martedì 19 aprile 2016

Il Pronto Soccorso: un punto di vista strategico nell’osservazione della popolazione “fragile”

Premessa
I profondi cambiamenti socio-culturali intervenuti in Italia negli ultimi anni, legati alle trasformazioni demografiche ed epidemiologiche del paese, hanno portato ad un progressivo aumento delle condizioni di fragilità nella popolazione e ad una inevitabile crescita di richiesta assistenziale non più legata esclusivamente all’aspetto medico (Fragilità medica) ma orientata all’aspetto sociale dei bisogni (Fragilità sociale) con un rimodellamento del sistema dell’offerta da cure sanitarie ospedaliere di tipo acuto e intensivo a cure territoriali sociosanitarie di natura cronica e continuativa.
Cambiamenti socio-culturali
La ridotta natalità associata all’allungamento della vita media ha portato ad un progressivo invecchiamento della popolazione: al 1 gennaio 2009 il rapporto tra ultra sessantacinquenni e giovani era 143 che significa che in Italia gli anziani sono ca. il 43% più dei giovani con trend in aumento. Entro il 2050 nell’UE il numero delle persone oltre i 65 anni di età crescerà del 70% e quello degli ultra ottantenni del 170%(1). Le conseguenza di questo rimodellamento sociale sono facilmente intuibili: la popolazione anziana muore di meno ma va incontro a malattie cronico degenerative che comportano una limitazione alla autosufficienza individuale e richiedono assistenza costante con un alto indice di dipendenza (Tabella 1), una assistenza che fino a qualche anno fa era sostenuta dai giovani della famiglia, oggi sempre meno presenti e soprattutto dalle donne che ormai da tempo hanno raggiunto
Anno % di soggetti anziani (>64) Indice di vecchiaia Indice di dipendenza
2006 19,9 141,0 30,1
2010 20,5 146,4 31,3
2015 22,0 159,4 34,2
2020 23,2 176,0 36,4
2025 24,7 197,6 39,2
2030 27,0 222,1 44,4
Fonte: ISTAT, sito web, ultima consultazione novembre 2015
Tabella 1. Proiezioni delle dinamiche demografiche Italiane Anno 2006-2030.Italian Journal of Emergency Medicine - Marzo 2016
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una maggiore emancipazione, lavorano, hanno una vita propria, non sono più parte integrante della famiglia
allargata e non possono più badare agli anziani.
Quanto detto per la popolazione anziana vale anche per i soggetti affetti da vari gradi e tipi di disabilità medica e sociale non necessariamente appartenenti alla classe degli ultra sessantacinquenni come ad esempio i soggetti psichiatrici e/o alcolisti, i tossicodipendenti, la popolazione nomade e migrante, gli extracomunitari.
Concetto di integrazione sociosanitaria
È evidente come simili trasformazioni dell’assetto demografico comportino una serie di crescenti richieste da parte della popolazione di una adeguata assistenza sanitaria e sociale ed un dovere da parte dello stato di garantire una risposta integrata sociosanitaria ai bisogni dei cittadini. Tentando di dare una definizione il più possibile completa, si può immaginare l’integrazione sociosanitaria come “il coordinamento tra interventi di natura sanitaria ed interventi di natura sociale, a fronte di bisogni di salute molteplici e complessi, sulla base di progetti assistenziali personalizzati. Il raccordo tra politiche sociali e politiche sanitarie consente di dare risposte unitarie all’interno di percorsi assistenziali integrati, con il coinvolgimento e la valorizzazione di tutte le competenze e le risorse istituzionali e non presenti sul territorio” (2). In altre parole vi sono diverse situazioni in cui la capacità di raccordare interventi di natura sanitaria con interventi di natura sociale rafforza l’efficacia di entrambi. Nel linguaggio anglosassone il termine “cura” viene espresso in due differenti accezioni a seconda che si voglia indicare la cura sanitaria o quella sociale. Nel primo caso si usa il vocabolo curing che significa “curare con l’intenzione di guarire” in senso strettamente medico-sanitario; nel secondo caso si utilizza invece il termine caring che ha una valenza squisitamente sociale nel senso di “prendersi a cuore qualcuno” migliorandone la qualità della vita indipendentemente dalla patologia (3). È dal giusto equilibrio tra caring e curing che si realizza la vera integrazione sociosanitaria.
Obiettivo del lavoro
Questo lavoro si propone di analizzare, attraverso un punto di vista strategico (il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Viterbo) le necessità e le richieste della popolazione “fragile” e di metterle in rapporto alle risposte territoriali che la rete offre, valutando gli equilibri di domanda e offerta presenti e analizzando le criticità, i punti di forza e i punti di debolezza del sistema. Il Pronto soccorso dell’Ospedale “Belcolle” di Viterbo, come tutti i Pronto Soccorso distribuiti sul territorio nazionale, rappresenta per ovvi motivi un punto di osservazione esclusivo capace di individuare le caratteristiche, le richieste e le esigenze della popolazione. Rappresentando il primo punto di riferimento tra cittadinanza e sistema sanitario è per sua squisita natura l’interfaccia principale inserita tra i cittadini e le istituzioni.
Popolazione e metodi
Raccolta dei dati
L’ospedale “Belcolle” è inserito nel III distretto della provincia di Viterbo che comprende 8 comuni per un totale di 92915 abitanti; questa popolazione divisa per fasce di età vede il 67% rappresentato da cittadini di età compresa tra i 15 e 64 anni, il 20% sono ultra 65enni e il 13% vanno da 0 a 14 anni. L’ospedale raccoglie inoltre pazienti provenienti dagli altri distretti territoriali come punto di riferimento per patologie complesse non gestibili dai nosocomi periferici secondo l’organizzazione “hub & spoke”. Ricordiamo che l’ hub & spoke dei servizi sanitari è un modello organizzativo caratterizzato dalla concentrazione dell’assistenza a elevata complessità in centri di eccellenza (centri hub) supportati da una rete di servizi (centri spoke) cui compete la selezione dei pazienti e il loro invio a centri di riferimento quando una determinata soglia di gravità clinico-assistenziale viene superata.
La popolazione oggetto dello studio comprende i pazienti che si sono presentati al Pronto Soccorso dell’ospedale Belcolle di Viterbo nel corso dell’anno 2015: il campione utilizzato è rappresentato dai cittadini che vi hanno afferito dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2015 in maniera consecutiva (Tabella 2). La raccolta dei dati è stata effettuata ed elaborata attraverso il sistema informatico GIPSE (Gestione Informazioni Pronto Soccorso ed Emergenza).
Attraverso il GIPSE, con l’utilizzo di filtri specifici, è stato selezionata la popolazione oggetto dello studio: ne sono state analizzate le modalità e il codice di accesso in Pronto Soccorso, la richiesta di assistenza, il tipo di patologia riferita, le prestazioni erogate, la diagnosi finale e l’ esito. La sottopopolazione in esame è stata ottenuto selezionando dalla somma dei codici verdi + codici bianchi (29595 pazienti) i pazienti che presentavano caratteristiche peculiari di individui fragili (vedi premessa) che sono ricorsi al Dipartimento di emergenza in maniera impropria. Italian Journal of Emergency Medicine - Marzo 2016 Special Articles 23
I codici gialli e rossi non sono stati analizzati in quanto raccolgono per definizione condizioni di urgenza o emergenza e quindi di sicura appropriatezza per il Pronto Soccorso. Per ovviare alle evidenti difficoltà di selezione legate al giudizio soggettivo dell’operatore sanitario che aveva effettuato il Triage (infermiere professionale) o che aveva visitato il paziente (medico del dipartimento di emergenza), si sono cercati dei criteri oggettivi di valutazione clinica che permettessero di standardizzare la scelta dei pazienti senza incorrere in errori legati all’arbitrarietà del giudizio; dopo un’ attenta revisione delle letteratura si è scelto di utilizzare il Protocollo PRUO.
Il PRUO (Protocollo per la revisione dell’uso dell’ospedale) fa parte di un progetto ministeriale del 2002 sulla “Concettualizzazione, sviluppo e valutazione di strumenti di osservazione ed intervento che aumentino l’utilizzo appropriato dell’ospedale per acuti”. Il PRUO consente di formulare giudizi tramite criteri espliciti, obiettivi, verificabili, riproducibili, cosa che non è possibile ottenere dal giudizio dei clinici, per sua natura formulato secondo criteri impliciti, soggettivi e/o variabili, non codificati e non facilmente codificabili, che si autolegittimano. I criteri
PRUO (Tabella 3), sono ritenuti oggettivi ed accettati universalmente dalla comunità scientifica (4).
Codice triage N° pazienti %
Codici bianchi 877 1,92
Codici verdi 28718 63,13
Codici gialli 14163 31,13
Codici rossi 1728 3,79
TOTALE 45486 100
Tabella 2. Prestazioni di Pronto Soccorso nell’anno 2009 presso l’Ospedale Belcolle di Viterbo.
Frequenza cardiaca < 50 o > 140 (a riposo)
Pressione arteriosa sistolica < 90 o > 200 mm Hg o diastolica < 60 o > 120 mm Hg
Temperatura ascellare > 38°C per 5 gg compreso il giorno di ammissione in ospedale
Atti respiratori a riposo > 20/min
Sanguinamento in atto (o nelle ultime 48h)
Squilibrio idroelettrolitico, acido-base, metabolico o minerale (laboratorio e/o clinica)
Sospetto o certezza di ischemia miocardica acuta
Problemi neurologici acuti e/o rapidamente progressivi
Perdita o calo improvviso della vista o dell’udito
Perdita acuta della capacità di muovere una parte del corpo
Fonte: Modificata da rif. bibliografico 4
Tabella 3. Criteri PRUO che giustificano il ricorso al dipartimento di emergenza.
Una volta selezionata la sottopopolazione di pazienti ad elevata richiesta socio-assistenziale (popolazione fragile) ma che in base ai criteri PRUO non presentava necessità di assistenza medica urgente (9852 pazienti che corrisponde al 33,36% dei codici verdi + bianchi) ne sono state analizzate le caratteristiche clinico/sociali suddidividendola ulteriormente in categorie in base a caratteristiche peculiari (Tabella 4). Come era facile supporre, la maggior parte dei pazienti fragili è rappresentata da soggetti anziani ultra sessantacinquenni affetti da patologie cronico-degenerative. Di questi una buona percentuale vive da sola oppure è accudita da badanti, altri sono assistiti da famigliari più giovani che però molto spesso non riescono a gestire la cronicità del proprio congiunto.
In numero decisamente minore seguono i soggetti senza fissa dimora, gli alcolisti, i tossicodipendenti, i pazienti psichiatrici e i pazienti oncologici terminali.Italian Journal of Emergency Medicine - Marzo 2016
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Analisi delle motivazioni di accesso al PS
Per cercare di capire le necessità e dare una risposta adeguata ai pazienti che si sono presentati in maniera impropria al dipartimento di emergenza, sono state effettuate delle interviste chiedendo quali erano state le motivazioni che li avevano indotti a recarsi al pronto soccorso piuttosto che dal medico di famiglia o ai servizi territoriali. Ove il paziente non era in grado di dare una risposta esauriente, venivano raccolte le risposte degli famigliari o degli accompagnatori. Nella maggior parte dei casi le motivazioni venivano ricondotte ad un mancato rapporto con il medico di base , una alta percentuale riteneva di poter essere assistita in maniera adeguata soltanto in ospedale, altri non erano a conoscenza dell’esistenza di strutture territoriali, altri ancora, pur essendo nelle liste di attesa per l’esecuzione di esami diagnostici o ricoveri presso case di cura, ritenevano di non poter attendere oltre la chiamata (Tabella 5).
Tipologia Numero Percentuale
Pazienti geriatrici
- Bronchitici cronici
- Cardiopatici
- Ipertesi
- Diabetici
- Post-acuzie
- Demenza senile
8195 83,00%
Paz. senza fissa dimora + migranti 780 7,90%
Alcolisti + Psichiatrici + Tossicodipendenti 483 4,90%
Oncologici terminali 394 4,00%
Totale 9852 100,00%
Tabella 4. Categorie della popolazione “fragile”.
Motivo Percentuale
Mancato rapporto con il curante
- Non cercato il curante
- Non ha curante (extra comunitari)
- Non soddisfatto della diagnosi del curante
- Curante non reperibile
- Inviati dal curante
61,20%
Errata percezione del proprio problema di salute 13,20%
Mancata conoscenza delle strutture territoriali 9,80%
Liste di attesa troppo lunghe 5,60%
Mancanza di fiducia delle strutture territoriali 5,70%
Altro 4,50%
Tabella 5. Motivazioni della mancata fruizione dei servizi territoriali e della medicina di base.
L’offerta territoriale
Dopo aver valutato le caratteristiche della popolazione in esame e le esigenze cliniche e sociali della sottopopolazione fragile, lo studio osservazionale si è spostato sulla rete territoriale andando a considerare come (e se) l’organizzazione del territorio rispondesse alle necessità della popolazione di riferimento; in particolar modo si Italian Journal of Emergency Medicine - Marzo 2016
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è focalizzata l’attenzione su tutti quei servizi ad elevato impatto socio-assistenziale che dovrebbero fornire una valida alternativa alle strutture ospedaliere. Dalla consultazione dell’Atto Aziendale (5), della Carta dei Servizi della Azienda Unità Sanitaria Locale di Viterbo e dalla consultazione on line dei siti aziendali (6) sono state esaminate tutte le strutture territoriali e le cliniche convenzionate distribuite nel III distretto con una attenzione specifica a quelle con caratteristiche squisitamente socio-sanitarie.
Si è confrontata poi l’esigenza dei cittadini con la risposta territoriale valutando la congruità della stessa, cercando di capire le motivazioni che spingono l’utenza a preferire le strutture ospedaliere a quelle del distretto analizzando i punti di forza e i punti di debolezza della rete territoriale.
Analisi dei dati
Punti di forza e punti di debolezza del sistema
Dopo una attenta valutazione dei dati e una analisi dei rapporti esistenti tra domanda della popolazione e risposta sanitaria territoriale possiamo concludere che nel III distretto, oggetto del nostro studio, le strutture socio-assistenziali sono presenti e sono in grado di dare risposte qualitativamente valide per tutti i gradi e le tipologie di fragilità sociale e medica. Soprattutto la rete psichiatrica si distingue per organizzazione, risposta e qualità delle cure. Il servizio alcologico territoriale rappresenta un vanto per la sanità viterbese in quanto è una delle poche strutture regionali di questo tipo presenti nel Lazio. Gli istituti privati convenzionati sono ben integrati nella rete e coprono tutte le necessità contingenti dalla riabilitazione, alla lungodegenza, alla post-acuzie alla assistenza oncologica ma presentano il grosso limite delle lunghe liste di attesa dovuto alla sproporzione tra la popolazione del distretto (oltre 90.000 abitanti) e i posti letto disponibili.
I punti di maggiore debolezza del sistema sono legati soprattutto alla mancanza di integrazione territoriale dei
medici di base, che molto spesso non conoscono i servizi presenti sul territorio e i percorsi assistenziali della rete e demandano alle strutture ospedaliere molte delle attività che potrebbero essere gestite altrove. Questa abitudine genera la mancanza di fiducia dei pazienti nei confronti del proprio medico di famiglia e delle attività extraospedaliere.
D’altro canto le strutture territoriali, pur presenti in buona quantità, non sono né conosciute dalla popolazione
né promosse dalla ASL, il personale che le gestisce non è formato a sostenere le richieste della popolazione
fragile e comunica poco e male con il resto del sistema sanitario. La gestione è spesso affidata alla buona volontà dei singoli operatori che non avendo un modello centrale standardizzato di riferimento, svolgono le loro attività confidando esclusivamente sugli stretti rapporti interpersonali instauratisi con il tempo e l’abitudine con gli altri attori del sistema. La mancanza di continuità assistenziale è un altro punto critico del sistema: i pazienti, nel loro percorso diagnostico-terapeutico, sono gestiti in maniera frammentaria e seguiti da operatori diversi in tempi e modi diversi e questo genera in loro frustrazione perché non riescono ad instaurare un rapporto di fiducia con i sanitari che dovrebbero occuparsi dei propri bisogni. In fine, le maggiori difficoltà della lenta affermazione della sanità territoriale decentrata rispetto alle strutture ospedaliere sono legate alla mancanza di cultura popolare su un tipo di sanità alternativa: i pazienti ritengono di essere curati in maniera efficiente solo in costanza di un ricovero ospedaliero pensando di non ricevere risposte adeguate dalla rete territoriale.
Per tutti questi motivi i modelli di sanità territoriale stentano a partire e i finanziamenti insufficienti legati alla riduzione della spesa pubblica, al piano di rientro regionale(8), alla mancata ridistribuzione dei fondi sul sistema sociale non fanno altro che aggravare la situazione rallentando ulteriormente il processo di trasformazione della sanità laziale.
Proposte di miglioramento
Analizzati i punti critici del sistema e valutati i rapporti di domanda e offerta è opportuno proporre delle possibili soluzioni alle criticità osservate.
Sicuramente l’attenzione maggiore va focalizzata sui medici di famiglia che dovrebbero diventare i veri coordinatori delle attività extraospedaliere. È necessario che queste figure professionali siano inserite in maniera preponderante nella rete sanitaria divenendo essi stessi nodi della rete. Attraverso un percorso formativo adeguato, protocolli condivisi e strumenti tecnici appropriati il medico di base deve essere in grado di svolgere con maggiore autonomia il proprio lavoro così da favorire quell’opera di coordinamento e promozione tra i propri assistiti e le strutture territoriali. Con il coinvolgimento dei medici di base sarebbe più semplice e meno dispendioso favorire Italian Journal of Emergency Medicine - Marzo 2016 26 Special Articles l’informazione e la promozione delle attività extraospedaliere che a tutt’oggi sono ancora poco note alla gran parte della popolazione. Ad una migliore informazione deve però corrispondere una maggiore competenza degli operatori che andrebbe acquisita attraverso corsi di formazione che permettano loro di offrire maggiori e migliori risposte ad una utenza socialmente disagiata.
Va sicuramente scoraggiato il ricorso alle strutture ospedaliere e al Pronto Soccorso quando non sussistano patologie acute in atto evitando di offrire agli utenti servizi impropri e promuovendo il ricorso alle strutture ambulatoriali e territoriali informando e fornendo indicazioni precise sui percorsi alternativi. Allo stesso modo vanno evitati i ricoveri impropri usufruendo degli istituti convenzionati e favorendo i flussi diretti dal PS al territorio senza intermezzi burocratici.
È fondamentale formulare dei protocolli di riferimento condivisi e conosciuti da tutta la rete territoriale in modo da non basare il sistema sui soli rapporti interpersonali tra gli attori ma su linee guida prestabilite, universalmente valide ed indipendenti dai singoli operatori.
In fine bisognerebbe fare in modo di centralizzare i flussi informativi favorendo la comunicazione tra gli attori
della rete (ad esempio attraverso la gestione informatica della medicina del territorio) così da evitare un servizio frammentario e discontinuo.
Discussione
Le evidenze che emergono dalla nostra analisi possono essere riassunte attraverso le seguenti considerazioni: Il triage del Pronto Soccorso di Viterbo tende ad attribuire il codice bianco o verde ad oltre il 70% dei pazienti che si presentano in ospedale con richiesta di assistenza urgente dimostrando che la maggior parte dei cittadini non presenta reali necessità mediche con carattere di emergenza/urgenza, di questi oltre il 30% è rappresentato da quella che abbiamo definito popolazione fragile ad elevata richiesta di assistenza socio-sanitaria. Questa è una chiara evidenza della mancanza o della mancata conoscenza di filtri territoriali che costringe l’ospedale ed in primis il DEA a gestire accessi non urgenti e quindi “impropri”. La tendenza a ricorrere impropriamente al Pronto Soccorso è maggiore per gli ultra sessantacinquenni e decresce con l’età confermando la richiesta di aiuto non soddisfatta altrove. I servizi di emergenza rappresentano una soluzione inevitabile per chi, a causa di sfavorevoli caratteristiche socio-culturali-anagrafiche, non ha altre porte di accesso e, anche necessitando di cure non particolarmente urgenti decide di rivolgersi al Pronto Soccorso (8). Tra le cause di ricorso improprio al Pronto Soccorso, oltre alle già citate trasformazioni del contesto socio-demografico, va senz’altro considerato il desiderio dell’utenza di ottenere in tempi brevi una attenzione ai propri bisogni “percepiti” come urgenti e la consapevolezza di trovare comunque una risposta qualificata mediata anche da tecnologie all’avanguardia (9). Infine, analizzando le motivazioni di accesso al dipartimento di emergenza, si evince che il problema non riguarda soltanto il paziente socialmente disagiato ma coinvolge anche i famigliari e i medici di medicina generale o i medici di continuità assistenziale. È chiaro che tale tendenza andrebbe scoraggiata infatti una gestione rapida ed efficace dei pazienti ad elevata richiesta socio-sanitaria non controbilanciata da un contestuale intervento a livello del territorio, rischia di innescare una maggiore domanda di prestazioni inappropriate di Pronto Soccorso e finisce per convogliare sempre di più l’utenza verso le strutture ospedaliere a scapito dell’assistenza di base e territoriale (10). Una risposta adeguata delle reti territoriali favorirebbe l’integrazione socio-assistenziale della popolazione
fragile, eviterebbe gli accessi impropri in Pronto Soccorso e gli eventuali ricoveri impropri lasciando posti letto liberi per gli acuti, eviterebbe il sovraffollamento dei Dipartimenti di emergenza, ridurrebbe il disagio sociale dei pazienti e delle loro famiglie, renderebbe il territorio un punto di riferimento per la popolazione fragile, eviterebbe o quanto meno, ritarderebbe l’ acuzie della patologia cronica, e consentirebbe un notevole risparmio di soldi pubblici. È chiaro che per attuare tutti questi cambiamenti c’è bisogno soprattutto di investimenti economici che possano rendere possibile la crescita e l’affermazione della medicina e dell’assistenza sociale del territorio quindi il primo passo verso il cambiamento deve venire da una ridistribuzione delle risorse destinate al welfare con una maggiore attenzione all’ambito socio-assistenziale dei bisogni.

mercoledì 6 aprile 2016

L’Infermiere di Pronto Soccorso: chi è e cosa fa?

Sulla base di una esperienza di almeno 6 mesi e dopo aver frequentato un corso di formazione ad hoc, l'infermiere di Pronto Soccorso può svolgere anche la funzione di Triage.

L’infermiere che svolge l’attività assistenziale in Pronto Soccorso si avvale di una vasta gamma di competenze acquisite sul campo per poter garantire un adeguato ed appropriato intervento nell’ ambito del dipartimento di emergenza. La funzione di Triage, cioe’ di accettazione del paziente e definizione di un codice di “priorità” di accesso alle cure, rappresenta un’attività assistenziale fondamentale in Pronto Soccorso. Sulla base di una esperienza di almeno 6 mesi e dopo aver frequentato un corso di formazione ad hoc, l’infermiere di Pronto Soccorso può svolgere la funzione di Triage.
Le competenze previste per svolgere il Triage devono essere di tipo tecnico/assistenziali da un lato, completate dalle competenze emotive imprescindibili per questo ruolo.
L’approccio ad un paziente che giunge in Triage deve essere basato su un intervento metodologico che si sviluppa in piu’ fasi: valutazione sulla porta, raccolta dati/anamnesi, breve esame fisico mirato, rilevazione parametri vitali, eventuale reperimento di un accesso venoso, esecuzione di Elettricardiogramma o di Emogasanalisi se necessario, definizione del codice colore e come ultima ma fondamentale fase di Triage quella della rivalutazione continua del paziente in attesa.
Tutto questo tipo di approccio si esplica in maniera appropriata quando, oltre a rispettare i protocolli previsti e validati, essi sono messi in pratica con un substrato ben strutturato di competenza emotiva, quindi empatica, tale da garantire la presa in carico adeguata.
Ciò si comprende se si fa riferimento all’ormai conosciutissimo aspetto del sovraffollamento dei locali dell’ accettazione del Pronto Soccorso, dove la carica emotiva di apprensione e preoccupazione del paziente si riversa con impatto notevole sull’infermiere di Triage.
Ed infatti la gestione dell’ attesa ha un peso spesso maggiore che non la presa in carico iniziale con la definizione della priorita’ di accesso alle cure.
Un altro ambito di assistenza in Pronto Soccorso è svolto nella Sala Rossa, cioè dove giunge direttamente il paziente con compromissione di una o piu’ funzioni vitali tale da prevedere un intervento repentino in emergenza, garantendo anche una stretta osservazione continua fino al ripristino della funzione compromessa piuttosto che eseguendo interventi assistenziali di emergenza collaborando con altre figure professionali quali il medico di Sala Rossa, l’anestesista, il chirurgo, ed i vari specialisti quali il neurologo di Stroke Unit (per le trombolisi), l’emodinamista (prima e dopo l’intervento di angioplastica),il neurochirurgo (con la terapia necessaria, la preparazione all’ intervento del paziente, il cardiochirurgo (monitoraggio).
Altra assistenza infermieristica è svolta in Pronto Soccorso nelle sale visita(medica, chirurgica, ortopedica) in collaborazione con il medico specialista; vi si eseguono tutti gli interventi assistenziali necessari (dalla fleboclisi, il cateterismo vescicale, il reperimento di un accesso venoso, l’ esecuzione di un Elettrocardiogramma, un Emogasanalisi oppure nel posizionanento di una trazione transcheletrica in sala gessi o ancora di un sondino nasogastrico, ecc.).
Ulteriore ambito di assistenza in Pronto Soccorso è rappresentato dalla cosidettaOBI (osservazione breve intensiva), in particolare per l’impegno di un numero di infermieri in rapporto al numero di paziente il più delle volte sproporzionato.
In pratica l’OBI risulta essere una parte logisticamente vasta di Pronto Soccorso in cui piu’ che essere osservati per un periodo di tempo limitato, vi stazionano pazienti su barelle per piu’ giorni.
L’assistenza infermieristica fornita è quella prevista per pazienti di tutte le specialistiche con la terapia e la collaborazione nella visita medica.
Appare evidente come gli ambiti in cui esplicare le competenze infermieristiche sono molteplici e differenti.
La preparazione, la formazione e l’aggiornamento continuo sono imprescindibili pergarantire un appropriata assistenza in Pronto Soccorso, parallelamente ad un monitoraggio ed una sollecitazione continua del management infermieristico, medico e di direzione strategica anche con la sollecitazione ed il coinvolgimento del Risk Management per rendere la nostra attivita’ assistenziale consona alle esigenze dell’utente.