzare e prepararsi bene ad una particolare situazione clinica come quella dell’infarto miocardico acuto bisogna partire dall’essenziale per lasciare che sia l’esperienza e il continuo aggiornamento e studio, unita alla capacità di reagire con piena consapevolezza e lucidità la chiave per assistere, con prontezza ed efficacia, il paziente(Disclaimer aggiuntivo a fine post).

Eziopatogenesi dell’ infarto miocardico acuto

l’IMA è una necrosi del tessuto miocardico dovuta:
  • ad una severa ipoperfusione, causata da una inadeguata perfusione coronorica, in seguito a coronaropatie come aterosclerosi, stenosi e/o occlusioni trombotiche.
  • da una maggiore richiesta di O2 (eccessivo sforzo, tachiaritmie) dal tessuto miocardico non soddisfatta per varie ragioni, come l’anemia (ima da discrepanza).

Sintomi e segni dell’ infarto miocardico acuto

Specifici: dolore retrosternale che può diramarsi a livello gastrointestinale (con nausea e vomito), sottomandibolare, giugulo, interscapolare e sulle spalle fino alle braccia. La cute appare pallida e diaforetica (sudore freddo).
Respiratori: tachipnea e dispnea, possibile edema polmonare.
Psico-neurologici: irritabilità, ansia, irrequietezza, senso di morte imminente. Cefalea.
ECG: Alterazioni come ST sopraslivellato, BBSx di nuova insorgenza.

Diagnosi

  • Clinica: Anamnesi, Esame Obiettivo.
  • Esami ematochimici:
    • isoenzimi cardiospecifici: Troponina T e I, CK-Mb,  Mioglobina. Ogni 4/6 h per avere una curva di valori tali da verificare e stimare il danno miocardico.
    • altri esami utili: LDL e HDL, Colesterolemia, Transaminasi.
  • Strumentali: ECG, EcoCardio, test ergometrico o test da sforzo, ecostress, coronarografia.

Trattamento

I farmaci generalmente usati si possono ricordare con l’acronimo MANO:
  • Morfina Cloridrato per i casi di concomitante edema polmonare(solo se la pressione arteriosa regge) ed eventualmente per l’ansia e il dolore del paziente.
  • Aspirina (e/o altri antiaggreganti come Plavix) come anti aggregante piastrinico
  • Nitroglicerina inizialmente sublinguale e per le angine semplici, se non efficace o insulto cardiaco è maggiore si passa alla somministrazione endovena.
  • O2 Terapia
Il trattamento d’elezione secondo le ultime linee guida è la coronarografia (preferibile rispetto all’uso dei trombofibrinolitici) con eventuale applicazione di stunt o angioplastica, sopratutto se dall’insorgenza dell’infarto non si siano superati 90 minuti la cosidetta golden hour.
Terapia possibile e aggiuntiva: Eparina/Clexane, B-Bloccante, Antiaritmici, ansiolitici ed ipnotici

Nursing nell’IMA STemi

Primo Intervento

L’infermiere di fronte a sintomatologie che facciano sospettare un infarto miocardico in corso dovrà velocemente effettuare una valutazione dello stato di salute e di coscienza del paziente e:
  • Avvertire il medico
  • Posizionare in SemiSeduta o Flower alta(aumenta i volumi respiratori e mantiene in sicurezza il paziente)
  • Effettuare un Accesso Venoso (20G come minimo)
  • Posizionare OssigenoTerapia(secondo protocolli aziendali),
  • Tranquillizzare il paziente.
In seguito si passa al prelevamento dei dati:
  • Farsi spiegare bene la posizione e la natura del dolore (“Sento come una puntura qui vicino allo sterno“) chiedere di oggettivare il dolore con una scala NRS (“Da uno a dieci quanto è forte il dolore dove 10 è il massimo dolore che ha mai sentito e 0 è non sentire dolore” – “In questo momento…sarà 4 ma all’inizio era 2”). 
  • Prelevare i parametri vitali: Pressione arteriosa, Saturazione Ossigeno, Frequenza cardiaca e documentarli.
  • Eseguire un ECG (elettrocardiogramma)
  • Recuperati i dati clinici mostrate l’ecg e segnalate al medico i pv prelevati e il dato oggettivo del NRS.
  • Somministrate la terapia come prescritta.
  • Probabilmente vi si chiederà di eseguire un prelievo per valutare gli indicatori di necrosi miocardica ed altri valori biochimici.
Se fate parte di reparti della branca cardiologica:
ogni reparto ha i suoi protocolli e le sue linee guida e quelli saranno da seguire ma possiamo ammettere che grosso modo e in linea generale dovrete, nel caso di imminente esecuzione di coronarografia:
  • Verificare che il paziente abbia firmato i consensi, compreso e accettato la procedura
  • Verificare la congruità e la pervietà dell’accesso venoso
  • Eseguire Tricotomia(secondo il vostro protocollo) ma generalmente a livello inguinale esteso e nei polsi radiali fino all’avambraccio.
  • Somministrare eventuale terapia
  • Monitorare parametri vitali e sintomatologia del paziente.
  • Monitorate attraverso ecg o telemetria l’attività elettrica del cuore
  • Verificare il digiuno
  • Se richiesti eseguite il prelievo ematico: la procedura necessità di altri valori biochimici come la creatinina, l’emoglobina e la coagulazione.
  • Se da protocollo: posizionate un catetere vescicale, in genere non è necessario per tutti. Se il pz ha formato un globo vescicale(fino a 1000 ml) clampate ogni 300/400 ml questo eviterà una crisi vagale, non una buona cosa in un pz infartuato.
  • Togliete e conservate protesi e accessori: dentiera, occhiali, collane e anelli,ecc..
  • Vestite il paziente con grembiule chirurgico, calzari, mascherina ecc..
  • Spesso se la creatinina è borderline è da somministrare una soluzione fisiologica (il flusso sarà prescritto secondo la frazione di eiezione del pz)
  • Trasferire il paziente: UTIC o EMODINAMICA.
N.B.: preparare e mantenere vicino subito il carrello d’emergenza, presidi di emergenza sempre a vista e pronti:
  • farmaci di emergenza come atropina e adrenalina,
  • per sostenere la respirazione come l’ambu, il set per intubazione endotracheale, va e vieni, ecc.. e
  • quelli cardiaci come il defibrillatore manuale o quello semi-automatico.

esempio di check list in utic/cardio
  • Burocrazia
    Consensi informati e Modelli _______ ͦ trattamento dati ͦ  diagnostico/terapeutico   ͦ consenso coronarografia ed eventuale ptca (specifico), ͦ  scheda perioperatoria
    Trasferimento_________ ͦ  richiesta compilata e spedita   ͦ comunicato a caposala?
    Fax_______________ ͦ Inviato FAX a Emodinamica con inquadramento clinico
    Esami
    Esami  laboratorio necessari_________________  ͦ pt e ptt     ͦ  Crea   ͦ TnI    ͦ Hb
        Esami diagnostici ____________________________________________________________ͦ RxT    ͦ  Eco♥   ͦ  ECG
  • Preparazione
    •     Essenziale______ ͦTricotomia    ͦ CVP     ͦ Prelievo?   ͦTerapia?   ͦ Digiuno Programmato
    •   Secondario________ ͦ Protesi e accessori da conservare   ͦ Diuresi attiva  ͦ Igiene

Diagnosi Infermieristiche al paziente con Infarto Miocardico Acuto

Rischio di difficoltà respiratoria secondario a edema polmonare

  • Alcuni i pazienti durante l’IMA presentano o rischiano un EPA (edema polmonare acuto). Quindi sarà necessario mantenere un monitoraggio e documentazione costante dei parametri vitali quali PA, FC e SpO2.
  • Eseguire al sospetto un esame obiettivo valutando eventuali suoni respiratori anormali come gorgoglii o fischi,
  • prelavare se prescritto un EmoGasAnalisi per valutare i gas respiratori,
  • compilare un bilancio idroelettrolitico, monitorare la diuresi che non dovrà mai essere inferiore ai 30 ml/h mantenere sotto osservazione.
  • Preferire una dieta iposodica.

Ansia

L’ansia è un fenomeno percepito dal paziente con risvolti somatici che possono aggravare lo stato di salute del paziente se eccessivo, quindi è bene attraverso l’ascolto attivo e l’educazione sanitaria aiutare il pz a controllarla
Si può richiedere l’intervento di specialisti se disponibili. Favorire le visite di familiari e amici se le stesse sono armoniose.

Problemi Collaborativi

Dolore

Istruire il paziente a riferire ogni sintomo o evoluzione ed ogni episodio di dolore. Ricordare dell’importanza del riposo assoluto.
  • Il paziente in seguito alla fase acuta dovrà essere monitorato, se il pz riferisce dolore l’infermiere dovrà effettuare un tracciato ECG (se il paziente non è gia monitorato o telemetrato) e valutare alterazioni del tracciato e riferirle al medico. Prendere i PV, somministrare terapia farmacologica e O2T secondo prescrizione e terapia.
  • Mantenere un ambiente tranquillo, e autorizzare le visite solo se armoniose.

Complicanze dell’infarto miocardico acuto

Le maggiori complicanze nel paziente infartuato sono:
  • Aritmie
  • Embolia Polmonare
  • Shock Cardiogeno

Aritmie

  • Monitorare e rilevare possibili stati di ipossia, squilibri acido-base ed elettrolitici, segnalare al medico alterazioni patologiche(esempio potassio fuori range)
  • Garantire nei casi selezionati dai medici, il monitoraggio ecg continuo e segnalare alterazioni non fisiologiche
  • Garantire la presenza e la pervietà di un accesso venoso e la disponibilità ai farmaci antiaritmici di urgenza ed emergenza.

Embolia Polmonare

  • Monitorare e valutare il dolore toracico e il respiro (anche attraverso auscultazione) per rilevare eventuali sintomi di difficoltà a respirare e segnalare prontamente al medico
  • Monitorare la comparsa di sintomi di inadeguata ossigenzione tissutale o di insufficienza respiratoria: cute fredda, cianosi, pallore, dolore al polpaccio, segno di Holmas(dorsoflessione del piede dolorosa), confusione, agitazione dello stato mentale, disorientamento, alterazione dello stato di coscienza.

Shock Cardiogeno

  • Monitorare e segnalare segni e sintomi di diminuita gittata cardiaca: tachicardia, tachipnea, polso debole e filiforme, diuresi <30 ml/h, cute pallida, fredda e cianotica, confusione, agitazione dello stato mentale, disorientamento, alterazione dello stato di coscienza. PA media < 60 mmHG
  • Monitorare i segni di indaguata perfusione coronarica: valutare presenza di angor o angina.
  • Monitorare e segnalare esami della coagulazione
Altre complicazioni principali che l’infermiere dovrà sempre attenzionare e monitorare sono:
  • Fibrillazione Ventricolare, nella prima ora sopratutto e in maniera lievemente minore nelle successive, mantenere accessibile il defibrillatore, solo una scarica può elettroconvertire una FV in un ritmo sinusale.
  • Edema Polmonare, vedi in rischio di difficoltà.
  • Complicanze da cateterismo cardiaco (infezione, emoraggia, aritmie)

Un’Infermiera: “Sacrificherai parti di te stesso per proteggere dei perfetti sconosciuti…”

Spiegare agli altri il nostro lavoro è difficile, spesso è più difficile farlo con noi stessi.
Non sono un angelo.
Sono seduta qui e fisso lo schermo del computer, con un po’ di preoccupazione. Il fatto è che ho davvero tantissime cose da dire sui diciannove milioni e più di infermieri in giro per il mondo e sembra sempre che il tempo non mi basti mai. Sono il mio team, la mia squadra. Sono la mia famiglia. Totalmente disfunzionale, ma pur sempre una famiglia. Credo che ci siano poche professioni dove i colleghi riescono ad irritarsi a vicenda il momento prima e a ridere e scherzare il minuto dopo. È già stato detto che quello che facciamo ogni giorno ci rende un po’ “la marina militare” delle professioni mediche. Quest’affermazione dà l’idea di quanto sia stressante l’ambiente lavorativo di un infermiere, che si ritrova quotidianamente, di fronte alle circostanze più difficili. Quello che compiamo, ogni giorno, è uno sforzo d’ amore. Ma tutti noi sappiamo la verità: gli infermieri non sono angeli scesi sulla terra. Non siamo anime gentili e remissive che baciano la bua ai bambini. Non abbiamo l’immagine tanto cara ai libri di storia, che ci vorrebbero sempre con i berretti bianchi inamidati e le scarpe lustrate. Non siamo neanche quelli che, durante la notte, si danno oscuri appuntamenti nei luoghi più bui dell’ospedale. La nostra professione è stata resa “glamour” oppure è passata ad essere una sorta di feticcio, messa su un piedistallo come poche altre. Eppure, la definizione di ciò che siamo può competere solo con l’elenco di ciò che non siamo.
Il nostro piccolo segreto.
Molti non capiranno mai davvero l’entità di quello che facciamo, ad ogni singolo turno. Possono solo immaginare che si tratti di un lavoro difficile (anche se non sentiranno mai il dolore che abbiamo ai piedi, alla schiena… e al cuore, alla fine del turno). Alcuni diranno “Volevo essere un infermiere, ma forse non avrei mai potuto farlo”. Ci limitiamo a sorridere, ad abbozzare una risposta del tipo “Beh, è un lavoro duro, ma molto bello”, senza pensarci due volte, comprendiamo che la maggior parte delle persone non potrebbe mai davvero sopportare quello che noi affrontiamo ogni giorno. Altri potrebbero ricordarci quanto siamo intelligenti o cercare di convincerci a frequentare Medicina, per diventare dottori. Rispettiamo i medici, ma molti di noi non vogliono intraprendere quella carriera. Le connessioni che stabiliamo e i cambiamenti che stimoliamo nella vita dei nostri pazienti valgono gli innumerevoli passi falsi e i sacrifici che facciamo.Nessuno di loro sa del nostro segreto. I pazienti, le famiglie. I mariti e le mogli. I genitori, i figli, gli amici. Anche se ci provano, non potranno mai capire la profondità e lo spessore, spirituale e fisico, che sono richiesti ad un infermiere. Alcuni potrebbero domandarsi. Quanto può essere dura davvero? Non sono solo tre turni a settimana? Non vi garantiscono gli straordinari e i bonus ogni anno? È più dura di quanto possano immaginare. È molto più crudo e reale di quello che pensano. Ma, quando accade qualcosa di straordinario e noi vi prendiamo parte, essere un infermiere diventa una vera e propria “droga”. È un miracolo! Urlano i familiari.
È il duro lavoro della medicina moderna! Dichiarano i medici.
Ma chi conosce il segreto, o almeno ne percepisce la presenza, può comprendere che non è stato un miracolo a salvare i vostri cari. Piuttosto, sono state le attenzioni costanti di un’infermiera assennata, intuitiva e fortemente devota alla sua missione. Il nostro segreto è questo: salviamo più vite di quante vogliamo ammettere. Facciamo più errori di quanti speriamo di condividere. E riusciamo a cogliere quelle sottigliezze che impediscono il peggio. Il lavoro dell’infermiere è spesso tacciato di essere un lavoro modesto, umile. Una vita passata a servire gli altri, con altruistica compassione. Ma eccoci qui, questo è il nostro segreto: possiamo dire cattiverie, adottiamo spesso un senso dell’umorismo macabro e ci affidiamo al sarcasmo. Irriverenti, sfacciati e acuti, riuscite a capirlo? No, non siamo tutte delle suore vestite da infermiere. Possiamo essere crudeli, meschini. Possiamo distruggere una matricola e la nostra reputazione. Non rispondiamo sempre alla perfetta immagine che vi siete creati, neanche lontanamente.
Siamo esseri umani.
Siamo esseri umani. Facciamo degli errori. Diventiamo troppo emotivi. E così deve essere. Perché ogni giorno facciamo i conti con la nostra identità, non solo in quanto uomini e donne, ma in quanto infermieri. Siamo definiti da un ruolo che portiamo su di noi come una medaglia al valore. Ma che potrebbe anche diventare una lettera scarlatta. Siamo sempre in “lotta”: con i piani alti, con la malattia, con questioni di vita o di morte. Con i colleghi, le famiglie, con noi stessi. Quello che facciamo quando attacchiamo il turno ogni mattina, o sera, è molto più di un lavoro. È una sfida a dare il 99% di noi stessi agli altri senza lasciar andare mai del tutto quell’1% che ci resta per noi stessi. Siamo esseri umani. Non siamo infallibili. Beviamo troppo. Fumiamo troppo. Mangiamo barrette di cioccolato per cena. Spesso ce la prendiamo con voi perché non c’è nessun altro su cui “scaricare” il nostro peso. Siamo in uno dei pochi settori dove un’emergenza è davvero, autenticamente, un’emergenza… tutto il resto sono solo dettagli. Così, mentre chiediamo scusa per le nostre mancanze e per i nostri atteggiamenti, mentre speriamo, ogni giorno, di diventare persone più comprensive e pazienti…Non possiamo scusarci di essere infermieri. Prendeteci per ciò che siamo, prendete il pacchetto completo, ogni pezzetto, perché non abbiamo scelto di essere così. In qualche modo, anche se ti opponi, questo lavoro ti viene a cercare, se è destino. Filtra dentro di te, fino al midollo. Si insinua nella tua anima. Sacrificherai parti di te stesso per proteggere dei perfetti sconosciuti e ti sembrerà la cosa più logica e sensata da fare. Non è sensata. È quasi follia. Tutti noi siamo un po’ troppo nevrotici. Abbiamo tutti una personalità di tipo A. Siamo troppo premurosi e investiamo moltissimo su noi stessi. Sono scappata da un lavoro che mi voleva in ufficio dalle nove alle cinque, per seguire una vocazione. L’ho ignorata, combattuta, ma l’infermiera che c’era in me è venuta fuori e mi ha completamente posseduta. E adesso? Non sarò più la stessa. Anche io sono sull’orlo della pazzia. Sono leggermente irrazionale. Totalmente nevrotica. Completamente devota. Sono una donna, una moglie, una figlia. Sono un’amica. Ma in tutto questo sono, senza alcuna scusa, un’infermiera.

venerdì 21 ottobre 2016

Carrello delle Emergenze: Contenuto

ogni reparto deve essere fornito di tutto l’occorrente per la rianimazione cardiopolmonare:
  • Carrello
  • Defibrillatore (DAE o convenzionale)
  • Presidi e Farmaci contenuti nella seguente lista
Monitor defibrillatore bifasico o monofasico con regolazione della scarica, dotato di funzione di sincronizzazione, piastre adulti e piastre pediatriche con modulo per pressione arteriosa non invasiva esaturimetria, dotato di cavo per registrazione del tracciato a 3 derivazioni, stampante, funzione di autotest e registrazione della intensità di scarica erogata e output su stampa della stessa.
Materiale prontamente disponibile: gel, elettrodi monouso, due rotoli di carta per stampante, un accumulatore di riserva, due coppie di piastre monouso (in busta chiusa).
VENTILAZIONE
Guanti monouso
Ambu
Reservoir
Maschere O2
Maschere 1-3-4-6
Mounth
Cannule orofaringee da a 4
Tubo di raccordo tra fonte di O2 e Ambu lungo 2 m.
Filtro
Erogatore-umidificatore
Aspiratore con raccordi
Sondini di aspirazione
INTUBAZIONE
Laringoscopio
Lame da 1 a 4
Batterie di scorta
Tubi dal 4 all’ 8
Mandrini ad. e ped.
Cerotto x fissare
Gel
Siringa da 20 cc
Garze
Pinza di Magill
Xilocaina spray
Tracheo quick
INCANNULAMENTO VENOSO
2 Set x vena centrale
Laccio
Aghi cannula dal 22 al 14
3 deflussori
2 Fisiologiche da 500 ml
Haes-Steril
Siringhe da 5-10-20 cc
Guanti sterili
Filo sutura seta 00
Garze sterili
Telini sterili
Pinza anatomica
Portaghi
Forbici
Bisturi n° 11
Siringhe x emogas
FARMACI DELLÕEMERGENZA
FARMACI DELLÕURGENZA
Acqua per preparazioni iniettabili
10 fiale
Aminomal
1 fiala
Adrenalina (in frigo)
20 fiale
Catapresan
2 fiale
Anexate
1 fiala
Effortil
2 fiale
Atropina
10 fiale
Eparina
flac.
Calcio cloruro
2 fiale
Glucosio 33%
2 fiale
Diprivan 2%
flac.
Krenosin
2 fiale
Ipnovel 15 mg
2 fiale
Isoptin
2 fiale
Isoprenalina (in frigo)
5 fiale
Lanitop
2 fiale
Magnesio solfato
2 fiale
Lasix
5 fiale
Midarine
flac.
Morfina (in cassaforte)
1 scatola
Narcan
2 fiale
Noradrenalina (in frigo)
10 fiale
Nimbex
1 scatola
Perganit 5 mg
2 fiale
Revivan
2 fiale
Solu Medrol 500e1000 mg
1 + 1
Sodio bicarbonato
flac.
Trandate
2 fiale
Trinitrina spray
1
Urbason 20 e 40 mg
2 + 2
Xilocaina 2%
flac.
Valium
5 fiale


Ventolin spray
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 Carrello delle Emergenze: Contenuto; Linee guida ILCOOR 2000 per la Rianimazione Cardiopolmonare e l’Emergenza Cardiovascolare, Consensus Internazionale.