martedì 22 gennaio 2019

Piede diabetico: come riconoscerlo e come trattarlo

'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce il piede diabetico come "la condizione di infezione, ulcerazione e/o distruzione di tessuti profondi associate ad anomalie neurologiche e a vari gradi di vasculopatia periferica degli arti inferiori".

Piede Diabetico: ischemico o neuropatico

Piede diabetico
Le Linee Guida dell'iwgdf 2015 sulla Prevenzione e Management del Piede Diabetico stimano che entro il 2035 le persone affette da Diabete Mellito saranno quasi 600 milioni.
La frequenza e la gravità del piede diabetico variano da una serie di condizioni sociali, economiche, igieniche, ma l'incidenza annuale delle ulcere del Piede varia da 2-4% e oltre. Due terzi dei pazienti con ulcere al piede guariscono, mentre per un terzo può essere necessaria l'amputazione e la maggior parte di queste amputazioni è preceduta da una lesione.
L'International Consensus on the Diabetic Foot & Practical Guidelines on the management and prevention of the diabetic foot integra: piede con alterazioni anatomofunzionali determinate dall'arteriopatia occlusiva periferica e/o dalla neuropatia diabetica di fatto completa la definizione dell'oms inserendo il piede senza lesioni nella definizione di Piede Diabetico rientrando nelle complicanze croniche del Diabete Mellito.
Complicanze croniche
MicroangiopatiaMacroangiopatia
Possibili esitiPossibili esiti
RetinopatiaCecitàCoronaricaIma
NefropatiaDialisiCerebraleIctus
NeuropatiaPiede diabeticoVasculopatia perifericaPiede diabetico
La maggior parte delle Linee Guida internazionali ritengono necessaria la strutturazione della gestione del percorso del paziente su 3 livelli:
  • liv.1 Medico di medicina generale, podologo ed infermiere;
  • liv.2 Diabetologo, chirurgo generale, ortopedico o chirurgo del piede, chirurgo vascolare, emodinamista, podologo ed infermiere in collaborazione con il tecnico ortopedico e protesista;
  • liv.3 un centro di riferimento di II liv. Specializzato nella cura del piede diabetico con più esperti di diverse discipline che lavorano insieme.
Il paziente affetto da Diabete Mellito deve essere preso in carico da un team multiprofessionale e multidisciplinare, inserito in contesto organizzativo strutturato attraverso una rete Ospedale/Territorio che partendo dall'assessment lo accompagna ai follow up. Uno degli obiettivi importanti nella gestione del paziente con piede Diabetico è la riduzione del numero delle amputazioni maggiori, per cui l'identificazione dei pazienti a rischio è il primo passo della prevenzione delle lesioni ulcerative del piede.
Durante la valutazione per l'identificazione del rischio, al paziente vengono ispezionati entrambi i piedi, testando il gradiente termico con il contatto contemporaneo, vengono ricercate le ipercheratosi e le zone di ipercarico, verificate le dita e le unghie che non devono presentare alterazioni e le prominenze metararsali, viene assegnata una categoria secondo le classi IWGDF 2015 alle quali corrisponde un appropriato intervento di prevenzione.
Secondo i segni ed ai sintomi e le caratteristiche dell'ulcera possiamo identificare il piede neuropaticoischemiconeuroischemico e infetto.
NeuropaticoIschemico
CaratteristicheCaldo e insensibileFreddo e dolente
SintomiParestesie, sensazione di caldo>/freddo ad insorgrnza notturnaDolore durante la marcia e il riposo notturno, richiede terapia
CuteIpercheratosica anidrosi, fissurataSottile priva di annessi
ColoreDiscromicoPallido/cianotico, pallore accentuato in elevazione
TemperaturaAumentataDiminuita
PolsiNormali o aumentati Dilatazione delle vene dorsali del piedeRidotti assenti la pedidia e la tibiale posteriore
EdemiPossibiliAssenti
RiflessiRidotti/assentiNormali
MuscolaturaAtrofia muscolare con dita a griffe, prominenza delle teste metatarsali e cavismo del piedeRidotta
Il piede neuroischemicoè un piede nel quale coesistono sia la patologia neuropatica che la patologia ischemica, soprattutto nei soggetti di età avanzata, le stime indicano che 1/3 della popolazione diabetica ne è affetto, mentre la metà dei pazienti soffre della patologia neuropatica e il restante 15% soffre della patologia del piede ischemico.
Il piede diabetico infetto è la più grave complicanza dell'ulcera diabetica e si divide in piede infetto acuto e cronico.
Piede diabetico infetto acuto è un piede caratterizzato da:
  • Ascessi e/o flemmoni;
  • Gangrena umida e gassosa;
  • Fascite/cellulite necrotizzante.
È un'urgenza chirurgica e il trattamento deve essere tempestivo, se il paziente non è inserito in un team multidisciplinare che ne prevede l'intervento immediato, deve essere indirizzato al P.S. per il drenaggio delle raccolte infette e le terapie mediche che ne derivano.
Piede diabetico infetto cronico è un piede che presenta un'ulcera i cui segni di infezione locale - quali dolore, calore e arrossamento - sono molto più attenuati, per cui bisogna valutare attentamente tutti gli altri possibili segni di infezione:
  • Assenza di segni di guarigione;
  • Tessuto friabile e sanguinante:
  • Modifica delle caratteristiche e della quantità dell'essudato;
  • Aumento di sottominature;
  • Bordo non ben definito.
Il piede diabetico infetto può essere affetto da osteomielite, una complicanza che colpisce l'osso e mantiene attivo il focolare dell'infezione evitando che la lesione guarisca, può succedere che la lesione guarisca, ma a breve si riapre senza una causa apparente, in questi casi il medico indaga radiologicamente il piede per escludere/confermare la presenza dell'infezione, la sua gestione clinica prevede l'utilizzo dell'antibioticoterapia per lunghi periodi e in casi più complessi si può effettuare il trattamento chirurgico.
L'identificazione della caratteristica dell'ulcera è indicazione del trattamento da seguire, in quanto l'ulcera del piede neuropatico se ben curata deve guarire, mentre l'ulcera del piede ischemico può condurre all'amputazione.
Ulcera neuropaticaUlcera ischemica
LocalizzazionePianta del piede, zone di ipercarico, teste metatarsali, interfalangee dorsaliDita dei piedi,margine laterale e mediale del calcagno zone sottoposte a traumatismi
CaratteristicheDimensioni variabili, rotondeggianti con margini duri e callosiA stampo con bordi netti, fondo necrotico
CuteIpercheratosiIpertrofia cutanea
EdemiPossibiliAssenti
RiflessiRidotti/assentiNormali

Medicazione piede diabetico e trattamento

L'infermiere classifica la lesione secondo le scale in uso, la più utilizzata è la Texas Wound Classification Sistem che comprende sia i piani anatomici interessati sia la condizione clinica e la scala Wagner, inoltre valuta la lesione secondo il TIME e altre caratteristiche dell'ulcera per raccogliere gli elementi che permetteranno al team di individuare la diagnosi differenziale per identificare la prognosi e il corretto iter terapautico.

Lesioni nel piede diabetico neuropatico

L'obiettivo di cura è la guarigione e si raggiunge attraverso:
  • Cura locale della lesione secondo i principi del TIME e l'utilizzo delle medicazioni avanzate, nel caso della lesione diabetica neuropatica, il debridment è prevalentemente con l'utilizzo di taglienti da parte del personale sanitario preposto per rimuovere l'ipercheratosi che sovente circonda la lesione;
  • Scarico della lesione con l'ausilio di medicazioni di scarico e l'utilizzo di tutori o scarpe apposite;
  • Trattamento da parte del clinico di eventuali infezioni;
  • Compliance del paziente e della famiglia con il team multidisciplinare e multiprofessionale.

Lesioni in piede diabetico ischemico

Se il paziente può essere rivascolarizzato, l'obiettivo sarà di stabilità fino alla rivascolarizzazione, utilizzando medicazioni che controllino la carica batterica, in caso di necrosi è sconsigliato l'uso di idrogeli e collagenasi per rimuovere il tessuto necrotico, dopo la rivascolarizzazione l'obiettivo può cambiare a seconda dell'esito dell'intervento. Con esito positivo l'obiettivo sarà la guarigione, con esito negativo l'obiettivo sarà di stabilità.
In entrambe le tipologie di lesioni, la medicazione deve avere alcune caratteristiche peculiari, deve:
  • Costituire una barriera per eventuali agenti esterni
  • Non aderire al letto della ferita
  • Garantire l'isolamento termico
  • Minimizzare il dolore procedurale
  • Mantenere umido l'ambiente in caso di ulcera neuropatica
  • Mantenere asciutto l'ambiente in caso di ulcera ischemica
  • Gestire la produzione di essudato
  • Avere un buon rapporto costo/beneficio
La cura della lesione non può e non deve prescindere dalla continua prevenzione delle recidive e dalla educazione terapeutica continua del paziente e del care giver, la presa in carico da parte del team multidisciplinare e multiprofessionale accompagnerà il paziente con i follow up per tutta la vita.

Profilassi antitetanica in DEA: ricapitoliamo

Definizione ed epidemiologia

Il tetano è una grave malattia infettiva causata da una tossina prodotta da un batterio Gram positivo anaerobio obbligato, il Clostridium Tetani.
Il batterio è presente sotto forma di spora in maniera ubiquitaria nel suolo, indipendentemente dalla posizione geografica, e nelle feci e nel cavo orale di molti animali, uomo compreso.
L’uomo entra in contatto con le spore attraverso ferite cutanee contaminate, la malattia può svilupparsi a qualsiasi età e in assenza di cure mediche raggiunge una mortalità del 70%.
Per tale motivo la corretta immunizzazione attiva e/o passiva della popolazione rappresenta un problema di sanità pubblica di notevole rilevanza soprattutto nelle zone in via di sviluppo dove le campagne vaccinali sono ancora sub ottimali.
Grazie all’ampia disponibilità, ed efficacia, della vaccinazione, l’incidenza del tetano in Italia è piuttosto bassa; nel 2014, l’incidenza in Europa è stata di 0.01 casi/100.000 abitanti e nel 65% dei casi si è verificato in soggetti con età ≥ 65 anni.
Tuttavia come già detto, nonostante la bassa incidenza della malattia, la diffusione delle spore nel suolo è ubiquitaria pertanto il rischio di contaminazione per alcune ferite è alto.
Secondo uno studio del 2004 solamente il 57% dei pazienti che si reca in Pronto Soccorso per una ferita riceve una profilassi verso il tetano adeguata (nel 35% dei casi viene omessa la somministrazione di vaccino e/o immunoglobuline, mentre nell’8% dei pazienti vengono praticate misure profilattiche in eccesso).

Fisiopatologia

Il Clostridium Tetani penetra nell’organismo attraverso ferite contaminate, da punta o lesioni tissutali comprese quelle secondarie ad ustioni, chirurgia o estrazioni dentarie. Il sito di ingresso in molti casi è misconosciuto o individuato solo alla comparsa dei sintomi.
Una volta penetrata, la spora germina, in condizioni di anaerobiosi (come ad esempio nelle ferite necrotiche o infette) determinando la crescita batterica e la produzione di tossine: tetanolisina e tetanospasmina.
La tetanospasmina attraverso gli assoni dei nervi periferici raggiunge per via retrograda il sistema nervoso centrale, qui interferisce a livello pre-sinaptico con il rilascio del GABA. Ne consegue la disinibizione dei neuroni motori e di alcuni neuroni del sistema nervoso autonomo determinando spasmi muscolari e disautonomia.
Il periodo di incubazione varia da 1-2 gg ad oltre un mese e correla in maniera inversamente proporzionale con la gravità della patologia.

Clinica e diagnosi

Il tetano può manifestarsi in 4 forme: generalizzato, localizzato, cefalico e neonatale.
generalizzato: si verifica in >80% dei casi, si caratterizza per trisma, spasmi muscolari (con interessamento cranico-caudale dei muscoli), rigidità, disautonomia.
localizzato: contrazione dei muscoli prossimali al sito di infezione
cefalico: si manifesta con paralisi dei nervi cranici (nelle fasi iniziali va in diagnosi differenziale con la paralisi di Bell)
neonatale: secondario al taglio del cordone ombelicale con strumenti non sterili e colpisce bambini nati da madri non immunizzate.
La diagnosi è clinica e non si avvale attualmente di test di laboratorio.
Per approfondimenti sul trattamento vi rimando al post “Una signora tutta contratta” https://www.empillsblog.com/una-signora-tutta-contratta/

Quali ferite?

Ogni giorno in PS accogliamo pazienti che presentano ferite di vario genere: morsi di animali, ferite da punta, fratture esposte, ferite da taglio; nostro compito è individuare quali siano maggiormente a rischio di sviluppo del tetano. Questa valutazione si basa sia sul tipo di ferita che sull’anamnesi del paziente (stato vaccinale e stato immunitario).
Le ferite più a rischio sono quella da punta (tra queste morsi di animali, punture di insetto, piercing, tatuaggi) e quelle lacere. Occasionalmente il tetano può insorgere da ulcere croniche, utilizzo endovenoso di sostanze di abuso, ustioni, aborto, corpi estranei, otite media, cure odontoiatriche.
Le ferite vengono classificate in base alle loro caratteristiche e modalità di presentazione, in ferite a rischio di tetano o non a rischio.

Immunizzazione attiva e passiva

Vaccino
Il vaccino attualmente in uso è costituito da un tossoide adsorbito; spesso i preparati contengono anche altri antigeni: tossoide difterico e vaccino acellulare della pertosse.
Generalmente i preparati somministrati nel DEA sono combinazioni di vaccino antitetano e difterite (in formulazione per adulti e pediatrica). Nei soggetti di età superiore ai 7 anni andrebbe somministrata sempre la formulazione da adulti (Td).
In Italia dal 1968 vige l’obbligo di vaccinare per il tetano i nuovi nati; un ciclo vaccinale completo è costituito da 4 somministrazioni di vaccino se avviato prima dei 7 anni di età, o da 3 somministrazioni se cominciato nei soggetti di età superiore e conferisce un’immunità che raggiunge praticamente il 100%.
Tuttavia il tasso anticorpale tende a ridursi con il passare del tempo per cui è opportuno somministrare una dose booster di Td ogni 10 anni.
Unica controindicazione assoluta al vaccino è rappresentata da un precedente episodio di anafilassi secondaria alla somministrazione di vaccino antitetanico.
Immunoglobuline
Nel soggetto non immune nei confronti del tetano, in caso di avvenuto contagio, è fondamentale ricorrere all’immunizzazione passiva tramite l’impiego di IG che sono in grado di neutralizzare immediatamente l’eventuale tossina circolante.
L’utilizzo delle immunoglobuline è previsto anche nella profilassi, quando indicato, di ferite ad alto rischio (vedi oltre).
  • profilassi: adulti 250 UI i.m. in singola somministrazione (500 UI in caso di ustioni estese od intervento ritardato oltre le 24 ore o peso >90 kg); età pediatrica 250 UI.
  • tetano conclamato: la dose ottimale non è definita; abitualmente si utilizzano dosi tra le 3000 e le 5000 UI in singola somministrazione. Le IG vanno somministrate con siringa e sede differenti (di solito arto controlaterale) rispetto al tossoide. In assenza di IG eventualmente è possibile utilizzare immunoglobuline endovenose (IG vena), che in parte contengono anticorpi antitossina tetanica.

Indicazioni alla profilassi

Secondo le indicazioni della Position Paper della WHO del 2017, la profilassi attiva e passiva, in caso di ferite, va attuata con le seguenti modalità:
  • Immunizzazione attiva nei soggetti con ciclo vaccinale incompleto, traumi severi o storia vaccinale incerta
  • Immunizzazione passiva nei soggetti con ciclo vaccinale incompleto o incerto, ferite ad alto rischio
Come da circolare Ministeriale 11/11/1996, lo schema di intervento in Italia è il seguente:

Test Rapidi

Come già detto, l’indicazione alla profilassi antitetanica dipende, oltre che dal tipo di ferita, dallo stato vaccinale del paziente. La valutazione di quest’ultimo, in DEA, deriva quasi esclusivamente dall’anamnesi, considerando impraticabile (per tempi e costi) la determinazione del titolo anticorpale tramite ELISA.
Tuttavia negli ultimi anni diversi studi hanno valutato l’efficacia e l’accuratezza diagnostica di un test rapido, il Tetanos Quick Stick (TQS), rispetto alla metodica tradizionale, nel setting dell’urgenza.
Il TQS è un test immunocromatografico per la determinazione rapida degli anticorpi anti-tetano in campioni di siero, plasma o sangue intero umano che offre un risultato qualitativo.
Un test positivo corrisponde ad un titolo anticorpale > 0,1 UI/ml nel siero, mentre il test è negativo quando il titolo anticorpale è < 0,1 UI/ml.
Il test ha dimostrato di possedere una sensibilità dell’80% ed una specificità del 100%.
Uno studio prospettico del 2015, condotto in doppio cieco presso il Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma ha confrontato il TQS con la sola raccolta anamnestica per valutare lo stato immunitario dei pazienti traumatizzati che accedevano in PS.
I risultati dello studio hanno dimostrato che seguendo solo il metodo anamnestico il 50.0% dei pazienti avrebbe ricevuto un trattamento inappropriato, inoltre l’utilizzo del TQS ha permesso di ridurre i costi.
Risultati simili sono stati documentati in uno studio dello scorso anno condotto in Iran.
Un algoritmo operativo potrebbe essere quello proposto da Elkharrat (Médecine et maladies infectieuses 2005 ) che utilizza sia i dati anamnestici che clinici per valutare l’indicazione all’utilizzo del TQS :
Tabella test rapido
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15975751

Conclusioni

Ritengo che la corretta stratificazione del rischio di tetano sia ancora fallace nelle nostre realtà causando spesso un abuso o viceversa un subottimale utilizzo delle misure profilattiche.
Indubbiamente quindi la diffusione del test rapido nei Dipartimenti di Emergenza, integrato con le indicazioni ministeriali vigenti, permetterebbe di migliorare l’efficacia e l’appropriatezza della profilassi antitetanica nel paziente traumatizzato.

Infermiere coordinatore e gestione del lavoro a turni


Infermiere coordinatore e gestione del lavoro a turni

Il coordinatore infermieristico è il responsabile della pianificazione mensile dei turni e della stesura di un turno che garantisca ad ogni singolo dipendente il raggiungimento del debito orario mensile, ovvero del numero di ore totali che devono essere lavorate nell’arco del mese. La progettazione dei turni prevede che venga effettuata dapprima un'analisi organizzativa della realtà di riferimento, che venga determinato il fabbisogno di personale, vengano applicati e rispettati gli istituti contrattuali (permessiriposi e ferie) e le variabili socio-ambientali che influenzano la domanda di prestazioni e/o l'erogazione dei servizi.

Caratteristiche del lavoro a turni

turni sono lo strumento organizzativo che permette di garantire l'assistenza medico–infermieristica in un’U.O. e sono articolati sulla base delle caratteristiche organizzative e assistenziali di un servizio.
turni di lavoro garantiscono una presenza continuativa nell’arco della giornata, dell’orario di apertura di un servizio, o durante tutte le 24 ore se si tratta di un reparto di degenza.
Per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni (compresa quindi la pronta disponibilità e la formazione obbligatoria).
L’orario di lavoro deve essere funzionale all’orario di servizio e all’orario di apertura al pubblico; deve essere definito in relazione alle esigenze dell’utenza e deve accrescere qualità e produttività dei servizi.

Effetti del lavoro a turni

Il lavoro a turni, ed in particolare quello notturno, costituisce un fattore di rischio per la salute dei lavoratori, perché può causare diversi disturbi. La letteratura descrive numerosi problemi di salute che sembrano essere proprio strettamente correlati al lavoro a turni.
I più frequenti sono:
  • Disturbi del sonno
  • Fatica cronica
  • Patologie gastrointestinali
  • Sindromi psiconevrotiche
  • Patologie cardiovascolari
  • Disturbi mestruali
  • Minor fertilità
  • Maggior numero di aborti spontanei
  • Parti prematuri
L’impatto negativo che il lavoro notturno esercita sulla salute si manifesta su 4 aspetti della persona
BiologicoOrganicoPsico-socialeLavorativo
Correlato al cambiamento dei bioritmi fisiologici e del ritmo circadianoConnesso al peggioramento dello stato di saluteDovuto alle difficoltà di mantenere le relazioni
e di poter conciliare vita lavorativa e vita personale
Dalla normale organizzazione del lavoro alle singole attività lavorative
Il lavoro a turni, al fine di prevenire il più possibile gli effetti negativi sulla salute, dovrebbe:
  • Essere il più possibile fisso e continuo
  • Avere cicli composti da turnazioni brevi
  • Limitare il numero consecutivo di notti (massimo 2)
  • Non iniziare troppo presto il turno del mattino
  • Avere almeno 24 ore di riposo dopo il turno di notte

Organizzazione della turnistica

La progettazione dei turni prevede che venga effettuata dapprima un'analisi organizzativa della realtà di riferimento, che venga determinato il fabbisogno di personale, vengano applicati e rispettati gli istituti contrattuali (permessiriposi e ferie) e le variabili socio-ambientali che influenzano la domanda di prestazioni e/o l'erogazione dei servizi.
Il CCNL stabilisce che il monte ore settimanale dell’infermiere è di 36 ore settimanali ed è organizzato sulla base dell’orario di servizio e dell’apertura al pubblico.
A seconda dell’U.O. è articolato su 5 o 6 giorni. Se è articolato su 5 giorni, sono previsti turni giornalieri di 7 ore e 12 minuti; se è articolato su 6 giorni, sono previsti turni giornalieri di 6 ore.
Il turno settimanale deve andare da un minimo di 28 ore settimanali ad un massimo di 44 ore settimanali. Nelle 44 ore sono comprese le ore di lavoro straordinario e aggiornamento obbligatorio.
La giornata lavorativa ha una durata massima di 12 ore e 30 minuti e fra un turno e l’altro devono essere garantite 11 ore di riposo.
Il lavoratore ha diritto ad un riposo di almeno 24 consecutive ogni 7 giorni, oppure 48 ore ogni 14 giorni.
Prima di pianificare il turno di lavoro di un'U.O. è necessario sapere quanti infermieri sono necessari e come deve essere distribuita la loro presenza nel corso della giornata.
Per questo motivo, è dapprima fondamentale capire il fabbisogno assistenziale per una programmazione adeguata ed equa delle risorse.

Calcolo del debito orario

Il coordinatore infermieristico è il responsabile della pianificazione mensile dei turni e della stesura di un turno che garantisca ad ogni singolo dipendente il raggiungimento del debito orario mensile, ovvero del numero di ore totali che devono essere lavorate nell’arco del mese.
Nei servizi diurni raggiungere il monte ore mensile risulta forse scontato, poiché lavorando tutti i giorni ad esclusione dei festivi, l’infermiere raggiunge facilmente il numero di ore previsto.
Per i dipendenti che lavorano sulle 24 ore questo non è invece scontato, poiché la turnazione può far sì che si raggiungano o meno, nell’arco della settimana, le 36 ore.
Quando si eccede al debito orario mensile si parla di straordinario.