martedì 23 agosto 2016

Periodo postoperatorio, i rischi che l’infermiere conosce ed evita

’intervento chirurgico, a prescindere dalla sua portata, è comunque sempre un evento invasivo e traumatico per il paziente. Tra le responsabilità dell’infermiere vi è il controllo e la prevenzione dei rischi postoperatori nei quali l’assistito può incorrere. Ma quali sono questi rischi? Ricordiamone alcuni insieme.
infermiera-sala-operatoriaIl processo chirurgico, definito anche perioperatorio, si articola in tre fasi distinte fra loro, dotate di procedure specifiche e caratterizzanti:
periodo preoperatorio: comprende tutta la fase che precede l’intervento, a partire dalla decisione della necessità dell’operazione e dagli accertamenti diagnostici per arrivare al trasferimento dell’assistito sul tavolo operatorio;
periodo intraoperatorio: comprende tutta la fase durante la quale il paziente si trova sul letto operatorio e termina con l’esaurirsi dell’operazione chirurgica;
periodo postoperatorio: comprende tutta la fase che va dal termine dell’intervento fino al termine di tutte le cure strettamente correlate all’intervento stesso.
L’infermiere è protagonista dell’assistenza in tutte le fasi e garantisce prestazioni proporzionate alle necessità psicosociali e fisiche di ogni singolo assistito, consapevole di quanto il paziente riversi le proprie personali convinzioni sull’evento “operazione chirurgica” e di quanto questo possa condizionare l’andamento dell’intero percorso.
Qualità e continuità dell’assistenza sono due dei motivi conduttori che guidano l’agire infermieristico; è in questa dimensione che si inseriscono consapevolezza e prevenzione dei rischi nei quali l’assistito può incorrere nel periodo postoperatorio.

I rischi postoperatori

L’assistenza infermieristica, sorretta sempre dal rigore scientifico e dalla forza delle evidenze, si plasma e si modella a seconda del tipo di procedura chirurgica in questione e, non ultimo, a seconda delle peculiari esigenze dell’operando.
Numerosi e insidiosi sono i rischi che possono concretizzarsi al termine di un intervento chirurgico, più o meno vicini nel tempo. L’infermiere li conosce e mette in atto pratiche atte a scongiurare il loro verificarsi.
Tra i rischi postoperatori possibili ricordiamo:

Complicanze respiratorie

Soprattutto nei pazienti sottoposti ad anestesia generale possono verificarsi casi di insufficienza ventilatoria, aspirazione o inadeguata clearance delle vie respiratorie. Per via di accumulo e di stasi di secrezioni mucose possono verificarsi fenomeni di atelettasia e di polmonite postoperatoria (o “da stasi”, appunto), accompagnate da dispnea, febbre, tachipnea, tachicardia e cianosi.
Come misure preventive l’infermiere, tra le altre cose:
  • stimola l’assistito a compiere periodiche inspirazioni profonde;
  • stimola l’assistito a tossire (contenendo con le mani la ferita chirurgica);
  • stimola e aiuta l’assistito a variare la postura (entro i limiti consentiti dalla situazione);
  • stimola l’assistito a riprendere la deambulazione prima possibile (se non controindicato);
  • garantisce una corretta gestione della terapia antalgica;
  • garantisce e promuove una corretta igiene orale.

Disfunzioni neurovascolari periferiche

Trombosi venosa profonda e tromboflebite, che possono evolvere in embolia polmonare, sono tutt’altro che infrequenti per via dello stress a cui tipicamente un intervento chirurgico espone il fisico del paziente, dell’immobilità prolungata, delle variazioni pressorie e di eventuali traumatismi. Complicanze di questa natura possono verificarsi nell’immediato postoperatorio o anche a distanza di una o due settimane.
Come misure preventive l’infermiere, tra le altre cose:
  • tiene monitorata la cute dei polpacci per individuare eventuali stati insoliti di rossore, calore o turgore;
  • testerà periodicamente il segno di Homans (se il paziente ha dolore alla gamba o al polpaccio in seguito alla dorsiflessione forzata del piede il segno di Homans si dice positivo e questo può significare la presenza di tromboflebite);
  • stimola l’assistito a riprendere la deambulazione prima possibile (se non controindicato);
  • educa e stimola l’assistito a svolgere esercizi postoperatori attivi e passivi durante l’allettamento;
  • garantisce la corretta applicazione di calze elastocompressive e/o di altri sistemi a compressione graduata;
  • garantisce la corretta somministrazione della terapia anticoagulante prescritta dal medico.

Infezione, eviscerazione, deiscenza della ferita

Materiale purulento e maleodorante che fuoriesce dalla ferita e/o dal punto di inserzione del drenaggio, dolore in sede d’intervento, rossore insolito della cute perilesionale e febbre sono i principali segni e sintomi d’infezione. Inoltre possono verificarsi riapertura spontanea della ferita e la fuoriuscita di visceri dalla stessa.
Come misure preventive l’infermiere, tra le altre cose:
  • monitora la ferita, lo stato della cute perilesionale e il punto di inserzione del drenaggio, ove presente;
  • monitora quantità e qualità del materiale nel drenaggio, ove presente;
  • sostituisce la medicazione con tecnica asettica secondo i protocolli della struttura e al bisogno, valutando il materiale rilasciato sulla medicazione precedente;
  • mantiene il circuito chiuso del drenaggio, ove presente;
  • riduce le possibilità d’ingresso di microrganismi;
  • istruisce l’assistito a contenere la ferita con le mani in caso di tosse, starnuti, vomito o singhiozzo;
  • garantisce una corretta igiene personale del paziente e dell’unità di degenza.

Stati ansiosi o depressivi

Un intervento chirurgico, dicevamo, si carica inevitabilmente di connotazioni personali appartenenti al singolo paziente. Ad esso, a seconda della causa, possono associarsi mancata accettazione di una nuova immagine corporea, disagi relativi a cambiamenti drastici nelle abitudini quotidiane, sconforto per una prognosi sfavorevole, ecc. La dimensione psicologica e affettiva non è da trascurare mai, tantomeno nel periodo postoperatorio, durante il quale anche lo spirito con il quale si affronta la convalescenza è d’aiuto.
Come misure preventive l’infermiere, tra le altre cose:
  • accoglie i dubbi dell’assistito;
  • fornisce all’assistito tutte le spiegazioni di cui ha bisogno;
  • attraverso l’ascolto attivo e un linguaggio assertivo entra in empatia col paziente;
  • si accerta che l’assistito abbia appreso le pratiche che dovrà attuare durante la convalescenza a domicilio;
  • garantisce la continuità assistenziale attivando le pratiche per il follow-up.

Il ruolo del Coordinatore infermieristico nel lavoro in team

l Coordinatore Infermieristico di oggi è una figura professionale in continua evoluzione, pronta a rimettersi continuamente in gioco e ad affrontare il team con tecniche di comunicazione e di aggregazione all’avanguardia. Un ottimo coordinatore è colui che non comanda, ma dirige come lo farebbe un manager e con lo stesso stile di un buon padre di famiglia. Gestire le difficoltà, lo stress, i conflitti, gli errori richiede nervi salti e tantissima pazienza… anche se questo spesso significa non dormire la notte!
Importante il lavoro di squadra in un gruppo: il Coordinatore Infermieristico preparato può fare la differenza.
Importante il lavoro di squadra in un gruppo: il Coordinatore Infermieristico preparato può fare la differenza.
Quel giorno Fabienne aveva diverse attività segnate sull’agenda, ma per lo più sembrava occuparsi di ciò che accadeva in reparto, riempiendo i momenti di pausa con questioni amministrative come la pianificazione dei turni.
Lo schema, il ritmo e lo stile mi apparvero con evidenza fin dal momento in cui arrivai. Fabienne si ergeva – ma direi quasi si “librava” – al centro di tutto, per lo più all’interno del reparto, mentre le persone e le attività vorticavano intorno a lei. Era quasi impossibile anche solo registrare tutte le interazioni, perché per la maggior parte, almeno nella prima parte della giornata, duravano pochi secondi – un’osservazione su questo, una domanda su quello, una richiesta su quell’altro.
Tutto sembrava fluire insieme, via via che le domande da una parte si trasformavano in risposte dall’altra – a proposito del personale, delle medicazioni di un paziente, della pianificazione degli interventi e delle dimissioni e così via. […]
Un momento Fabienne discuteva con un chirurgo di un problema relativo a una fasciatura; il momento dopo, stava registrando i dati della tessera sanitaria di un paziente; poi riorganizzava i turni sulla lavagna e recuperava in casella le note delle infermiere; dopo usciva dalla stanza per parlare con qualcuno in accettazione; quindi andava in corsia da un paziente che aveva la febbre e intanto faceva diverse telefonate alle infermiere del turno serale per sapere se qualcuno quel giorno potesse sostituire una collega assente. […] Come diceva lei stessa, parlando di sé, il reparto aveva bisogno “di qualcuno che conosca il traffico e sappia come dirigerlo”.
(Tratto da: “La gestione manageriale come cura diffusa. Fabienne Lavoie, infermiera caposala”. Northwest, Jewish General Hospital [Montreal, 24 febbraio 1993]).

Dirigere il traffico, non guidare la sola automobile

In questo momento di grande incertezza politica ed economica, dove è necessario acquisire consapevolezza politica, manageriale, professionale e sociale, i tanti “Fabienne” si pongono una semplice domanda: “ma per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare”?
Come fronteggiare problematiche che richiedono soluzioni sempre nuove e diverse e, soprattutto, come rapportarsi con personale dai bisogni e dalle aspettative non sempre coerenti con obiettivi e potenzialità dell’organizzazione?
Come gestire relazioni di gruppo con un’alta tensione emotiva, dovendosi adeguare ad un succedersi d’innovazioni organizzative, conoscenze tecniche professionali sempre nuove ed esigenze, attese e bisogni che richiedono una risposta immediata?
Quale strada percorrere per garantire un’offerta socio-assistenziale sempre più qualificata e più rispondente ai bisogni molteplici ed attuali della società, senza elevare rischi di conflittualità interprofessionale, di mancata integrazione organizzativa e di ricadute negative in termini di continuità delle cure e di out-comes per i cittadini?
Le risposte potrebbero essere diverse:
  • innovazioni strutturali e gestionali al fine di migliorare in flessibilità, efficienza e qualità;
  • caricarsi di una parte della missione, degli obiettivi e delle sfide dell’impresa;
  • costituzione di équipe operative in cui si realizzi una reale cultura dell’integrazione multi-professionale;
  • produzione di conoscenze tecnico-scientifiche e relativa applicazione ai problemi umani; pur con ampi margini di autonomia e di responsabilità rispetto all’organizzazione e ai suoi fruitori, contribuire allo sviluppo ed all’integrazione di conoscenze rilevanti per i processi dell’ente in cui si opera.
Il ruolo che ricopre Fabienne non è solo influenzato dalle attività richieste dalla posizione, ma anche dalla cultura che esprime l’organizzazione, dove la posizione circoscrive quali attività debbano essere svolte (“cosa fare”), la cultura a quali regole, valori, norme è necessario attenersi nello svolgimento delle attività (“come far fare”).
La professionalità di Fabienne varia in parte secondo la tipologia del servizio (natura delle prestazioni, modalità d’erogazione, livello di contatto con l’utenza, attrezzature da utilizzare, ecc.), ma vi è una base comune costituita dalle seguenti componenti tra loro correlate:
competenze tecnico-specialistiche, capacità comportamentali o relazionali e capacità concettuali, che determinano la modalità di approccio ai problemi e la capacità di giungere alla loro soluzione (management e competenze relazionali o di leadership).
”Una competenza tecnica almeno sufficiente è implicita in molti esempi di sviluppo, di offerta di feedback, d’influenzamento e trascinamento […]. In effetti è difficile immaginare che si possa fare
un eccellente lavoro come manager […] senza le conoscenze tecniche necessarie agli stessi subordinati […]. Tuttavia, le competenze che distinguono i migliori capi non sono identificabili in
una maggiore conoscenza tecnica ma piuttosto in una maggior misura di competenze manageriali”.
(Spencer e Spencer, 2003)
Un manager non è solamente un dirigente ad alti livelli di responsabilità organizzativa e gestionale, ma chiunque, nella sua attività professionale, faccia leva su qualcuno/qualcos’altro per ottenere un risultato.
La natura intrinseca e ineliminabile del lavoro manageriale, fa sì che il lavoro sia svolto:
  • ad un ritmo sostenuto, frenetico;
  • con interruzioni continue, frammentazione e discontinuità;
  • con azioni varie e brevi;
  • mescolando azioni importanti con altre più semplici senza ordine (apparentemente) riconoscibile;
  • usando molta comunicazione orale o informale, in un flusso continuo di informazioni;
  • (spesso) in solitudine;
  • in modo intangibile;
  • cercando di non “sapere tutto”, ma di fare in modo che ci sia qualcuno che sappia tutto;
  • portandosi a casa alcuni problemi irrisolti.
L’obiettivo complessivo e finale non cambia, fra gli operatori e i manager, in quanto entrambi tendono al raggiungimento del risultato, in termini di quantità, qualità, appropriatezza, etc.; ma cambia la prospettiva.
Per gli operatori il lavoro deve essere fatto con le modalità previste e la misurazione della realtà è data dal tempo-risorse personali. Per i manager il lavoro deve comunque essere fatto con le modalità previste, ma la misurazione della realtà è data dal tempo-risorse del team.
L’assunzione della responsabilità è decisiva nell’esercizio dell’autorità e nella scelta delle forme di pratica del potere. Voler coordinare senza assumersi la responsabilità di esercitare il potere è un compito impossibile. Voler negare la propria influenza derivante dalla posizione asimmetrica e il potere necessario per coordinare, per quanto partecipativa sia la forma di esercizio del potere prescelta, vuol dire pretendere di eliminare l’ambiguità presente in ogni relazione asimmetrica e, quindi, voler negare i conflitti in essa connaturati.
Vuol dire negare che l’autorità sia necessaria, perché richiesta in ogni relazione asimmetrica in cui viga il gioco autonomia-dipendenza. Non si può coordinare senza affrontare ed elaborare la
possibilità e il vincolo (ecco l’ambiguità) connaturati a ogni forma di esercizio del potere. (Morelli U., De Togni M.G., (a cura di) Coordinatori infermieristici – Competenze e qualità nelle relazioni di cura, Edizioni Guerini, Milano 2010, p. 24).
La leadership si misura principalmente con il cambiamento, che facilita puntando sulla relazione interpersonale, consiste nella capacità di influenzare altre persone, o gruppi di persone, per indirizzarle al raggiungimento di obiettivi dell’organizzazione utilizzando al meglio le proprie energie ed abilità. Per esercitare la leadership non si aspetta che ci sia un programma o altre condizioni preliminari. La leadership ha a che fare con il comportamento di altre persone, che influenza cercando di conciliare meglio possibile i loro obiettivi particolari con quelli dell’azienda,
specialmente nelle situazioni di cambiamento. Le conoscenze che sviluppa si concentrano sui significati, sul “perché” fare determinate cose. (Calamandrei, 2004).
Non è facile essere leader né esercitare la propria leadership; non è semplice capire quali siano le relazioni fra il comportamento del capo e le reazioni conseguenti dei seguaci, o ancora quali possano essere i criteri e le competenze che guidino la scelta di una persona rispetto alle altre per il ruolo del coordinatore infermieristico.
Per avere tangibili risultati occorre guidare, ispirare e motivare le persone, focalizzare l’attenzione sulle risorse personali, bilanciando gli interessi, realizzando quali sono le fonti del potere ed utilizzando il potere stesso in funzione delle circostanze.
Nella concezione organizzativa il ruolo del manager è di coordinare i vari sottosistemi di una organizzazione – pianificazione, produzione, sistema informativo, risorse umane, ricerca e sviluppo – considerando le interazioni fra i fattori interni all’organizzazione ed i fattori ambientali.
Per essere efficace il coordinatore infermieristico deve contemporaneamente svolgere i ruoli di manager e di leader, unire le capacità gestionali del manager e le capacità di guida delle persone del leader.
Manager, per gestire efficacemente le attività e le risorse; leader, per lavorare bene con i collaboratori. Il manager ideale è un leader. Sappiamo tuttavia che esistono persone che hanno maggiormente sviluppate le caratteristiche o dell’uno o dell’altro dei due ruoli.
Il manager:
  • è razionale, analitico, orientato alla soluzione dei problemi;
  • è perseverante e capace di parlare alla mente delle persone;
  • provvede alle strutture, ai processi, ai sistemi, alla valutazione della performance.
Il leader:
  • è appassionato, creativo, innovativo;
  • è flessibile e capace di parlare all’anima delle persone e di motivarle;
  • provvede a dare direzione, visione, scopo, impegno e dedizione;
  • mette in condizione gli altri di dare il meglio di sé, per il gruppo, per l’utente (che avrà un “servizio” sicuramente migliore) e per sé stesso;
  • cerca di ottenere i risultati non con il mero esercizio del potere (cattiva leadership), ma lavorando “con” e “sul” gruppo;
  • attua forme di influenzamento come persuasione (modificando le convinzioni di un’altra persona o di un gruppo) ed emulazione (meccanismo che porta i componenti del gruppo ad identificarsi nel leader assumendolo come modello).
Per la carica istituzionale ricoperta, il coordinatore infermieristico rappresenta un modello; egli deve valorizzare le risorse umane, guidare il gruppo, non soffocare i cambiamenti e le nuove idee, cavalcare l’onda dell’innovazione “ideologica” che in alcune occasioni si rivela più importante e “potente” di quella tecnologica.
Il coordinatore infermieristico è il perno centrale per la motivazione del grupponell’ambito dell’assistenza infermieristica: utilizzando il proprio vissuto, le conoscenze acquisiste nel percorso del master e dei sistemi informatici a disposizione, il coordinatore può stimolare i propri operatori a lavorare tendendo al massimo livello di qualità.
L’identificazione delle caratteristiche possedute dagli operatori stimola il coordinatore all’identificazione e alla risoluzione dei conflitti interni al gruppo. L’applicazione di un sistema premiante stimola ogni operatore a trovare motivazione in ciò che fa. Se il professionista gode di opportunità atte a sviluppare i fattori di motivazione, quali ad esempio una situazione stimolante, la crescita professionale, la formazione, il riconoscimento, la partecipazione attiva alle decisioni da prendere, l’informazione e condivisione degli obiettivi aziendali da raggiungere, la partecipazione a gruppi di lavoro, allora la sua performance sarà influenzata in senso positivo.

I fattori dell’organizzazione che influiscono sulla motivazione

Ad incidere sulla motivazione dei lavoratori sono, tra le altre cose:
  • lo stile di leadership del coordinatore;
  • le relazioni sul luogo di lavoro;
  • la collaborazione ricevuta dai colleghi;
  • i conflitti a vario livello;
  • le discriminazioni di natura personale;
  • la gratificazione organizzativa.
Il coordinatore deve tener sempre presente che la motivazione del personale si poggia sull’armonico equilibrio di tutti questi fattori, sui quali può agire, monitorare, gestire per avere personale motivato e predisposto ai continui cambiamenti organizzativi condivisi con il gruppo. L’applicazione di questi principi porta ad una sicura crescita con una ricaduta positiva sul livello assistenziale fornito dal team.

Se sapremo lavorare in team

La capacità di lavorare in team in maniera armonica ha ancora ampi margini di miglioramento, vista la situazione attuale nella grande maggioranza delle realtà assistenziali; quando riusciremo davvero a farlo al meglio:
  • lavorare assieme diventerà una sfida della professionalità nella professione;
  • si uscirà dall’isolamento mono-professionale di molte categorie;
  • si condividerà tutto il processo riabilitativo, comprese le frustrazioni e gli insuccessi;
  • si ridurrà il burnout;
  • sarà più semplice affrontare i complessi problemi del nostro campo;
  • comprenderemo la negatività della deprivazione neurosensoriale;
  • condivideremo la difficoltà di gestire la domanda incongrua, frequentissima nella cronicità geriatrica;
  • combatteremo la crescente insensibilità dei vari operatori nei confronti dei livelli di recupero dei pazienti anziani.
Dovremo tuttavia adottare sempre un minimo di sapere condiviso da cui partire, resta dunque imprescindibile l’importanza della formazione di base e dell’aggiornamento inter-professionale al fine di abolire:
  • le gelosie preconcette;
  • le contrapposizioni sindacali/professionali;
  • il “complesso del primo della classe”;
  • le presunzioni organizzative;
  • sospettosità, litigiosità e gelosie gestionali di ruolo (le “caste”);
  • le chiusure alle innovazioni organizzative (impermeabilità di sistema);
  • le “sindromi da ruolo” (siamo colleghi, punto).
Dovremo imparare a rispettarci di più
“L’ambiente di lavoro sarà più salubre (…) un ambiente pratico che massimizza la salute intesa come benessere degli infermieri, la qualità dei risultati per il paziente/utente, le prestazioni organizzative ed i risultati sociali”.

Il coordinatore: ciò che è e ciò che potrebbe essere

  • Vale nella misura in cui è capace di sistemare le cose ragionando a modo suo;
  • lavora a ritmo serrato;
  • è tormentato da ciò che potrebbe fare e da ciò che deve fare;
  • deve imparare ad esercitare la propria professionalità con competenza;
  • partecipa solo quando la partecipazione ha un valore tangibile;
  • ama l’informazione corrente;
  • non adotta mai lo stesso approccio per un giorno intero;
  • mantiene l’omeostasi per tenere l’organizzazione nella direzione giusta;
  • cura i confini dell’organizzazione;
  • deve rafforzare la cultura;
  • deve affinare la capacità di riflettere mentre lavora;
  • deve spesso fingersi sicuro di sé;
  • è importante nella misura in cui aiuta le altre persone a essere importanti;
  • deve sviluppare un’elevata tolleranza al disordine;
  • deve dividere le sue informazioni privilegiate con altre persone;
  • è imperfetto, ma i suoi difetti non sono fatali;
  • deve impegnarsi nell’autosviluppo (apprendimento continuo, autodiagnosi e autogestione);
  • deve essere consapevole (di tutto quello indicato sopra!)
(Affermazioni tratte e adattate da Mitzberg H., “Il lavoro manageriale”, Franco Angeli, Milano 2010)
E come dice Vasco:
“Mi sveglio spesso sai pieno di pensieri, non sono più sereno, più sereno di come ero ieri, ti faccio presente che, ho quasi finito la pazienza che ho con me, sarà difficile non fare degli errori senza l’aiuto di potenze superiori”.